Fotografia di ritratto, primo piano su due mani che si stringono delicatamente, una con un lieve livido appena visibile sul polso, l'altra appartenente a un professionista sanitario in camice bianco. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo ridotta per sfocare lo sfondo di un ambulatorio medico, illuminazione soffusa, toni duo blu e grigio per un'atmosfera seria ma speranzosa.

Violenza Domestica: L’Allarme Silenzioso negli Ambulatori Ortopedici Australiani

Ragazzi, parliamoci chiaro. C’è un argomento che scotta, uno di quelli che preferiremmo non esistesse, ma che invece è una piaga globale: la violenza domestica, o come la chiamano gli esperti, Intimate Partner Violence (IPV). È un problema di salute pubblica enorme, e i numeri, anche quelli ufficiali, fanno accapponare la pelle. Pensate che in Australia, una donna su sei e un uomo su diciassette ne sono vittime. E a livello mondiale? Ogni giorno, 137 donne vengono uccise da un partner o un familiare. Numeri da brivido, vero?

Ma cosa c’entra tutto questo con l’ortopedia, vi chiederete? Beh, c’entra eccome. Dopo i traumi alla testa e al collo, le lesioni muscoloscheletriche (fratture, distorsioni, lussazioni, spesso agli arti superiori) sono la conseguenza più comune della violenza domestica. E indovinate dove finiscono spesso queste persone? Esatto, negli ambulatori ortopedici. Anzi, un’escalation di violenza fisica che porta a lesioni ossee o articolari è un campanello d’allarme gravissimo, un predittore di possibile omicidio. Capite bene che noi medici ortopedici ci troviamo in una posizione unica, quasi “privilegiata”, per poter riconoscere queste vittime e offrire aiuto.

Un Problema Nascosto negli Ambulatori

Mi sono imbattuto di recente in uno studio australiano, pubblicato su *BMC Musculoskeletal Disorders*, che ha cercato di capire come i miei colleghi ortopedici laggiù percepiscono e gestiscono questa realtà negli ambulatori. I risultati, ve lo dico, mi hanno fatto riflettere parecchio.

Lo studio si basa su un sondaggio online distribuito tramite l’Australian Orthopaedic Association (AOA) tra dicembre 2023 e febbraio 2024, a cui hanno risposto 101 tra chirurghi ortopedici strutturati e specializzandi. La prima cosa che salta all’occhio è che quasi tutti (il 92%) sono d’accordo sul fatto che la violenza domestica sia un problema di salute pubblica serio. E l’85% pensa sia importante chiedere ai pazienti informazioni su eventuali violenze subite, proprio lì, nell’ambulatorio ortopedico. Fin qui, tutto bene, no?

E invece no. Perché poi si scopre che, in media, ogni medico intervistato ha trattato solo 5 pazienti all’anno con lesioni dichiaratamente dovute a violenza domestica. Stiamo parlando dello 0,4% di tutte le visite ambulatoriali! Un numero bassissimo, quasi irrisorio, se pensiamo alla diffusione del fenomeno nella popolazione generale e al fatto che studi precedenti (come il famoso PRAISE trial del 2013) indicavano che 1 donna su 50 si presentava in ambulatorio ortopedico proprio per lesioni da IPV, e che il 16% delle pazienti aveva subito violenza nell’anno precedente. C’è una discrepanza enorme tra la realtà là fuori e quello che emerge negli ambulatori. È come se queste lesioni rimanessero invisibili, non dichiarate, non riconosciute.

Fotografia di una sala d'attesa di un ambulatorio ortopedico vuota, tranne per una figura femminile seduta da sola su una sedia, vista di spalle, che guarda fuori da una finestra. Obiettivo grandangolare 24mm per enfatizzare lo spazio e la solitudine, luce naturale filtrata dalla finestra, messa a fuoco nitida sulla figura, leggero effetto film noir per accentuare l'atmosfera cupa.

Interessante notare che le pazienti con lesioni da IPV si presentano più spesso negli ambulatori pubblici che in quelli privati (5 contro 2 in media all’anno per medico, una differenza statisticamente significativa). E le colleghe donne riportano di vedere più casi rispetto ai colleghi uomini (5 contro 3). Questo potrebbe suggerire che le pazienti si sentano più a loro agio a confidarsi con una donna, o che le dottoresse siano più propense a indagare su questo aspetto.

Cosa Dice lo Studio Australiano?

Lo studio ha voluto proprio indagare le percezioni e le esperienze dei clinici australiani, cercando di capire perché così pochi casi vengano alla luce. E qui arrivano le note dolenti. Solo il 28,5% dei medici intervistati ritiene che la violenza domestica sia una causa comune di presentazione negli ambulatori ortopedici. La maggior parte pensa che riguardi tra l’1% e il 5% delle lesioni viste, una stima molto più bassa di quella suggerita da studi come il PRAISE. Addirittura, uno studio americano simile aveva rilevato che l’80% dei clinici credeva che la prevalenza fosse inferiore all’1%!

Eppure, l’80% dei medici australiani intervistati afferma di chiedere alla paziente se la lesione sia dovuta a violenza domestica, se la storia o le lesioni sollevano sospetti. Ma cosa succede in quel 20% che non chiede? Le ragioni sono varie:

  • Non sentirsi a proprio agio nel fare la domanda (n=9)
  • Mancanza di tempo (n=7)
  • Credere che non sia compito del chirurgo (n=3)
  • Ritenere che le lesioni non fossero sospette (n=2)

Questo ci porta dritti al cuore del problema: le barriere.

Le Barriere Invisibili

Quali sono gli ostacoli che impediscono di identificare e gestire la violenza domestica in un ambulatorio ortopedico? Lo studio australiano conferma quanto già emerso in letteratura:

  • Presenza del partner durante la visita (indicata da 84 medici): come può una vittima parlare liberamente se l’aggressore è lì accanto?
  • Mancanza di tempo (n=75): le visite sono spesso rapide, concentrate sul problema fisico immediato.
  • Mancanza di privacy (n=58): anche se il 95% dei medici ha accesso a una stanza privata, la percezione di non avere un ambiente sufficientemente riservato è un ostacolo. Le cliniche, specialmente quelle più vecchie, non sempre facilitano conversazioni delicate.
  • Mancanza di supporto sociale in ambulatorio (n=57): non sapere a chi indirizzare la paziente, non avere figure dedicate (come assistenti sociali o psicologi) facilmente accessibili.

A questi si aggiungono fattori legati alla paziente stessa: paura di ritorsioni, barriere culturali o linguistiche, timore di non essere credute.

Fotografia still life, un tavolo in una sala riunioni con sopra alcuni manuali medici aperti sull'argomento del trauma e del supporto psicologico, accanto a uno stetoscopio e a un blocco note. Obiettivo macro 85mm, alta definizione dei dettagli sui testi e sugli oggetti, illuminazione controllata e morbida da una fonte laterale, messa a fuoco precisa sul titolo di un capitolo riguardante l'approccio al paziente vulnerabile.

Formazione: Il Tasto Dolente

Sapete qual è uno dei dati più preoccupanti emersi dallo studio? Solo il 22,8% dei medici intervistati ha ricevuto una formazione specifica su come identificare e assistere le vittime di violenza domestica. Meno di uno su quattro! Siamo bravissimi a riconoscere le lesioni non accidentali nei bambini, c’è tanta ricerca e formazione su quello, ma sulla violenza domestica negli adulti c’è un vuoto enorme.

Molti medici, come riportato anche da altri studi, non si sentono a proprio agio a indagare, non sanno come rispondere a una rivelazione, non conoscono le risorse disponibili sul territorio. Addirittura, alcuni specializzandi hanno riferito di aver ricevuto una formazione iniziale, ma che poi l’uso di quelle competenze è stato “disincentivato” dai colleghi più anziani! Sembra incredibile, ma è così. Alcuni chirurghi ritengono che non sia il loro ruolo occuparsi di queste problematiche.

Ma come possiamo ignorare un fenomeno così diffuso e devastante, che porta le persone sui nostri lettini d’esame? L’Organizzazione Mondiale della Sanità è chiara: è nostra responsabilità formarci per riconoscere e supportare le vittime.

Cosa Possiamo Fare?

Questo studio australiano, pur con i suoi limiti (campione piccolo, possibile bias di chi non ha risposto), mette il dito nella piaga. C’è un’evidente sottostima e sotto-riconoscimento della violenza domestica negli ambulatori ortopedici australiani, e sospetto che la situazione non sia molto diversa qui da noi.

Cosa serve? Servono cambiamenti sistemici.

  • Formazione specifica e obbligatoria: per specializzandi e strutturati, magari integrata nei programmi di aggiornamento professionale continuo (CPD). Dobbiamo imparare a riconoscere i segnali, a porre le domande giuste (il questionamento diretto sembra essere il metodo più efficace, e le pazienti stesse lo preferirebbero), a sapere come rispondere e a chi indirizzare la vittima in sicurezza.
  • Garantire la privacy: servono spazi dedicati e riservati in ogni ambulatorio dove poter parlare con la paziente da sola, senza partner, amici o familiari presenti. La confidenzialità è fondamentale.
  • Creare reti di supporto: facilitare l’accesso a assistenti sociali, psicologi, centri antiviolenza direttamente dall’ambulatorio.
  • Sensibilizzazione: aumentare la consapevolezza tra tutto il personale sanitario, non solo i medici.

Noi ortopedici siamo in prima linea. Vediamo le conseguenze fisiche della violenza. Abbiamo l’opportunità, e direi il dovere, di andare oltre la frattura o la distorsione, di vedere la persona nella sua interezza e di offrire una via d’uscita da un incubo. Non possiamo più permetterci di ignorare questo allarme silenzioso.

Fonte: Springer

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