Il Lungo Viaggio Sotterraneo dei Radionuclidi: Quanto Lontano e Per Quanto Tempo?
Ciao a tutti, appassionati di scienza e curiosi! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, quasi da film di fantascienza, ma tremendamente reale e importante per il nostro futuro: parleremo di radionuclidi e del loro movimento nel sottosuolo. Immaginate di dover nascondere qualcosa di estremamente prezioso – o in questo caso, potenzialmente pericoloso come le scorie nucleari – e di voler essere sicuri che resti lì, indisturbato, per millenni. Ecco, la scienza che studia questo è cruciale, e oggi cercherò di spiegarvela in modo semplice e, spero, avvincente.
Perché ci interessa tanto dove vanno a finire i radionuclidi?
Beh, la risposta è abbastanza intuitiva: la sicurezza. Quando si parla di depositi geologici per scorie radioattive, l’obiettivo primario è isolare questi materiali dalla biosfera per tempi lunghissimi. Stiamo parlando di centinaia di migliaia, se non milioni di anni! Capire come i radionuclidi potrebbero muoversi attraverso le rocce è fondamentale per scegliere i siti giusti e progettare barriere efficaci. Pensate che la Germania, con la sua legge StandAG2017, richiede analisi di sicurezza che coprano un milione di anni! Non è uno scherzo.
La scelta di un sito è una sfida enorme, non solo tecnica e geologica, ma anche sociale. Nessuno vuole un deposito di scorie nucleari sotto casa, giusto? Eppure, da qualche parte bisogna metterle. E qui entra in gioco la geologia: si cercano formazioni rocciose super compatte, a bassa permeabilità. In questi ambienti, l’acqua si muove pochissimo o per niente, e quindi il principale meccanismo di trasporto per i radionuclidi disciolti non è l’advezione (cioè essere trascinati dalla corrente d’acqua), ma la diffusione.
Diffusione, Adsorbimento e Decadimento: I Tre Moschettieri del Trasporto
Immaginate la diffusione come una goccia d’inchiostro che si espande lentamente in un bicchiere d’acqua ferma. È un movimento guidato dalla differenza di concentrazione: le particelle si spostano da dove sono più concentrate a dove lo sono meno. In rocce come l’argilla di Opalinus (studiata in Svizzera) o la bentonite (un altro tipo di argilla usata come materiale di riempimento e sigillo), la diffusione è la regina indiscussa del trasporto.
Ma non c’è solo la diffusione. Altri due processi sono fondamentali:
- Adsorbimento (o ritenzione): Alcuni radionuclidi tendono ad “attaccarsi” alle superfici dei minerali presenti nella roccia. Questo li rallenta parecchio. Più un radionuclide è “appiccicoso”, meno strada farà.
- Decadimento radioattivo: Ogni radionuclide ha un suo tempo di dimezzamento, cioè il tempo necessario perché la sua radioattività si riduca della metà. Alcuni decadono in fretta, altri impiegano eoni. Ovviamente, se un radionuclide decade prima di aver percorso molta strada, tanto meglio!
Il nostro studio, di cui vi sto per raccontare i succosi dettagli, si è concentrato proprio su questi aspetti: quanto lontano possono viaggiare alcuni radionuclidi per diffusione in questi materiali a bassa permeabilità, e quanto tempo ci mettono, tenendo conto dell’adsorbimento e del decadimento.
Cosa abbiamo combinato nel nostro studio?
Per prima cosa, ci siamo messi a “giocare” con dei modelli matematici. Non pensate a formule astruse e incomprensibili (beh, un po’ lo sono, ma cerco di semplificare!). Abbiamo usato un simulatore numerico (chiamato OpenGeoSys) per ricalcolare i risultati di esperimenti di laboratorio già pubblicati. Questi esperimenti, detti di “through-diffusion”, misurano proprio come i radionuclidi passano attraverso campioni di roccia. Questo passaggio è stato fondamentale per validare i parametri di trasporto che avremmo poi usato: il coefficiente di diffusione, la capacità di adsorbimento, ecc.
Una volta sicuri dei nostri parametri, abbiamo usato un modello analitico. Un modello analitico è una formula matematica che, sotto certe ipotesi semplificative, ti dà direttamente la soluzione. È meno flessibile di un simulatore numerico per geometrie complesse, ma è velocissimo e perfetto per capire le dinamiche fondamentali. Con questo modello, abbiamo calcolato le distanze di “breakthrough” (cioè la distanza alla quale la concentrazione del radionuclide raggiunge un certo valore, ad esempio lo 0,1% della concentrazione iniziale) e i tempi corrispondenti.
Abbiamo studiato il comportamento di alcuni “protagonisti” specifici: l’acqua triziata (HTO, che si comporta quasi come l’acqua normale), il Cloro-36 ((^{36})Cl), il Sodio-22 ((^{22})Na) e lo Stronzio-85 ((^{85})Sr), in materiali come l’Argilla di Opalinus, la bentonite e una miscela di magnetite e bentonite.

I Risultati: Sorprese e Conferme
E qui viene il bello! I nostri calcoli hanno mostrato qualcosa di molto interessante: per ogni radionuclide, la distanza di migrazione tende a convergere, cioè a raggiungere un massimo oltre il quale non va, anche se passa tantissimo tempo. Perché? Perché a un certo punto, il decadimento radioattivo diventa il processo dominante che limita l’ulteriore trasporto. È come se il radionuclide “morisse” prima di poter andare oltre.
Facciamo un esempio concreto: per il (^{36})Cl nell’Argilla di Opalinus, abbiamo visto che la sua migrazione converge a una distanza di circa 162 metri, anche considerando tempi superiori ai 10 milioni di anni! Sembra tanto, ma considerate la scala temporale geologica. Per altri radionuclidi con tempi di dimezzamento più brevi, le distanze sono molto minori. Ad esempio, lo (^{85})Sr migra al massimo per circa 0,06 metri (6 centimetri!) in 10 anni, dopodiché il decadimento lo ferma lì.
Questi risultati sono cruciali. Ci dicono che, grazie alla combinazione di bassa permeabilità (quindi diffusione lenta), adsorbimento e decadimento, molti radionuclidi non andranno poi così lontano come si potrebbe temere. Ovviamente, quelli con tempi di dimezzamento molto lunghi e basso adsorbimento, come il (^{36})Cl, sono i più “mobili” e richiedono maggiore attenzione.
Una Scorciatoia: il Numero di Damköhler
Calcolare queste cose può essere complesso. Così, ci siamo chiesti: non c’è un modo più semplice per stimare queste distanze massime? E la risposta è sì! Abbiamo introdotto un’espressione basata sul cosiddetto 2° numero di Damköhler. Questo numero adimensionale mette in relazione la velocità di reazione (nel nostro caso, il decadimento) con la velocità di trasporto diffusivo.
Rimaneggiando un po’ le formule, siamo arrivati a un’equazione semplice che permette di calcolare la distanza massima di breakthrough ((d_{b,max})) conoscendo solo:
- Un numero adimensionale (che abbiamo trovato essere circa 0.0145 per i radionuclidi non adsorbiti)
- Il coefficiente di diffusione effettivo
- La porosità effettiva (o il fattore di capacità per quelli adsorbiti)
- Il tempo di dimezzamento fisico del radionuclide
Questa formula si è rivelata incredibilmente accurata (coefficiente di determinazione R² = 1.00!) per i radionuclidi che non vengono adsorbiti. Per quelli adsorbiti, l’accuratezza è un po’ minore (R² = 0.77), probabilmente a causa delle incertezze nella stima sperimentale dei parametri di adsorbimento, ma è comunque un ottimo strumento di stima rapida.
Limiti e Prospettive Future
Come ogni studio scientifico, anche il nostro ha delle semplificazioni. Usare un modello analitico 1D significa considerare un mezzo omogeneo, senza fratture o variazioni spaziali dei parametri. La realtà geologica è molto più complessa! Inoltre, i parametri di trasporto derivano da esperimenti su campioni di roccia piccoli (pochi centimetri) e in condizioni di laboratorio. Estrapolare questi parametri a scale spaziali e temporali enormi introduce delle incertezze.
Ad esempio, non abbiamo considerato effetti come lo scambio isotopico idrogeno-trizio tra l’acqua triziata e i minerali argillosi, che potrebbe portare a una leggera sottostima della ritenzione dell’HTO. Oppure l’esclusione anionica, un fenomeno per cui gli anioni (come il Cloro) sono respinti dalle superfici minerali cariche negativamente, influenzando la loro diffusione (questo effetto è generalmente inglobato nel coefficiente di diffusione effettivo misurato).
Nonostante queste limitazioni, i nostri risultati sono in buon accordo con altri studi, inclusi esperimenti in situ. Ad esempio, per l’HTO in Argilla di Opalinus, noi calcoliamo una distanza di breakthrough di circa 0.25 m in un anno, e uno studio in situ (Wersin et al. 2008) ha osservato 0.15 m. Per lo (^{85})Sr, noi calcoliamo 0.06 m in un anno, e l’esperimento in situ ha trovato 0.06-0.08 m. Queste concordanze ci danno fiducia nella validità del nostro approccio.

Un altro aspetto importante emerso è che il tempo necessario perché la migrazione di un radionuclide raggiunga la sua distanza massima (convergenza) è circa due ordini di grandezza superiore al suo tempo di dimezzamento. Questa è un’indicazione utile per chi fa simulazioni numeriche: non serve simulare per tempi infiniti, ma si può stimare un tempo massimo ragionevole.
Cosa ci portiamo a casa?
Alla fine di questo lungo viaggio (sia per i radionuclidi che per noi che li studiamo!), quali sono i messaggi chiave?
- Il decadimento fisico è un attore protagonista nel limitare quanto lontano possono viaggiare i radionuclidi per diffusione.
- I radionuclidi con lunghi tempi di dimezzamento sono, ovviamente, quelli che destano più preoccupazioni per le analisi di sicurezza a lungo termine.
- La scala temporale per raggiungere la massima distanza di migrazione può essere stimata grossolanamente come circa 100 volte il tempo di dimezzamento del radionuclide.
- L’espressione basata sul 2° numero di Damköhler è uno strumento potente e semplice per stimare rapidamente le massime distanze di breakthrough, specialmente per i radionuclidi non adsorbiti.
Spero di avervi trasmesso un po’ della complessità e dell’importanza di questi studi. Capire il destino sotterraneo dei radionuclidi non è solo un esercizio accademico, ma un tassello fondamentale per garantire un futuro più sicuro, gestendo al meglio le eredità, a volte scomode, del nostro presente tecnologico. La ricerca continua, perché c’è sempre da imparare quando si scruta nelle profondità della Terra e nei meccanismi della natura!
Fonte: Springer
