Wolbachia e Flebotomi: Un Batterio “Segreto” Potrebbe Rivoluzionare la Lotta alla Leishmaniosi?
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel mondo microscopico, alla scoperta di un batterio che potrebbe diventare un nostro alleato inaspettato nella lotta contro una malattia insidiosa: la leishmaniosi. Parliamo di Wolbachia e del suo rapporto con i flebotomi, quei piccoli insetti simili a zanzare che, purtroppo, sono i vettori di questa patologia.
La leishmaniosi, causata da parassiti del genere Leishmania, è un problema serio, soprattutto in alcune aree del mondo. Ogni anno si registrano circa un milione di nuove infezioni, con forme che vanno da quella cutanea, deturpante, a quella viscerale, che può essere fatale se non curata. Paesi come il Marocco sono tra i più colpiti dalla forma cutanea, mentre in Spagna, come in gran parte del bacino del Mediterraneo occidentale, la malattia è presente ma spesso sottodiagnosticata.
Il controllo di queste malattie si basa principalmente sulla lotta ai vettori, cioè ai flebotomi. Ma l’uso massiccio di insetticidi sta portando a resistenze sempre più diffuse, rendendo necessarie nuove strategie. Ed è qui che entra in gioco il nostro protagonista: Wolbachia pipientis.
Chi è Wolbachia? Un ospite (a volte) manipolatore
Wolbachia è un batterio intracellulare, un simbionte che vive all’interno delle cellule di tantissimi insetti, inclusi i nostri flebotomi. È un vero maestro della manipolazione! Viene trasmesso dalla madre alla prole e può influenzare la riproduzione degli insetti in modi sorprendenti:
- Partenogenesi (riproduzione senza maschio)
- Femminilizzazione (maschi trasformati in femmine)
- Uccisione dei maschi
- Incompatibilità citoplasmatica (CI): questo è il meccanismo che ci interessa di più. In pratica, se un maschio infetto da Wolbachia si accoppia con una femmina non infetta (o infetta da un ceppo incompatibile), le uova non si sviluppano o danno origine a prole non vitale. Immaginate il potenziale: diffondere Wolbachia in una popolazione di flebotomi potrebbe ridurne drasticamente il numero!
L’idea di usare Wolbachia come strumento di controllo biologico non è nuova, ma per applicarla efficacemente contro la leishmaniosi, dobbiamo prima capire bene come questo batterio circola nelle popolazioni selvatiche di flebotomi, quali ceppi sono presenti e come interagiscono con i loro ospiti.
La nostra indagine tra Spagna e Marocco
Proprio per rispondere a queste domande, abbiamo intrapreso uno studio focalizzato su Spagna e Marocco, due paesi dove la leishmaniosi è endemica. Il nostro obiettivo? Stimare quanto è diffusa l’infezione da Wolbachia nei flebotomi selvatici e identificare i ceppi circolanti, con un occhio di riguardo per Phlebotomus perniciosus (principale vettore della leishmaniosi zoonotica da L. infantum) e Phlebotomus sergenti (vettore della leishmaniosi cutanea antroponotica da L. tropica).
Abbiamo raccolto centinaia di flebotomi usando trappole luminose CDC in diverse località, dalla provincia di Granada in Spagna, con i suoi climi variegati (continentale, montano, subtropicale), alla provincia di Settat in Marocco, prevalentemente rurale e con un clima temperato freddo semi-arido.
Una volta in laboratorio, abbiamo identificato meticolosamente ogni esemplare (maschi e femmine, appartenenti a diverse specie come P. perniciosus, P. sergenti, P. papatasi, P. ariasi, P. langeroni e Sergentomyia minuta) e poi siamo andati a caccia del DNA di Wolbachia usando la tecnica della PCR (Reazione a Catena della Polimerasi) su un gene specifico del batterio, chiamato wsp.
Risultati sorprendenti: un quadro complesso
Cosa abbiamo scoperto? Beh, i risultati sono stati davvero interessanti e hanno dipinto un quadro più complesso di quanto ci aspettassimo.
Globalmente, quasi la metà dei flebotomi analizzati (il 45.8%) è risultata positiva a Wolbachia, senza differenze significative tra maschi e femmine.
In Spagna:
- L’infezione era presente nel 50.4% degli esemplari.
- Abbiamo notato differenze significative tra le specie: P. perniciosus (il vettore principale di L. infantum) e P. papatasi mostravano tassi di infezione elevati (oltre il 60% e il 67% rispettivamente).
- Altre specie come P. ariasi, P. langeroni (anch’essi sospetti vettori di L. infantum) e S. minuta erano infette, ma con tassi molto più bassi. Questa è la prima volta che si trova Wolbachia in P. ariasi e P. langeroni!
- Colpo di scena: Nessun esemplare di P. sergenti catturato in Spagna è risultato infetto da Wolbachia. Abbiamo controllato anche esemplari provenienti da altre zone della Spagna, confermando questa assenza (anche se il campione totale non è enorme, quindi cautela!).
- Curiosamente, tutti i vettori provati o sospetti di L. infantum (P. perniciosus, P. ariasi, P. langeroni) e persino S. minuta condividevano lo stesso identico ceppo di Wolbachia (chiamato wPrn, già trovato in Italia). P. papatasi, invece, ospitava un ceppo diverso (wPap).
- Abbiamo anche notato differenze di prevalenza tra i siti di cattura, con tassi più bassi nel sito a quota più elevata (oltre 1800m). Anche se non abbiamo trovato una correlazione diretta con la temperatura o l’altitudine come variabili continue, sembra che le temperature estreme (forse il freddo intenso in alta quota) possano giocare un ruolo nel ridurre la presenza di Wolbachia.
In Marocco:
- Il tasso di infezione generale era più basso (26.5%).
- Nessuna differenza significativa tra specie o siti di cattura.
- Altro colpo di scena: Qui, P. sergenti era infetto! E non solo: abbiamo trovato due ceppi diversi di Wolbachia in questa specie, in due località vicine ma epidemiologicamente molto diverse. A Sidi Hajjaj (area non endemica per la leishmaniosi cutanea), abbiamo trovato il ceppo wPap (lo stesso di P. papatasi in Spagna). A El Borouj, invece, un’area con un focolaio attivo di leishmaniosi cutanea antroponotica, abbiamo identificato un ceppo diverso, più simile a quelli trovati nel moscerino della frutta Drosophila (tipo wMel).
- Anche P. perniciosus marocchino ospitava il ceppo wPrn (come in Spagna), mentre in P. longicuspis (una specie nordafricana simile a P. perniciosus) abbiamo trovato un ceppo quasi identico a wPrn, con una sola piccola differenza.
Diversità genetica e la proteina WSP: una possibile chiave?
In totale, abbiamo identificato cinque diversi aplotipi (varianti genetiche) del gene wsp di Wolbachia, appartenenti ai due supergruppi principali conosciuti (A e B). L’analisi filogenetica ha confermato queste relazioni, raggruppando i ceppi wPrn e wPap come ci aspettavamo, e posizionando i due ceppi marocchini di P. sergenti in gruppi distinti (Pap e Mel).
Il fatto che specie diverse che vivono nello stesso ambiente (come P. perniciosus, P. ariasi, P. langeroni e S. minuta in Spagna) condividano lo stesso ceppo di Wolbachia suggerisce che possa avvenire una trasmissione orizzontale tra specie, forse attraverso predazione, parassiti condivisi o fonti di cibo comuni. Non si può escludere nemmeno l’ibridazione tra specie ospiti vicine.
Ma la parte forse più intrigante riguarda la proteina codificata dal gene wsp: la Wolbachia Surface Protein (WSP). Questa proteina si trova sulla membrana più esterna del batterio ed è un po’ la sua “carta d’identità” molecolare, quella che interagisce con l’ambiente esterno e, potenzialmente, con il sistema immunitario dell’ospite e con altri patogeni come Leishmania.
La WSP ha una struttura a “barile” con otto foglietti beta antiparalleli, connessi da quattro anse (loop) extracellulari. Queste anse sono le regioni più variabili della proteina. Analizzando la sequenza aminoacidica prevista per i nostri cinque aplotipi, abbiamo fatto una scoperta notevole: l’aplotipo di Wolbachia trovato in P. sergenti a El Borouj (l’area del focolaio di leishmaniosi cutanea) presenta un’inserzione unica di nove amminoacidi nella quarta ansa, assente in tutti gli altri aplotipi! Questa inserzione allunga l’ansa di circa 10 Ångström.
Implicazioni e direzioni future: siamo sulla strada giusta?
Cosa significa tutto questo? Innanzitutto, abbiamo confermato che Wolbachia è un ospite comune nei flebotomi del Mediterraneo occidentale, ma con una distribuzione e una diversità di ceppi che dipendono fortemente dalla specie del flebotomo e dalla località geografica.
L’assenza di Wolbachia in P. sergenti spagnolo, contrapposta alla presenza di due ceppi diversi in Marocco (uno dei quali associato a un’area di focolaio e con una WSP strutturalmente unica), è particolarmente suggestiva. Potrebbe esserci un legame tra il ceppo di Wolbachia, la linea genetica del flebotomo ospite (sappiamo già che ci sono differenze genetiche tra le popolazioni di P. sergenti spagnole e marocchine) e la capacità del flebotomo di trasmettere Leishmania?
L’ipotesi è che queste variazioni nella proteina WSP, specialmente nelle anse extracellulari, possano influenzare il modo in cui Wolbachia interagisce con il sistema immunitario del flebotomo e, di conseguenza, la sua capacità di ospitare e sviluppare il parassita Leishmania. Alcuni ceppi di Wolbachia potrebbero rendere il flebotomo più resistente a Leishmania, mentre altri potrebbero non avere effetto o, chissà, addirittura favorirlo?
Questi risultati sono estremamente promettenti. Ci dicono che non possiamo considerare Wolbachia come un’entità unica. Ogni ceppo potrebbe avere effetti diversi. La scoperta dell’inserzione nella WSP nel ceppo di El Borouj apre una porta affascinante: queste differenze strutturali potrebbero essere la chiave per capire (e magari manipolare) l’interazione tripartita tra Wolbachia, flebotomo e Leishmania.
C’è ancora tantissimo lavoro da fare. Servono studi più approfonditi per caratterizzare ulteriormente i ceppi circolanti, per capire come le condizioni ambientali e la genetica dell’ospite influenzano la presenza di Wolbachia, e soprattutto per studiare direttamente, sia in vitro che in vivo, come i diversi ceppi di Wolbachia (con le loro specifiche WSP) influenzano lo sviluppo di Leishmania all’interno delle diverse specie e linee genetiche di flebotomi.
Solo capendo a fondo queste complesse interazioni potremo valutare seriamente se e come utilizzare Wolbachia come un’arma biologica mirata ed efficace per ridurre la trasmissione della leishmaniosi. La strada è ancora lunga, ma i primi passi sono stati fatti e la direzione sembra incredibilmente stimolante!
Fonte: Springer