Vuoti di Memoria Inquietanti: Il Trauma Complesso e il Corpo che Ricorda
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di profondo e, per molti versi, ancora misterioso: la memoria traumatica. Spesso, quando pensiamo al trauma, ci vengono in mente i flashback, quei ricordi vividi e invadenti che riportano al momento dell’evento. Ma c’è un altro lato della medaglia, meno esplorato ma altrettanto significativo: i vuoti di memoria. Avete presente quella sensazione di avere “grandi pezzi di memoria vuota”, come l’ha descritta un sopravvissuto? Ecco, parliamo proprio di questo.
Non si tratta semplicemente di “non ricordare”. Molti sopravvissuti a traumi complessi – quelli cronici, interpersonali, spesso subiti durante lo sviluppo – raccontano che questi vuoti non sono neutri. Anzi, sono spesso percepiti come inquietanti, minacciosi, come se nascondessero qualcosa di oscuro in agguato, anche se non si riesce a definire cosa. È un’esperienza difficile da spiegare e, sorprendentemente, ancora poco compresa dalla ricerca.
Cos’è il Trauma Complesso e Perché Causa Vuoti di Memoria?
Prima di addentrarci nei meandri della memoria, chiariamo cosa intendiamo per trauma complesso (spesso abbreviato in CPTSD, Complex Post-Traumatic Stress Disorder). A differenza del PTSD “classico”, che può derivare da un singolo evento traumatico (un incidente, un disastro naturale), il CPTSD è tipicamente legato a esperienze traumatiche prolungate e interpersonali. Pensiamo a:
- Abusi fisici, emotivi o sessuali nell’infanzia
- Negligenza prolungata
- Violenza domestica
- Tortura
- Combattimento o sfollamento prolungato
Queste esperienze lasciano segni profondi, non solo sotto forma di ricordi invadenti, ma anche attraverso difficoltà nella regolazione emotiva, convinzioni negative su di sé (senso di colpa, vergogna) e problemi relazionali. Un elemento chiave, comune a condizioni legate al trauma complesso come il CPTSD stesso, il Disturbo Borderline di Personalità (BPD) e il Disturbo Dissociativo dell’Identità (DID), è la dissociazione.
La dissociazione è un meccanismo complesso, una sorta di disconnessione dalla realtà, dalla propria identità, dalle proprie sensazioni o, appunto, dai propri ricordi. È come se la mente, per proteggersi da un dolore insopportabile e ineluttabile, mettesse una distanza. Questa disconnessione può manifestarsi in molti modi: sentirsi irreali (depersonalizzazione), vedere il mondo come strano o distante (derealizzazione), “spegnersi” mentalmente (zoning out) e, appunto, avere amnesie per gli eventi traumatici o persino per periodi della vita quotidiana post-traumatica.
Il Paradosso Inquietante dei Vuoti
Torniamo ai nostri vuoti di memoria. La cosa affascinante, e allo stesso tempo angosciante, è che questi “buchi” non sono percepiti come semplici assenze. Molti sopravvissuti descrivono una sensazione tangibile di disagio, di minaccia indefinita, quando cercano di avvicinarsi a questi spazi vuoti nella loro storia. Come ha raccontato una partecipante a uno studio, avvicinarsi a questi ricordi frammentati la fa sentire “nauseata, tremante e sensibile”, oppure, al contrario, “quasi incorporea”.
È come trovarsi davanti a una porta chiusa: non è la porta in sé a fare paura, ma l’ignoto terrificante che si *potrebbe* celare dietro di essa. Addirittura, alcuni sopravvissuti raccontano di provare questa angoscia anche senza avere prove concrete o ricordi parziali del trauma. C’è solo una sensazione opprimente che “qualcosa sia successo”, un senso di perdita, di oscurità, accompagnato da reazioni fisiche inspiegabili.
Una testimonianza toccante viene dal progetto documentario “Paper Birds” di A.C. Brooke (2022). Descrive come una sensazione vaga ma persistente di un trauma “dimenticato” nella sua infanzia l’abbia portata a manifestazioni somatiche incontrollate:
“Era un Tweet o qualcosa del genere, qualcosa di insignificante, ma quando l’ho letto qualcosa nel mio corpo ha fatto click e improvvisamente mi sono ricordata che qualcosa era successo nella mia infanzia… Potevo ricordare che qualcosa era successo ma non riuscivo a ricordare cosa fosse… Aspettavo che passasse, ma non succedeva e mi sentivo come se ci fosse questa scatola nella mia testa, che ci fosse qualcosa lì ma non sapevo cosa ci fosse dentro…”
Quando poi ne parla con la madre, menzionando “la scatola”, la reazione fisica è travolgente: tremori violenti, pianto, iperventilazione, perdita totale del controllo corporeo. È il corpo che urla un pericolo che la mente cosciente non riesce a nominare.
E se il Corpo Ricordasse? L’Idea della Memoria Corporea
Come possiamo spiegare questa sensazione di minaccia legata a un vuoto? Qui entra in gioco un concetto affascinante proveniente dalla fenomenologia: la memoria corporea (body memory). Non si tratta di ricordi espliciti, narrativi, come quelli che immagazziniamo nella nostra memoria episodica (“ricordo che quel giorno…”) o semantica (“so che sono stato abusato”). La memoria corporea è più simile a una memoria implicita, abituale, inscritta nel nostro corpo vissuto.
Pensate a imparare ad andare in bicicletta o a suonare uno strumento. All’inizio ci vuole sforzo cosciente, ma poi i movimenti diventano automatici, fluidi. Il corpo “sa” cosa fare senza che dobbiamo pensarci attivamente. Questa è una forma di memoria corporea: disposizioni acquisite, abitudini, reazioni automatiche che modellano il nostro modo di essere nel mondo. È il corpo che “mette in atto” il passato, piuttosto che rappresentarlo mentalmente (come hanno spiegato pensatori come Casey e Fuchs).
Questa memoria corporea non riguarda solo abilità motorie. Include anche risposte emotive, posture, tensioni muscolari, modi di percepire e reagire al mondo, plasmati dalle nostre esperienze passate, specialmente quelle ripetute e intense come nel trauma complesso. Fuchs (2012) sostiene che il trauma lascia l’impronta più indelebile proprio nel corpo vissuto, sedimentandosi e riattivandosi in momenti che richiamano, anche inconsciamente, la storia traumatica. E questo può accadere anche quando i dettagli dell’evento sono inaccessibili alla memoria cosciente.
La Memoria Corporea Dissociativa: Dare un Nome all’Inquietudine
Partendo da qui, propongo un’interpretazione: ciò che i sopravvissuti sperimentano come un vuoto inquietante potrebbe essere legato a una forma specifica di memoria corporea, che potremmo chiamare memoria corporea dissociativa. Questa idea si basa su due caratteristiche centrali:
1. Dissociazione Abituale: Abbiamo detto che la dissociazione è comune nel trauma complesso, spesso iniziando come meccanismo di difesa *durante* l’evento traumatico (dissociazione peri-traumatica). Esperienze come sentirsi fuori dal corpo, vedere sé stessi da fuori, sentirsi irreali, alterazioni sensoriali… queste non sono solo esperienze momentanee. Con la ripetizione del trauma, la dissociazione può diventare una risposta abituale, quasi automatica, anche a stress minori. Questa tendenza a dissociare diventa parte della memoria corporea.
Quando un sopravvissuto si avvicina al “vuoto” nella sua memoria, ciò che viene riattivato non è il ricordo dell’evento (che manca), ma la risposta dissociativa stessa. Il corpo “ricorda” la disconnessione, la sensazione di irrealtà, il sentirsi fluttuare via. Questo “ricordo” corporeo è molto reale, ma manca di contenuto narrativo (“cosa è successo?”). È proprio questa assenza di contesto, unita alla stranezza della sensazione dissociativa, che rende il vuoto così tangibile e disturbante. Il vuoto non è veramente vuoto: è pieno della memoria della dissociazione.
2. Salienza Protentiva (L’Aspettativa del Peggio): Qui ci aiuta un altro concetto filosofico, preso da Edmund Husserl e la sua analisi della coscienza interna del tempo. Husserl parlava di come la nostra coscienza integri passato (ritenzione), presente (impressione primaria) e futuro (protensione). Normalmente, questi aspetti sono bilanciati. Nella memoria corporea dissociativa, però, questo equilibrio sembra saltare.
La memoria del passato (episodica) è inaccessibile o frammentata. La percezione del presente è alterata dalla dissociazione stessa (ci si sente distaccati, irreali). Cosa rimane? Rimane una forte enfasi sulla protensione, sull’aspettativa del futuro. Ma non un’aspettativa neutra: è un’anticipazione pre-riflessiva, corporea, di danno imminente. Il corpo, memore dei pericoli passati, rimane in uno stato di allerta costante, proiettato verso una minaccia futura, anche se indefinita.
Questa “salienza protentiva” spiega l’angoscia, il senso di presagio che accompagna i vuoti di memoria. Non si teme solo ciò che *potrebbe* essere successo nel passato ignoto, ma si vive in una costante, corporea aspettativa che qualcosa di terribile stia *per* accadere di nuovo. È un futuro che incombe, oscuro e senza nome.
Cosa Significa Tutto Questo? Implicazioni Cliniche e Teoriche
Capire i vuoti di memoria in questi termini ha implicazioni enormi.
- Validazione dell’Esperienza: Riconoscere che questi vuoti non sono “solo dimenticanza” ma un’esperienza corporea attiva e angosciante è fondamentale per validare il vissuto dei sopravvissuti. Troppo spesso si sentono dire che i loro ricordi sono confusi o inaffidabili, il che può essere profondamente ri-traumatizzante.
- Approccio Terapeutico: La terapia per il trauma complesso potrebbe beneficiare dal considerare le risposte dissociative corporee come forme di memoria a sé stanti. Invece di focalizzarsi solo sul “riempire i buchi” (cosa spesso impossibile o controproducente), si potrebbe lavorare sull’aiutare i sopravvissuti a riconoscere, comprendere e gestire queste memorie corporee dissociative, riducendo forse l’angoscia legata all’ignoto. Si tratta di imparare a leggere il linguaggio del corpo.
- Comprensione Diagnostica: Questa esperienza dei vuoti inquietanti potrebbe essere una caratteristica distintiva, finora poco riconosciuta, delle condizioni legate al trauma complesso come CPTSD, BPD e DID. Questo sottolinea l’importanza per i clinici di indagare attivamente non solo i ricordi presenti, ma anche l’esperienza delle amnesie e della dissociazione.
Non sto dicendo che le risposte dissociative siano *solo* memoria e non abbiano una componente affettiva. Certo che ce l’hanno! Ma ridurle a mere reazioni emotive a uno stimolo non coglie la loro natura abituale, pre-riflessiva, corporea e spesso sproporzionata rispetto al contesto presente. È il corpo che “ri-mette in scena” una modalità di sopravvivenza appresa nel passato.
In conclusione, quei “grandi pezzi di memoria vuota” non sono affatto vuoti. Sono spazi carichi di significato, anche se un significato difficile da decifrare. Sono pieni della memoria corporea della dissociazione e dell’ombra lunga di un pericolo anticipato. Ascoltare queste esperienze, senza liquidarle come semplice dimenticanza, è cruciale. I sopravvissuti di traumi complessi meritano supporto non solo per ciò che ricordano, ma anche, e forse soprattutto, per ciò che sentono di non poter ricordare, per quei vuoti che urlano silenziosamente nel loro corpo.
Fonte: Springer