Sonar Militare e Balene Misteriose: Cosa Succede Davvero Sott’acqua alle Hawaii?
Il Mistero degli Abissi e il Rombo dei Sonar
Avete mai pensato a cosa si nasconde nelle profondità oceaniche più remote? Io sì, spessissimo. Tra le creature più affascinanti e èlusive ci sono senza dubbio gli zifidi, o balene dal becco. Sono mammiferi marini incredibilmente schivi, capaci di immersioni che sfidano l’immaginazione, raggiungendo profondità abissali per cacciare. Proprio per questa loro natura riservata, studiarli è un vero rompicapo. Ma c’è un’ombra che si allunga su questi giganti gentili: il suono potente dei sonar militari a media frequenza (MFAS). In passato, eventi di spiaggiamento di massa di questi animali sono coincisi in modo preoccupante con esercitazioni navali che utilizzavano questi sonar. Un campanello d’allarme che non potevamo ignorare.
Ci siamo chiesti: cosa succede davvero là sotto quando questi suoni attraversano l’oceano? Come reagiscono gli zifidi? È panico totale? O riescono in qualche modo a conviverci? Per cercare risposte, abbiamo intrapreso uno studio affascinante nelle acque cristalline al largo di Kauaʻi, nelle Hawaii, presso la Pacific Missile Range Facility (PMRF), un’area dove la Marina statunitense svolge regolarmente esercitazioni.
Tecnologia Satellitare per Spiare i Giganti
Studiare animali che passano gran parte della loro vita a centinaia, se non migliaia, di metri di profondità non è una passeggiata. Molti studi precedenti si sono basati su esperimenti controllati (chiamati CEE), utilizzando tag a breve termine ad alta risoluzione e esponendo gli animali a brevi sessioni di sonar simulato, spesso da sorgenti relativamente vicine. Utili, certo, ma volevamo vedere il quadro completo, la reazione in uno scenario realistico, durante vere esercitazioni navali che durano giorni e coinvolgono più sorgenti sonar sparse su vaste aree.
La nostra arma segreta? Piccoli trasmettitori satellitari. Ne abbiamo applicati con delicatezza su quattro zifidi di Blainville (Mesoplodon densirostris), una delle specie più comuni in quelle acque, proprio prima dell’inizio di importanti esercitazioni chiamate Submarine Command Courses (SCCs). Questi tag, alcuni solo per la localizzazione (SPOT5) e altri anche per la profondità (SPLASH10-F), ci hanno permesso di seguire i loro movimenti e le loro abitudini di immersione per giorni, a volte settimane, coprendo le fasi prima, durante e dopo le attività sonar. Immaginate di avere un GPS e un profondimetro su una balena che viaggia nell’oceano!
Sincronia Interrotta e Immersioni Sotto Esame
Una delle prime scoperte più intriganti riguarda due zifidi che abbiamo taggato nello stesso gruppo nel 2021, un maschio e una femmina adulti. Per quasi una settimana prima dell’inizio del sonar più potente (quello montato sugli scafi delle navi), questi due animali sono rimasti incredibilmente sincronizzati. Si immergevano insieme, risalivano insieme, si muovevano come un’unica entità. Una danza subacquea affascinante. Ma poi, con l’arrivo del MFAS, qualcosa è cambiato. I loro tracciati hanno iniziato a divergere, suggerendo che si fossero separati. È stato il sonar a dividerli? È una delle domande che ci siamo posti.
Grazie ai tag che registravano le immersioni (SPLASH10-F), abbiamo potuto analizzare nel dettaglio il loro comportamento verticale. Abbiamo confrontato le metriche delle immersioni (profondità massima, durata, intervalli tra immersioni profonde) prima dell’esposizione al sonar (il nostro periodo “baseline”) con quelle durante le fasi di attività sonar. E qui arriva la sorpresa: nonostante l’esposizione al MFAS, proveniente da diverse fonti come navi, elicotteri (sonar calato in acqua) e boe sonar attive, i cambiamenti nel comportamento di immersione sono stati minimi. Certo, abbiamo notato qualche variazione: ad esempio, durante l’esposizione, la profondità di un’immersione intermedia (tra 50 e 300 metri) è risultata “atipica”, fuori dal 95% dei valori normali osservati prima del sonar. Anche le immersioni intermedie durante gli intervalli tra le grandi cacce in profondità (chiamati IDDI) tendevano ad essere leggermente più lunghe e profonde del solito durante e dopo l’esposizione.
Ma la cosa fondamentale è che gli zifidi hanno continuato a fare le loro spettacolari immersioni profonde, quelle dedicate alla ricerca di cibo, anche durante l’attività sonar. Come lo sappiamo? Abbiamo fatto un passo in più, collegando per la prima volta i dati dei tag con le rilevazioni acustiche della rete di idrofoni sottomarini della PMRF. Questi idrofoni captano i “click” di ecolocalizzazione che gli zifidi usano per cacciare, raggruppati in quelli che chiamiamo Periodi Vocali di Gruppo (GVP). Siamo riusciti ad associare 23 immersioni profonde dei nostri animali taggati a specifici GVP rilevati dagli idrofoni, e ben tre di queste corrispondenze sono avvenute proprio mentre il sonar era attivo! Questo ci dice che, almeno in quei casi, non hanno smesso di cercare cibo.
Movimenti Orizzontali: Cambiamenti Sì, Fuga No
Se le immersioni non hanno mostrato stravolgimenti drammatici, cosa ci dicono i movimenti orizzontali? Qui abbiamo osservato qualche cambiamento più marcato. Analizzando parametri come la direzione (bearing), la lunghezza del passo tra una localizzazione e l’altra, la velocità e l’angolo di virata, abbiamo trovato differenze statisticamente significative tra le varie fasi delle esercitazioni (Prima, Fase A senza sonar potente, Interfase, Fase B con sonar potente, Dopo) per almeno uno degli zifidi esposti.
Tutti e tre gli zifidi esposti al MFAS si sono effettivamente allontanati dall’area centrale dell’attività sonar, spostandosi verso ovest, in un canale tra le isole di Kauaʻi e Niʻihau. A volte si sono allontanati di decine di chilometri (fino a 70 km dalla nave più vicina). Tuttavia – e questo è un punto cruciale – non hanno abbandonato l’area. Sono rimasti in zone adiacenti alla PMRF, habitat noti per essere frequentati dagli zifidi, continuando a utilizzare acque con profondità e pendenze simili a quelle della facility. Anzi, due dei tre animali (quelli i cui tag hanno trasmesso abbastanza a lungo) sono addirittura tornati verso l’area della PMRF una volta terminate le esercitazioni.
Quindi, niente fughe precipitose o abbandono prolungato dell’area, come invece osservato in alcuni studi precedenti, specialmente quelli con esposizioni più ravvicinate. La risposta sembra essere stata più una sorta di evitamento temporaneo e locale. È interessante notare che la risposta variava anche da individuo a individuo. Ad esempio, la velocità e la lunghezza del passo sono diminuite per uno zifide durante la fase sonar più intensa, mentre per un altro (quello che si era separato dalla compagna) sono diminuite rispetto alla fase precedente, ma per la femmina inizialmente erano aumentate. Insomma, non una reazione univoca.
Perché Questa Risposta “Moderata”?
La domanda sorge spontanea: perché questi zifidi non hanno mostrato le reazioni più drastiche viste altrove o ipotizzate dopo gli spiaggiamenti? Le ragioni potrebbero essere molteplici e interagire tra loro:
- Distanza e Livelli Sonori: Sebbene i livelli sonori ricevuti (RLs) stimati abbiano raggiunto picchi fino a 148 dB re 1 µPa (un suono decisamente forte sott’acqua), le sorgenti sonar erano relativamente distanti, mai più vicine di 18 km. Studi precedenti suggeriscono che la vicinanza alla sorgente sia un fattore chiave per scatenare reazioni forti. Forse, a quella distanza, il suono era percepito come meno minaccioso?
- Abituazione o Tolleranza: La popolazione di zifidi di Blainville al largo di Kauaʻi potrebbe essere residente o semi-residente. Se così fosse, questi animali potrebbero essere stati esposti ripetutamente ai suoni delle attività navali nel corso degli anni, sviluppando una sorta di abituazione o imparando a tollerare il disturbo, magari perché…
- Importanza dell’Habitat e del Cibo: …quell’area è particolarmente ricca di prede. Le esigenze alimentari potrebbero essere un motore così potente da spingere gli animali a rimanere in zona e continuare a nutrirsi nonostante il rumore, soprattutto se le alternative sono scarse.
- Contesto Ambientale: La batimetria e l’acustica sottomarina della PMRF, con le sue acque profonde che degradano rapidamente dalla costa, sono diverse da quelle di altre aree di studio (come AUTEC nelle Bahamas o SOAR in California), dove le acque profonde sono più “intrappolate” da rilievi sottomarini. Questo potrebbe influenzare la propagazione del suono e la percezione del rischio da parte degli animali.
- Complessità dello Scenario Reale: A differenza degli esperimenti controllati con una singola sorgente, qui avevamo più navi, elicotteri e boe attive in momenti diversi e in luoghi diversi. Forse questa complessità rende più difficile per gli animali localizzare una minaccia specifica e attuare una fuga direzionata?
Cosa Abbiamo Imparato e Cosa Resta da Scoprire
Questo studio, sebbene basato su un piccolo numero di animali, ci ha regalato preziose informazioni. Abbiamo visto che gli zifidi di Blainville alla PMRF mostrano sì delle risposte comportamentali al sonar militare (cambiamenti nei movimenti, forse la separazione di un gruppo), ma non sembrano impegnarsi in un evitamento prolungato o abbandonare un habitat importante. Hanno continuato a immergersi profondamente, e in alcuni casi abbiamo la prova che stessero ancora cacciando durante l’esposizione.
La capacità di collegare i dati dei tag satellitari con le rilevazioni acustiche passive è un passo avanti enorme, che ci aiuta a interpretare meglio cosa significano quelle immersioni profonde durante le attività sonar. Abbiamo anche raccolto nuovi dati sul comportamento “normale” di questi animali a Kauaʻi e osservato la forte sincronia tra un maschio e una femmina, suggerendo legami sociali forse più complessi di quanto pensassimo.
Ma il mistero degli zifidi è lungi dall’essere risolto. C’è ancora tantissimo da capire sulla loro vita, sulla struttura della loro popolazione a Kauaʻi (sono davvero residenti?), su come l’esposizione ripetuta al sonar possa influenzarli a lungo termine (anche se le reazioni immediate sembrano moderate) e su come la disponibilità di cibo influenzi le loro decisioni. Servono più studi, più tag, più foto-identificazione e magari anche mappe delle loro prede per dipingere un quadro completo.
Per ora, possiamo dire che la relazione tra questi enigmatici abitanti degli abissi e i suoni delle nostre attività è complessa, sfumata e probabilmente dipende da una miriade di fattori. Continuare a studiarli, con rispetto e tecnologie innovative, è fondamentale per garantire la loro sopravvivenza nei nostri oceani sempre più rumorosi.
Fonte: Springer