Vitamina D nella Dieta: Un Raggio di Sole per la Mente degli Anziani a Rischio?
Amici, parliamoci chiaro: chi di noi non si preoccupa un po’ per la propria memoria e lucidità mentale con l’avanzare dell’età? È un pensiero comune, e la scienza è costantemente alla ricerca di modi per aiutarci a mantenere il cervello in forma smagliante il più a lungo possibile. E se vi dicessi che un aiuto potrebbe arrivare direttamente dalla nostra tavola, e in particolare da una vitamina che spesso associamo al sole? Esatto, sto parlando della vitamina D!
Recentemente mi sono imbattuto in uno studio affascinante che ha messo sotto la lente d’ingrandimento proprio il legame tra l’assunzione di vitamina D con la dieta e i cambiamenti nelle funzioni cognitive in un gruppo di persone anziane, per giunta con qualche chiletto di troppo o obesità e la cosiddetta sindrome metabolica. Insomma, una popolazione particolarmente interessante perché già considerata a rischio di declino cognitivo.
Ma cosa c’entra la vitamina D con il nostro cervello?
Forse non tutti sanno che la vitamina D non è solo l’amica delle ossa. Nel nostro cervello, agisce quasi come un “neurosteroide”, una sostanza che ha un ruolo in diverse funzioni cerebrali, inclusa la nascita di nuovi neuroni (neurogenesi) e la protezione di quelli esistenti (neuroprotezione). Pensate che nel cervello ci sono proprio dei recettori specifici per la vitamina D, e si trovano in aree cruciali per i nostri processi cognitivi!
Studi precedenti avevano già suggerito che bassi livelli di vitamina D nel sangue potessero essere collegati a performance cognitive peggiori e a un rischio più alto di declino. Addirittura, chi ha una carenza di vitamina D sembra avere un rischio doppio di sviluppare demenza.
Ora, la vitamina D la produciamo principalmente grazie all’esposizione solare, ma una parte arriva anche da ciò che mangiamo. E per gli anziani, o per chi è in sovrappeso, l’apporto dalla dieta diventa ancora più cruciale, perché la capacità della pelle di sintetizzarla con il sole diminuisce.
Lo studio PREDIMED-Plus: una lente d’ingrandimento sulla questione
Lo studio che ha attirato la mia attenzione è stato condotto nell’ambito del progetto PREDIMED-Plus, un grosso trial spagnolo. I ricercatori hanno seguito per due anni ben 5454 persone, uomini tra i 55 e i 75 anni e donne tra i 60 e i 75 anni, tutti con sovrappeso o obesità e almeno tre criteri della sindrome metabolica (quel mix di fattori di rischio come pressione alta, glicemia sballata, colesterolo così così e un po’ di pancetta).
Hanno raccolto dati dettagliatissimi sulla loro alimentazione usando un questionario validato su ben 143 alimenti, per stimare quanta vitamina D assumessero con la dieta. Parallelamente, hanno misurato le loro funzioni cognitive all’inizio dello studio e dopo due anni, usando una batteria completa di otto test neuropsicologici. Questi test andavano a valutare:
- La funzione cognitiva globale
- La funzione cognitiva generale
- L’attenzione
- Le funzioni esecutive (quelle che ci aiutano a pianificare, organizzarci, risolvere problemi)
- Il linguaggio
L’obiettivo era chiaro: vedere se chi mangiava più cibi ricchi di vitamina D avesse avuto cambiamenti migliori nelle proprie capacità cognitive dopo due anni.
I risultati: una luce in fondo al tunnel?
Ebbene sì, i risultati sono stati piuttosto incoraggianti, anche se, come vedremo, con la dovuta cautela. Dopo aver aggiustato i dati per tenere conto di un sacco di altri fattori che potrebbero influenzare la cognizione (età, sesso, livello di istruzione, attività fisica, fumo, altre condizioni mediche, ecc.), è emerso qualcosa di interessante.
Un maggiore apporto di vitamina D dalla dieta è stato associato a miglioramenti più significativi dopo due anni in:
- Funzione cognitiva globale
- Funzioni esecutive
- Linguaggio
Non solo! Suddividendo i partecipanti in quattro gruppi (quartili) in base al loro consumo medio di vitamina D, quelli nel quartile più alto (cioè quelli che ne consumavano di più) hanno mostrato:
- Un aumento maggiore nella funzione cognitiva globale
- Un aumento nel linguaggio
- E, cosa molto importante, un minor declino nell’attenzione.
Quest’ultimo punto è notevole, perché mentre in generale si osservava un lieve peggioramento dell’attenzione nel tempo, questo era meno marcato in chi assumeva più vitamina D.
Certo, i ricercatori parlano di cambiamenti “modesti” ma “favorevoli”. Non stiamo parlando di una pozione magica, ma di un potenziale piccolo aiuto che, sommato ad altri fattori di uno stile di vita sano, potrebbe fare la differenza. Per darvi un’idea, la differenza nei cambiamenti della funzione cognitiva globale tra chi consumava più vitamina D e chi ne consumava meno era approssimativamente equivalente a circa 4.2 anni di invecchiamento cognitivo in meno, se l’assunzione di vitamina D fosse costante nel tempo. Non male, vero?
Cosa significano questi dati, in parole povere?
Questi risultati suggeriscono che, per le persone anziane con sovrappeso/obesità e sindrome metabolica (e che non prendono integratori di vitamina D), assicurarsi un buon apporto di questa vitamina attraverso l’alimentazione potrebbe contribuire a proteggere la loro salute cerebrale nel breve termine.
Pensiamoci: il nostro cervello ha bisogno di “carburante” e di “protezione”. La vitamina D sembra giocare un ruolo in entrambi, magari riducendo lo stress ossidativo e l’infiammazione a livello cerebrale, o migliorando la sensibilità all’insulina, tutti fattori che influenzano la nostra cognizione.
È importante sottolineare che questo studio si è concentrato sull’apporto dietetico di vitamina D, non sugli integratori. E questo è un punto interessante, perché le prove sull’efficacia degli integratori di vitamina D per la cognizione sono ancora contrastanti.
Attenzione: non è tutto oro quel che luccica (e le limitazioni dello studio)
Come ogni studio scientifico che si rispetti, anche questo ha le sue limitazioni, e gli stessi autori sono i primi a sottolinearle.
Prima di tutto, si tratta di uno studio osservazionale longitudinale: osserva le associazioni nel tempo, ma non può stabilire un rapporto di causa-effetto diretto. Potrebbe esserci la cosiddetta “causalità inversa”: magari le persone con una cognizione già leggermente compromessa tendono a mangiare peggio, e quindi ad assumere meno vitamina D.
Inoltre, i risultati potrebbero non essere generalizzabili a tutta la popolazione, ma specificamente a persone anziane con le caratteristiche dei partecipanti (sovrappeso/obesità e sindrome metabolica).
Un’altra pecca è la mancanza di dati sui livelli di vitamina D nel sangue dei partecipanti (il famoso 25(OH)D), sulla loro funzione renale, sull’esposizione solare (che varia con le stagioni e la latitudine) o sull’etnia. E, come sempre quando si usano questionari alimentari, c’è il rischio di errori di ricordo da parte dei partecipanti, specialmente se la loro memoria non è più quella di una volta.
Infine, essendo uno studio inserito nel trial PREDIMED-Plus, i consigli sullo stile di vita che i partecipanti ricevevano potrebbero aver influenzato i risultati.
Quindi, cosa portiamo a casa?
Nonostante le limitazioni, questo studio aggiunge un tassello importante al puzzle. Ci dice che, in un gruppo di persone anziane a rischio, un maggiore apporto di vitamina D attraverso la dieta sembra associato a piccoli ma positivi cambiamenti nelle funzioni cognitive e a una possibile riduzione del declino in alcune aree, come l’attenzione, nel giro di due anni.
Questo non significa che dobbiamo correre a ingozzarci di cibi ricchi di vitamina D pensando di diventare dei geni da un giorno all’altro! Significa, però, che prestare attenzione a una dieta varia ed equilibrata, che includa fonti di questa preziosa vitamina (come pesce grasso, tuorlo d’uovo, fegato, latticini fortificati e funghi esposti al sole), potrebbe essere una strategia in più per prenderci cura del nostro cervello, specialmente con l’avanzare dell’età e in presenza di altri fattori di rischio.
Sicuramente, come concludono gli autori, c’è bisogno di ulteriori ricerche, magari studi di intervento ben disegnati, per capire meglio il potenziale ruolo protettivo di un aumentato apporto dietetico di vitamina D sulla nostra mente. Ma nel frattempo, un occhio di riguardo a cosa mettiamo nel piatto non fa mai male!
Fonte: Springer