Landscape wide angle, 20mm, sharp focus, luce dorata del tramonto, filari di vigneti verdi e rigogliosi in Alto Adige con montagne imponenti sullo sfondo, alcuni grappoli di uva rossa matura visibili sulle viti, evocando la bellezza e la promessa dei vini della regione.

Vini dell’Alto Adige: La Rivoluzione Silenziosa dei Vitigni Resistenti nel Calice!

Amici appassionati di vino e curiosi delle nuove frontiere dell’enologia, mettetevi comodi! Oggi vi porto con me in un viaggio affascinante tra i filari dell’Alto Adige, una terra di vini straordinari, per scoprire qualcosa che sta cambiando il modo di pensare la viticoltura: i vitigni resistenti alle malattie, o DRHGC (Disease-Resistant Hybrid Grape Cultivars), che per comodità chiameremo spesso “PIWI”, come ormai è d’uso comune tra gli addetti ai lavori.

Scommetto che molti di voi, quando pensano a un buon rosso, immaginano subito i grandi classici derivati dalla Vitis vinifera, la nostra amata vite europea. E come darvi torto? Ma c’è un mondo nuovo che avanza, spinto da una necessità sempre più impellente: la sostenibilità. Ed è proprio qui che entrano in gioco questi super-vitigni!

Ma cosa sono esattamente questi vitigni “resistenti”?

Immaginateli come dei veri e propri campioni della natura, frutto di incroci tra la Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis. Il risultato? Piante che hanno una marcia in più nel difendersi da sole da alcune delle più temute malattie della vite, come la peronospora e l’oidio. Questo significa, in soldoni, una drastica riduzione dei trattamenti fitosanitari in vigna. Meno chimica, più rispetto per l’ambiente, meno passaggi con il trattore (quindi meno carburante fossile consumato) e, non da ultimo, una maggiore sicurezza per chi lavora tra i filari. Un bel vantaggio, no?

Certo, come ogni innovazione, anche i PIWI hanno dovuto affrontare le loro sfide. Inizialmente, alcuni di questi vini presentavano caratteristiche chimiche e sensoriali un po’ “insolite”, a volte con aromi erbacei o quel sentore “foxy” (volpino, per intenderci) che non tutti apprezzano. Ma la ricerca non si è fermata e le nuove generazioni di questi vitigni sono state selezionate proprio per minimizzare questi aspetti, puntando tutto sulla qualità.

L’Alto Adige: pioniere dei vini da vitigni resistenti

E qui entra in gioco il magnifico territorio dell’Alto Adige. Questa regione, con il suo clima fresco e la sua viticoltura spesso eroica, di montagna, ha visto nei PIWI una grande opportunità. Pensateci: meno trattamenti sono una manna dal cielo in zone impervie dove la meccanizzazione è difficile, se non impossibile. Inoltre, molti di questi vitigni si adattano benissimo ai climi più freddi e alle altitudini elevate, dove la Vitis vinifera tradizionale a volte fatica.

In questo contesto, un recente studio si è tuffato letteralmente nel bicchiere per capire meglio le proprietà chimiche e sensoriali dei vini rossi altoatesini prodotti sia da vitigni resistenti che da Vitis vinifera. E i risultati, ve lo dico subito, sono davvero stuzzicanti!

Un naso elettronico e un palato esperto: come si è svolta la ricerca

Per svelare i segreti di questi vini, i ricercatori hanno messo in campo un arsenale di tecniche: analisi sensoriali super dettagliate (con metodi come il “modified rate-all-that-apply” e il “projective mapping”, che suona un po’ come una mappa del tesoro dei sapori!) e analisi chimiche all’avanguardia (LC-MS/MS e HS-SPME-GC×GC-ToF/MS – nomi da fantascienza, ma servono a scovare ogni singola molecola!).

Cosa è emerso? Beh, che i vini da Vitis vinifera tendevano ad essere più astringenti, con aromi che ricordavano la fragola e la confettura. I vini da vitigni resistenti, invece, hanno spesso mostrato note più spiccate di peperone verde, sia al naso che in bocca. Ma non è tutto qui!

Macro lens, 85mm, high detail, controlled lighting, un grappolo d'uva rossa matura di un vitigno resistente, con acini turgidi e pruinosi, su uno sfondo sfocato di foglie di vite verdi e rigogliose in un vigneto altoatesino.

Anche il profilo dei polifenoli e delle sostanze volatili dei PIWI si è rivelato distintivo. Un aspetto particolarmente interessante riguarda le antocianine, i pigmenti che danno il colore al vino rosso. Nei vini da vitigni resistenti, si trovano spesso antocianine diglucosidi e potenzialmente anche triglucosidi, una firma quasi unica che li differenzia dalla Vitis vinifera. Nello studio, sono state identificate ben 30 diverse antocianine, di cui 26 caratterizzate! Pensate, composti come la delfinidina, la cianidina, la petunidina, la peonidina e la malvidina, in varie forme (monoglucosidi, diglucosidi, acetilati…). È un po’ come avere una tavolozza di colori unica per ogni tipo di vino.

Per esempio, il ‘Cabernet Sauvignon’ (un classico Vitis vinifera) era ricco di antociani acilati e monoglucosidi, mentre i vini PIWI spiccavano per i diglucosidi e i p-cumaroil diglucosidi. Addirittura, in un blend di ‘Monarch’ e ‘Cabernet Cortis’ (entrambi PIWI), la quantità di antociani era la più elevata, suggerendo una stabilità del colore e una complessità notevoli.

E i tannini? Le proantocianidine macrocicliche (c-PAC)

Un altro campo affascinante è quello delle proantocianidine (PAC), ovvero i tannini condensati, cruciali per la struttura e la longevità del vino. Lo studio ha esaminato anche le proantocianidine oligomeriche macrocicliche (c-PAC), composti ancora un po’ misteriosi ma sempre più al centro dell’attenzione. Ebbene, anche qui i profili dei vini PIWI si sono dimostrati unici. Ad esempio, il c-tetramero e il c-pentamero-1 erano più abbondanti in campioni di ‘Cabernet Cortis’, mentre il c-OH-tetramero spiccava in blend di ‘Monarch’ e ‘Cabernet Cortis’. Queste differenze suggeriscono che ogni vitigno resistente ha una sua “impronta digitale” tannica.

Le differenze non si fermano qui. Anche altri composti fenolici hanno mostrato variazioni significative. Ad esempio, alcuni derivati dell’acido shikimico e chinico erano più abbondanti nel Vitis vinifera, mentre l’acido caffeico e derivati della catechina caratterizzavano di più alcuni PIWI.

Un bouquet di aromi distintivo

Passiamo ora al naso: il profilo volatile! Qui la faccenda si fa ancora più intrigante. Sono stati identificati ben 142 composti volatili! Il ‘Cabernet Sauvignon’ si distingueva per note di acido esanoico (che può ricordare il sudore, ma in piccole quantità contribuisce alla complessità), acetato di linalile (floreale, dolce, agrumato) e lattato di etile (fruttato, burroso). I vini PIWI, come un ‘Cabernet Cortis’, erano invece caratterizzati da etil succinato (fruttato), benzeneacetaldeide (floreale, grasso) e alcol feniletilico (floreale, speziato, rosa). Un altro blend PIWI (‘Monarch’ e ‘Cabernet Cortis’) presentava note di benzaldeide (mandorla) e α-terpineolo (floreale).

È interessante notare che composti tipici del ‘Cabernet Sauvignon’, come l’esanolo (erba, vegetale) e l’eucaliptolo (menta, eucalipto), erano presenti un po’ in tutti i vini, dato che il ‘Cabernet Cortis’ è un suo “figlio”.

Prime lens, 50mm, depth of field, una sessione di degustazione di vini rossi con diversi calici allineati, un quaderno per appunti e una mano che solleva un calice contro luce per esaminarne il colore, in un ambiente caldo e professionale.

Il verdetto del panel: qualità e preferenze

Ma la domanda che tutti ci poniamo è: al di là delle analisi chimiche, come sono questi vini al palato? Un panel di 12 assaggiatori esperti ha messo alla prova i campioni. E qui arriva la sorpresa (o forse no, per chi già conosce questi vini): i vini da vitigni resistenti sono stati giudicati di alta qualità! Questo sfata il mito che i vini da Vitis vinifera siano inevitabilmente i preferiti.

Certo, le differenze ci sono: il Vitis vinifera è risultato più “caldo” e astringente, con le già citate note di fragola e confettura. I PIWI, a seconda del blend e del vitigno, hanno mostrato più sentori di peperone verde (come nel blend ‘Monarch’ e ‘Cabernet Cortis’ affinato in vecchie botti di rovere e qvevri), oppure aromi di liquirizia e un sapore legnoso (come in un blend ‘Maréchal Foch’ e ‘Cabernet Cortis’ con 18 mesi di contatto con il rovere), o ancora tabacco e rovere (in un ‘Cabernet Cortis’ affinato 24 mesi in barrique di rovere americano).

Cosa interessante, i degustatori hanno mostrato una preferenza per i vini con aromi legnosi e note speziate, e hanno associato l’amaro e la sapidità alla qualità generale. E la buona notizia è che nessuno dei vini PIWI studiati presentava quei sentori “foxy” che a volte hanno penalizzato le prime generazioni di questi vitigni.

Dal punto di vista dei parametri enologici di base, il Vitis vinifera aveva più acido tartarico e meno acido lattico rispetto ai PIWI. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che i PIWI tendono ad avere più acido malico, che poi si trasforma in lattico durante la fermentazione malolattica.

Cosa ci dice tutto questo?

Questo studio è una conferma importante: i vini rossi da vitigni resistenti dell’Alto Adige non sono solo una scelta sostenibile, ma possono offrire esperienze sensoriali complesse, distintive e di alta qualità. Hanno una loro personalità, un loro carattere, che merita di essere scoperto e apprezzato.

Per i produttori, è un incoraggiamento a investire in questi vitigni, e per le autorità delle denominazioni, uno spunto per considerarne l’autorizzazione. Per noi consumatori, è l’invito ad essere curiosi, ad assaggiare e a sostenere una viticoltura che guarda al futuro del nostro pianeta senza rinunciare al piacere di un buon bicchiere di vino.

La strada per una viticoltura sempre più sostenibile passa anche da qui, da questi “campioni di resistenza” che stanno silenziosamente rivoluzionando il mondo del vino. E chissà quali altre scoperte ci riserverà il futuro: lo studio ha già annunciato un prossimo articolo sui vini bianchi PIWI della regione. Non vedo l’ora!

Insomma, la prossima volta che vi trovate davanti a una bottiglia di vino rosso dell’Alto Adige da vitigni resistenti, non esitate: potreste scoprire il vostro nuovo vino preferito e, allo stesso tempo, fare un piccolo, grande gesto per l’ambiente. Cin cin!

Fonte: Springer

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