Visualizzazione al microscopio a super-risoluzione del virus dell'influenza dei pipistrelli H18N11 (particelle virali sferiche o pleomorfe, magari colorate in blu o verde) che si lega e induce il clustering di molecole MHCII (punti luminosi rossi o gialli) sulla membrana di una cellula ospite. L'immagine dovrebbe trasmettere l'idea di aggregazione locale delle molecole MHCII sotto il virus. Macro lens, 100mm, high detail, precise focusing, controlled lighting, profondità di campo ridotta per isolare l'interazione.

Incredibile! Il Virus H18N11 ‘Riunisce’ le Proteine MHCII per Infettarci

Ciao a tutti, appassionati di scienza e misteri della natura! Oggi voglio parlarvi di una scoperta che ha dell’incredibile e che ci porta nel mondo affascinante, e a volte un po’ inquietante, dei virus influenzali. Ma non parliamo della solita influenza stagionale, no! Ci addentriamo in territori più esotici, precisamente nel mondo dei pipistrelli e dei loro virus influenzali unici, in particolare il sottotipo H18N11.

Il Mistero del Recettore del Virus dei Pipistrelli

Fino a non molto tempo fa, eravamo convinti che tutti i virus influenzali di tipo A (IAV) usassero lo stesso trucco per entrare nelle nostre cellule: legarsi a delle molecole zuccherine chiamate acidi sialici presenti sulla superficie cellulare, usando una proteina chiamata emoagglutinina (HA). Immaginate una chiave (l’HA virale) che cerca la sua serratura (l’acido sialico). Questo valeva per tutti i sottotipi conosciuti, da H1 a H16. Poi, nel 2012, ecco la sorpresa: la scoperta di due nuovi sottotipi nei pipistrelli dell’America Centrale e Meridionale, H17N10 e H18N11. E qui le cose si sono fatte interessanti. Questi nuovi arrivati, pur assomigliando strutturalmente ai loro cugini aviari, giocano secondo regole diverse. La loro emoagglutinina (H17 e H18) se ne frega degli acidi sialici! E la loro neuraminidasi (N10 e N11) non ha l’attività enzimatica tipica (sialidasi) che aiuta i virus convenzionali a uscire dalla cellula. Allora, come diavolo fanno ad entrare? Il mistero è stato svelato solo di recente: usano un recettore completamente diverso, di natura proteica. E non una proteina qualsiasi, ma il Complesso Maggiore di Istocompatibilità di classe II, meglio conosciuto come MHCII. Sì, avete capito bene, proprio quella molecola fondamentale del nostro sistema immunitario che serve a presentare gli antigeni ai linfociti T CD4+! Un vero colpo di scena. L’H18N11, in particolare, sembra fare affidamento quasi esclusivamente sulla sua HA (H18) per l’ingresso e la replicazione efficace a livello cellulare.

Ma Come si Attacca *Davvero*?

Ok, abbiamo capito che l’H18N11 usa l’MHCII. Ma come avviene questo legame? I dettagli meccanicistici erano un buco nero. Sappiamo che i virus influenzali convenzionali, pur avendo un legame debole con il singolo acido sialico, sfruttano la cosiddetta “multivalenza”: si attaccano a tanti acidi sialici contemporaneamente, spesso organizzati in piccoli gruppi (cluster) sulla membrana cellulare, aumentando così la forza complessiva dell’adesione (avidità). Ci siamo chiesti: e se anche il virus del pipistrello facesse qualcosa di simile con l’MHCII? Dopotutto, si sapeva già che anche l’MHCII tende a formare dei cluster sulla superficie delle cellule presentanti l’antigene (APC). L’ipotesi era affascinante: forse l’H18N11 non si limita a legare un singolo MHCII, ma interagisce con questi cluster preesistenti, magari reclutando anche altre molecole di MHCII vicine. Diciamocelo, misurare queste interazioni è roba tosta, perché anche il legame H18-MHCII sembra essere piuttosto debole, proprio come quello tra HA convenzionale e acido sialico. Le tecniche biochimiche classiche non ci avevano aiutato molto.

Sbirciare alla Nanoscala: il PALM ci Salva

Per vedere cosa succede davvero a livello molecolare, dovevamo usare le maniere forti… o meglio, le maniere “super-risolute”! Abbiamo impiegato una tecnica di microscopia avanzata chiamata PALM (Photoactivated Localization Microscopy). Questa meraviglia tecnologica ci permette di visualizzare la posizione di singole molecole fluorescenti con una precisione nanometrica, ben oltre i limiti della microscopia ottica tradizionale. Abbiamo “etichettato” le molecole di MHCII (sia la versione normale, “wildtype”, che una versione mutata incapace di supportare l’infezione virale) con una proteina fluorescente speciale (mEos3.2) che cambia colore quando colpita da luce UV. Prima abbiamo guardato come l’MHCII si organizza sulla superficie di cellule non infettate. Come sospettavamo, abbiamo visto che l’MHCII forma dei piccoli cluster, con un raggio medio di circa 30-40 nanometri. Fin qui, tutto in linea con quanto già noto. Poi è arrivato il momento clou: abbiamo aggiunto le particelle virali di H18N11 (tenute al freddo per permettere solo l’attacco, non l’ingresso) e abbiamo usato il PALM per vedere dove si attaccavano e cosa succedeva ai cluster di MHCII. E qui la scoperta: i virus si attaccavano preferenzialmente ai cluster di MHCII, e non solo! I cluster di MHCII che si trovavano proprio sotto una particella virale erano significativamente più grandi, con un raggio medio che saliva a quasi 50 nanometri! Al contrario, usando la versione mutata dell’MHCII (che il virus non riesce a usare per infettare), la dimensione dei cluster sotto il virus non aumentava in modo significativo. Questo suggerisce fortemente che il virus non solo si lega a cluster preesistenti, ma induce attivamente un ulteriore raggruppamento di molecole MHCII nel punto di contatto!

Immagine al microscopio a super-risoluzione (PALM) che mostra cluster di molecole MHCII (punti luminosi rossi/verdi) sulla superficie di una cellula. Alcuni cluster sono più grandi e co-localizzati con particelle virali H18N11 (indicate schematicamente o con un altro colore, es. blu). Macro lens, 85mm, high detail, precise focusing, controlled lighting, sfondo scuro per enfatizzare la fluorescenza.

Guardare la Danza in Tempo Reale

Vedere la situazione “congelata” su cellule fissate è stato illuminante, ma volevamo vedere la dinamica, l’azione dal vivo! Come si muovono il virus e l’MHCII durante l’attacco? Abbiamo provato a seguire le particelle virali fluorescenti sulla superficie delle cellule vive. Abbiamo notato che sui cellule con l’MHCII normale, le traiettorie del virus erano più brevi, come se il virus fosse più “confinato” o “intrappolato” in certe zone. Sulle cellule con l’MHCII mutato, invece, il virus sembrava muoversi più liberamente. Questo supporta l’idea che l’interazione forte con i cluster di MHCII rallenti il virus. Ma la vera sfida era seguire le singole molecole di MHCII rispetto al virus in tempo reale, a temperatura fisiologica. Il problema è che il virus viene internalizzato rapidamente. Come fare?

Il Virus Fa da Ancora: l’MHCII Resta Intrappolato!

Qui abbiamo usato un approccio sperimentale molto ingegnoso, chiamato “inverse attachment” (attacco inverso). Invece di mettere il virus sulle cellule, abbiamo fatto il contrario: abbiamo immobilizzato le particelle virali fluorescenti su un vetrino e poi abbiamo seminato le cellule (quelle con l’MHCII fluorescente) sopra i virus. Geniale, no? In questo modo potevamo usare il nostro fido PALM per tracciare il movimento delle singole molecole di MHCII proprio nelle zone sopra le particelle virali immobilizzate, senza preoccuparci dell’internalizzazione. E cosa abbiamo visto? Nelle aree lontane dai virus, le molecole di MHCII si muovevano abbastanza liberamente. Ma proprio sopra una particella di H18N11, il movimento dell’MHCII normale (wildtype) era drasticamente ridotto, le molecole apparivano confinate, quasi intrappolate! Questo effetto era specifico per l’H18N11 (non succedeva con un virus influenzale convenzionale H1N1 usato come controllo) ed era molto meno pronunciato con l’MHCII mutato. Analizzando matematicamente queste traiettorie (calcolando un parametro chiamato esponente della legge di potenza, α), abbiamo confermato quantitativamente questo confinamento. E cosa succede quando le molecole rallentano in una zona specifica? Si accumulano! Abbiamo anche fatto delle simulazioni al computer che hanno confermato: un rallentamento della diffusione come quello che abbiamo misurato porta effettivamente a un aumento della densità locale delle molecole, cioè alla formazione o all’ingrandimento dei cluster. Ecco svelato l’arcano: l’attacco del virus H18N11 all’MHCII rallenta la mobilità di quest’ultimo, causandone un accumulo locale e quindi l’aumento delle dimensioni del cluster che avevamo visto nelle cellule fissate. È un clustering indotto dal virus!

Illustrazione schematica dell'esperimento di 'inverse attachment'. Particelle virali H18N11 (sfere) immobilizzate su una superficie di vetro. Una cellula con molecole MHCII fluorescenti (punti sulla membrana cellulare) è adagiata sopra. Frecce indicano il movimento ridotto delle molecole MHCII sopra il virus. Wide-angle lens, 24mm, visualizzazione concettuale con elementi realistici, profondità di campo.

Perché è Importante? Implicazioni e Pensieri Futuri

Questa scoperta è affascinante per diversi motivi. Primo, ci mostra un meccanismo elegante con cui il virus supera il problema della bassa affinità del singolo legame, sfruttando la multivalenza e inducendo attivamente il raggruppamento del suo recettore. Secondo, questo clustering dell’MHCII indotto dal virus ricorda molto da vicino quello che succede durante la formazione di una sinapsi immunologica, quando una cellula T interagisce con una cellula presentante l’antigene. È noto che il cross-linking (l’aggregazione) dell’MHCII può innescare segnali intracellulari che promuovono l’endocitosi (l’internalizzazione). È quindi molto probabile che l’H18N11 sfrutti questo meccanismo: aggregando l’MHCII, forse “inganna” la cellula facendole attivare il processo di endocitosi che porta all’ingresso del virus stesso! Anche i virus influenzali convenzionali, pur usando recettori diversi, sembrano richiedere segnali simili per un’efficiente internalizzazione. Quindi, nonostante la natura radicalmente diversa del recettore, i primi passi dell’infezione potrebbero avere delle somiglianze inaspettate. Inoltre, questa scoperta sottolinea la straordinaria capacità evolutiva dei virus influenzali di cambiare il loro recettore, con conseguenze potenzialmente enormi sul tipo di cellule che possono infettare (tropismo cellulare). Pensate che recentemente è stato scoperto un altro sottotipo (H19), questa volta in uccelli, che sembra usare anch’esso l’MHCII! Questo suggerisce che l’uso di questo recettore proteico potrebbe non essere un’esclusiva dei virus dei pipistrelli e forse è un tratto evolutivamente più antico di quanto pensassimo.

Insomma, abbiamo aggiunto un tassello importante alla comprensione di come questi insoliti virus dei pipistrelli interagiscono con le cellule ospiti. L’immagine che emerge è quella di un processo dinamico e attivo, in cui il virus non è un passeggero passivo ma un agente che manipola attivamente la superficie cellulare per garantirsi l’ingresso. Una danza molecolare complessa e affascinante che ci ricorda quanto ancora abbiamo da imparare sul mondo microscopico che ci circonda.

Fonte: Springer Nature

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