Immagine macro ad alta definizione di blastocisti umane in una piastra di coltura in laboratorio di PMA, 100mm Macro lens, illuminazione precisa, focus selettivo su una blastocisti di buona qualità che mostra chiaramente la massa cellulare interna e il trofoectoderma, contesto scientifico avanzato.

Zigoti 0PN e 1PN: Scarto o Risorsa nella PMA con PGT-SR?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che potrebbe accendere una scintilla di speranza in molte coppie che affrontano il percorso, a volte tortuoso, della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), specialmente quando si combina con la Diagnosi Genetica Preimpianto per riarrangiamenti strutturali (PGT-SR). Parliamo di quegli embrioni un po’ “fuori standard”, quelli che di solito vengono messi da parte: gli zigoti senza pronuclei (0PN) o con un solo pronucleo (1PN).

Cosa sono questi zigoti ‘strani’? (0PN e 1PN)

Vedete, nel mondo ideale della PMA, dopo la fecondazione (specialmente con ICSI, l’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo), l’embriologo cerca un segnale ben preciso: la comparsa di due pronuclei (2PN) nello zigote, circa 16-18 ore dopo. Questi sono come due piccoli nuclei, uno materno e uno paterno, che si preparano a fondersi per dare il via allo sviluppo. È il segnale che la fecondazione è avvenuta correttamente.

Ma a volte, le cose non vanno proprio secondo i piani. Ci si può trovare davanti a zigoti che non mostrano alcun pronucleo (0PN) o ne mostrano solo uno (1PN). La prassi comune, e anche le linee guida europee (ESHRE), tendono a considerare questi zigoti come “anomali” o “difettosi”, e quindi inadatti al trasferimento in utero. Solitamente, vengono scartati. Una decisione difficile, soprattutto quando il numero di embrioni “buoni” è limitato.

Però, la biologia è piena di sorprese! Studi precedenti hanno mostrato che alcuni di questi embrioni 0PN e 1PN non solo possono iniziare a dividersi come quelli 2PN, ma possono anche avere un corredo cromosomico normale (diploide) e, in alcuni casi, il loro trasferimento ha portato a gravidanze e alla nascita di bambini sani. Immaginate cosa possa significare per una coppia sentirsi dire che l’unico embrione disponibile è uno di questi, e che potrebbe comunque dare una chance di gravidanza!

La sfida della PGT-SR

Ora, aggiungiamo un livello di complessità. Parliamo delle coppie che ricorrono alla PGT-SR. Queste persone sono spesso portatrici sane di traslocazioni cromosomiche bilanciate o altre anomalie strutturali. Loro stessi stanno bene, ma hanno un rischio molto più alto della media di produrre gameti (ovociti o spermatozoi) con un assetto cromosomico sbilanciato. Questo può tradursi in difficoltà a concepire, aborti ricorrenti o la nascita di bambini con problemi genetici.

Per queste coppie, la PGT-SR è fondamentale per selezionare gli embrioni che siano cromosomicamente normali o bilanciati prima del trasferimento. Il problema? Spesso, a causa dell’alto tasso di anomalie, serve un gran numero di embrioni da analizzare per trovarne uno idoneo. E qui sorge la domanda che ha guidato lo studio che vi racconto oggi: e se potessimo “recuperare” anche gli embrioni derivati da zigoti 0PN e 1PN in questi cicli PGT-SR, per aumentare le possibilità di trovare un embrione trasferibile?

Primo piano macro di uno zigote umano sotto microscopio, 100mm Macro lens, illuminazione controllata da laboratorio, si vedono chiaramente i pronuclei (o la loro assenza), alta definizione, focus preciso.

Lo Studio: Cosa abbiamo cercato di capire?

Abbiamo condotto uno studio retrospettivo, cioè siamo andati a rivedere i dati di cicli di PMA avvenuti tra il 2018 e il 2020. Abbiamo analizzato quasi 5000 zigoti provenienti da oltre 400 cicli. In un sottogruppo di 54 cicli, dove era stata eseguita la PGT-SR, abbiamo incluso nell’analisi genetica anche le blastocisti (embrioni arrivati al 5°/6° giorno di sviluppo) che si erano sviluppate a partire da zigoti 0PN e 1PN.

Grazie a tecniche avanzate di aplotipizzazione genomica (che permette di analizzare l’intero genoma e capire l’origine parentale dei cromosomi), abbiamo esaminato 343 embrioni: 33 derivati da 0PN, 36 da 1PN e 274 dai classici 2PN. L’obiettivo principale era vedere se l’inclusione di questi embrioni “atipici” migliorasse gli esiti finali, in particolare la nascita di bambini sani (sopravvivenza neonatale). Abbiamo anche guardato quanti embrioni diventavano idonei al trasferimento e il loro tasso di normalità cromosomica (euploidia).

Risultati sorprendenti (e un po’ complessi)

Allora, cosa abbiamo scoperto? Beh, alcune cose erano attese, altre meno.

  • Sviluppo a blastocisti: Come immaginavamo, gli embrioni 0PN e 1PN fanno più fatica a raggiungere lo stadio di blastocisti rispetto ai 2PN. Solo il 5,4% degli 0PN e il 21,6% degli 1PN ce l’hanno fatta, contro un bel 56,5% dei 2PN. Questo conferma che molti di questi zigoti hanno effettivamente problemi di sviluppo.
  • Qualità genetica (Euploidia): Qui arriva la sorpresa! Il tasso di euploidia (cioè di normalità cromosomica) nelle blastocisti derivate da 0PN non era statisticamente diverso da quello delle blastocisti 2PN (18,2% vs 33,2%). Sembra incredibile, ma suggerisce che l’assenza visibile dei pronuclei non sempre significa catastrofe genetica! Forse a volte l’osservazione avviene nel momento sbagliato? Per le blastocisti 1PN, invece, il tasso di euploidia era significativamente più basso (11,1%), e abbiamo trovato un’alta percentuale di origine ginogenetica (cioè derivati solo dall’ovocita, partenogenesi), ben il 38,9%. Questo conferma che molti 1PN sono effettivamente problematici.
  • Impatto clinico generale: Abbiamo poi guardato se, nei 54 cicli PGT-SR in cui abbiamo incluso 0PN e 1PN, ci fosse stato un aumento significativo del numero di embrioni congelati, di embrioni trasferibili, di trasferimenti effettuati o di bambini nati vivi. La risposta è stata: non in modo statisticamente significativo. C’è stato un leggero aumento in tutti questi parametri, ma non abbastanza da poter dire che l’inclusione faccia una differenza enorme *per tutti* i pazienti PGT-SR. Perché? Probabilmente perché questi pazienti, in media, tendono già ad avere un numero relativamente alto di embrioni 2PN da testare.
  • Impatto clinico specifico: Ma attenzione! Anche se *in media* la differenza non era enorme, in 5 cicli su 54, l’unico embrione risultato idoneo al trasferimento proveniva proprio da uno zigote 0PN o 1PN! Senza considerare questi embrioni, quelle coppie non avrebbero avuto alcuna possibilità di transfer in quel ciclo. E non è finita: abbiamo trasferito 5 di questi embrioni 0PN/1PN (ovviamente dopo aver verificato che fossero euploidi/bilanciati) e abbiamo ottenuto 3 nati vivi! Un tasso di successo del 60% per quei trasferimenti specifici. Questo ci dice che, per alcune coppie, questi embrioni possono davvero fare la differenza.

Scienziato in camice bianco che osserva attentamente una piastra di Petri con embrioni sotto un microscopio in un laboratorio di PMA high-tech, prime lens 35mm, profondità di campo ridotta focalizzata sulle mani e la piastra, ambiente sterile e luminoso.

Un altro dato interessante: sembra che avere una traslocazione cromosomica (il motivo per cui si fa la PGT-SR) non aumenti di per sé la probabilità di formare zigoti 0PN o 1PN. La loro frequenza era simile a quella riportata in altre popolazioni di pazienti PMA.

Quindi, li usiamo o no? Il verdetto

Alla luce di tutto questo, qual è la raccomandazione pratica? Lo studio suggerisce un approccio equilibrato.

Non raccomandiamo l’inclusione di routine degli embrioni 0PN e 1PN nei cicli PGT-SR se la coppia ha già un buon numero di embrioni 2PN da analizzare. La priorità va data sempre agli embrioni 2PN, che hanno tassi di sviluppo e di euploidia mediamente migliori.

MA… se una coppia si ritrova con pochi embrioni 2PN (lo studio suggerisce meno di tre) o addirittura nessuno, allora considerare l’analisi e l’eventuale utilizzo degli embrioni 0PN e 1PN diventa un’opzione valida e preziosa. Tra i due, sembra che gli 0PN offrano prospettive leggermente migliori rispetto agli 1PN, dato il loro tasso di euploidia più vicino a quello dei 2PN e la minore incidenza di problemi come la partenogenesi.

È fondamentale, però, che qualsiasi embrione 0PN o 1PN considerato per il trasferimento sia sottoposto a test genetici approfonditi come l’aplotipizzazione genomica a livello dell’intero genoma. Questo permette non solo di verificare l’assenza di aneuploidie (errori nel numero di cromosomi) e lo stato della traslocazione, ma anche di confermare la diploidia biparentale (cioè che l’embrione abbia il giusto numero di cromosomi, metà dalla madre e metà dal padre) e di escludere anomalie di ploidia (come triploidia o aploidia).

Ritratto fotografico di una coppia felice che tiene in braccio un neonato, luce naturale morbida che entra da una finestra, prime lens 50mm, espressioni gioiose e commosse, bianco e nero film, atmosfera intima.

In conclusione, questo studio ci ricorda che nel campo della PMA non dovremmo dare nulla per scontato. Quelli che sembrano “scarti” potrebbero nascondere un potenziale inaspettato, specialmente per le coppie che affrontano le sfide più complesse come quelle della PGT-SR. Non è una soluzione universale, ma un’opzione personalizzata in più, da valutare caso per caso, che può offrire una speranza concreta dove prima forse non c’era. E questo, per me, è il bello della ricerca scientifica applicata alla vita.

Fonte: Springer

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