Immagine simbolica della violenza domestica da figlio a genitore: una porta socchiusa da cui si intravede un'ombra tesa tra un giovane e un adulto in un interno svedese. Film noir, prime lens 35mm, forte contrasto, bianco e nero.

Violenza Genitori-Figli in Svezia: Quando le Mura Domestiche Nascondono un Dramma Silenzioso

Amici, oggi voglio parlarvi di un argomento tosto, uno di quelli che spesso si preferisce non vedere, quasi un tabù, ma che purtroppo è una realtà più diffusa di quanto pensiamo: la violenza da figli a genitori (Child-to-Parent Violence, o CPV). Sì, avete capito bene. Non si tratta solo delle classiche “bizze” adolescenziali, ma di veri e propri comportamenti abusivi che possono minare profondamente la serenità familiare. E pensate un po’, uno studio recentissimo condotto in Svezia ha cercato di far luce su questo fenomeno, validando uno strumento di misurazione e svelandoci dati piuttosto sorprendenti.

Ma cos’è esattamente questa CPV?

Prima di addentrarci nei numeri, cerchiamo di capire meglio di cosa stiamo parlando. La CPV viene definita come “atti ripetuti di violenza fisica, psicologica (verbale o non verbale) o economica perpetrati dai figli contro i loro genitori o figure genitoriali”. Attenzione, però, perché alcuni ricercatori sostengono che anche un singolo atto, se particolarmente grave, possa rientrare in questa definizione. Immaginatevi la scena: non solo urla e insulti, ma anche minacce, intimidazioni, furti, danneggiamenti di oggetti, fino ad arrivare, nei casi peggiori, a vere e proprie aggressioni fisiche. Un incubo, vero? E le conseguenze sono pesantissime, sia per i genitori, che possono soffrire di problemi di salute fisica e mentale, isolamento sociale e un senso di impotenza devastante, sia per i ragazzi stessi, che possono portarsi dietro sensi di colpa, vergogna e un rischio maggiore di replicare questi schemi violenti nelle loro relazioni future.

Lo studio svedese e lo strumento ABC-I: facciamo chiarezza

Fino a poco tempo fa, la ricerca sulla CPV si concentrava soprattutto su casi già noti alle forze dell’ordine o ai servizi clinici. Mancavano dati provenienti dalla popolazione generale, soprattutto in molti paesi, inclusa la Svezia e, più in generale, i paesi nordici. Ecco perché questo nuovo studio è così importante! I ricercatori svedesi hanno deciso di colmare questa lacuna, e per farlo hanno utilizzato e validato uno strumento chiamato Abusive Behavior by Children-Indices (ABC-I). Si tratta di un questionario di autovalutazione che indaga tre aree principali:

  • Aggressività verbale: come urlare, imprecare, insultare o umiliare un genitore.
  • Comportamento coercitivo: tentare di intimidire, rubare denaro o oggetti, minacciare di fare del male a sé stessi o ad altri se il genitore non fa ciò che vogliono, rompere o minacciare di rompere oggetti.
  • Aggressività fisica: impedire a un genitore di cercare aiuto, minacciarlo con un oggetto, o agire fisicamente in modo aggressivo (spingere, afferrare, prendere a pugni, calci, ecc.).

La figata dell’ABC-I è che non si limita a contare quante volte un comportamento si verifica, ma considera anche la gravità e la frequenza necessarie affinché un comportamento sia considerato “abusivo” secondo le norme culturali del contesto (in questo caso, svedese). Questo è fondamentale per non confondere un normale conflitto adolescenziale, magari un po’ acceso, con un vero e proprio pattern di abuso.

Un adolescente svedese, seduto in una stanza disordinata, guarda con espressione conflittuale verso una figura genitoriale sfocata sullo sfondo. Luce soffusa dalla finestra, stile cinematografico, prime lens 35mm, profondità di campo per isolare l'adolescente.

Lo studio ha coinvolto un campione enorme di oltre 5300 adolescenti svedesi, tra i 13 e i 20 anni. I risultati hanno confermato che la versione svedese dell’ABC-I è uno strumento valido e affidabile per misurare la CPV, anche se, come dicono gli stessi ricercatori, bisogna usare un po’ di cautela nell’interpretare la scala dell’aggressività verbale, perché distinguere tra un comportamento irrispettoso ma “normale” per un adolescente e un vero abuso verbale è complesso.

I numeri che fanno riflettere: la prevalenza in Svezia

E ora, tenetevi forte, perché arriviamo ai dati sulla prevalenza. Complessivamente, il 15% degli adolescenti svedesi intervistati ha riferito di aver avuto comportamenti abusivi verso un genitore negli ultimi 12 mesi. Avete letto bene, il 15%! Se scomponiamo questo dato, vediamo che:

  • Il 5% ha commesso abusi fisici.
  • Il 4% ha commesso abusi verbali (secondo la definizione più stringente dell’ABC-I, che considera “abusivo” un comportamento verbale solo se molto frequente, ad esempio insultare quotidianamente).
  • L’11% ha messo in atto comportamenti coercitivi.

Questi numeri sono molto simili a quelli trovati in uno studio australiano che ha utilizzato lo stesso strumento, suggerendo che, nonostante le differenze culturali, il problema ha dimensioni paragonabili in contesti occidentali simili. Pensate che la prevalenza dell’abuso fisico (5%) è in linea con la fascia più bassa riportata in altre ricerche internazionali (che varia dal 5% al 22%), ma è importante notare che l’ABC-I ha criteri specifici, basati sulla percezione dei genitori di cosa sia abuso. In Svezia, dove le punizioni corporali sono bandite da decenni e c’è una forte sensibilità sulla violenza domestica, la soglia di tolleranza verso la violenza in famiglia potrebbe essere più bassa.

Un dato interessante riguarda l’aggressività verbale “generica” (non necessariamente “abusiva” secondo i criteri stretti dell’ABC-I): ben il 57% degli adolescenti ha ammesso di aver urlato o imprecato contro la madre e il 45% contro il padre nell’ultimo anno. Questo ci dice che i conflitti verbali sono comuni, ma l’ABC-I aiuta a distinguere quando superano una certa soglia.

Una questione di genere? Sembrerebbe di sì

Un altro aspetto che mi ha colpito riguarda le differenze di genere. Preparatevi, perché i risultati potrebbero sorprendervi. Nello studio svedese, le figlie femmine sono risultate significativamente più aggressive e abusive verso i genitori rispetto ai figli maschi, soprattutto nei confronti delle madri. La violenza contro le madri è risultata più comune in generale, un dato che purtroppo si ritrova anche in altre ricerche. Ma il fatto che le figlie siano più propense a comportamenti abusivi, specialmente verbali e coercitivi verso le madri, è un elemento che merita attenzione.

Una madre svedese, con espressione preoccupata e stanca, siede al tavolo della cucina mentre una figlia adolescente, di spalle e leggermente sfocata, gesticola animatamente. Duotone blu e grigio, prime lens 24mm, luce naturale da una finestra laterale.

Mentre gli studi su campioni clinici o giudiziari spesso mostrano una maggioranza di perpetratori maschi, quelli sulla popolazione generale, come questo, a volte non trovano differenze significative o, come in questo caso e in altri studi (Spagna, Germania, USA), indicano una maggiore propensione delle figlie alla violenza verbale o psicologica. Perché? Le ragioni non sono chiarissime. Le madri tendono ad avere relazioni più strette ma anche più interazioni e richieste comportamentali con i figli, il che potrebbe spiegare la loro maggiore vulnerabilità, ma non perché le figlie siano più abusive dei figli maschi in questo contesto. È sicuramente un’area che necessita di ulteriori approfondimenti.

Perché tutto questo è importante?

Beh, innanzitutto perché questo studio ci fornisce una prima, importantissima fotografia della CPV in un contesto, quello svedese e nordico, finora poco esplorato. Validare uno strumento come l’ABC-I significa avere a disposizione un mezzo più affidabile per capire la portata del problema, e questo è cruciale per sviluppare strategie di prevenzione ed intervento efficaci. Parlare di CPV, portare alla luce questi dati, aiuta ad aumentare la consapevolezza su una forma di violenza familiare spesso nascosta o minimizzata. Può influenzare le politiche sociali, fornire linee guida per chi lavora nei servizi sociali e sanitari, e soprattutto, può incoraggiare chi vive queste situazioni a cercare aiuto.

Certo, come ogni ricerca, anche questa ha i suoi limiti. Ad esempio, si basa sull’autovalutazione degli adolescenti e non include la prospettiva dei genitori sulla prevalenza. Inoltre, come accennato, l’interpretazione della scala di aggressività verbale richiede una certa attenzione. Tuttavia, il contributo è innegabile.

Io credo che conoscere sia il primo passo per cambiare. E sapere che un fenomeno come la violenza da figli a genitori esiste, ha contorni definiti e numeri non trascurabili, anche in un paese considerato progressista come la Svezia, ci deve far riflettere tutti. È un invito a non girarci dall’altra parte, ad ascoltare e a supportare le famiglie che vivono questo dramma silenzioso.

Fonte: Springer

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