Immagine panoramica aerea di un treno merci moderno che attraversa un paesaggio misto di aree industriali e zone verdi con turbine eoliche, simbolo della connettività BRI e della sfida tra sviluppo e ambiente, wide-angle 20mm, sharp focus, luce del giorno chiara.

La Via della Seta Verde? Commercio, Finanza e Ambiente nei Paesi BRI Connessi alla Cina

Ragazzi, parliamoci chiaro: la Nuova Via della Seta (o Belt and Road Initiative, BRI) lanciata dalla Cina nel 2013 è una cosa enorme. Un progetto di investimenti mastodontico, forse il più grande della storia, che mira a connettere la Cina con un sacco di paesi in Asia, Africa ed Europa. L’obiettivo? Integrazione economica, più scambi, infrastrutture migliori… insomma, vantaggi reciproci.

Ma c’è un “ma”. Tutta questa frenesia di costruire strade, porti, ferrovie e di aumentare il commercio, che impatto ha sull’ambiente? È una domanda che mi frulla in testa da un po’, soprattutto pensando a quei paesi che, grazie alla BRI, si trovano ora direttamente connessi alla Cina, via terra o via mare. Questi paesi, ovviamente, hanno visto il loro commercio con il gigante asiatico schizzare alle stelle. E non solo: anche il loro settore finanziario si è sviluppato, pompando più soldi nell’economia.

Bello, direte voi. Più commercio, più finanza, più crescita. Ma produzione di beni e servizi significa anche usare risorse e, spesso, inquinare. Ecco il dilemma. Importare beni dalla Cina potrebbe ridurre l’inquinamento *locale* (non produci tu, non inquini tu), ma magari peggiora le cose in Cina. Esportare verso la Cina, invece, potrebbe far aumentare le emissioni nel paese esportatore. E la finanza? Se finanzia industrie “sporche”, sono guai.

Mi sono imbattuto in uno studio recente (trovate il link alla fine) che ha provato a mettere i puntini sulle “i”, analizzando proprio l’effetto del commercio e dello sviluppo finanziario sulle emissioni di CO2 in un gruppo selezionato di questi paesi BRI “super connessi” alla Cina, nel periodo 2001-2019. E i risultati, ve lo dico, sono piuttosto interessanti e per certi versi inaspettati.

Un Legame Diretto: Cosa Significa Davvero?

Prima di tuffarci nei risultati, capiamo perché questa “connessione diretta” è importante. Pensateci: se sei collegato direttamente alla Cina da una nuova ferrovia o rotta marittima, scambiare merci diventa più facile, veloce ed economico. Non è un caso che proprio questi paesi abbiano ricevuto per primi infrastrutture e beni legati alla BRI. Per molti di loro, la Cina è diventata il partner commerciale numero uno, soprattutto per le importazioni. Parliamo di elettronica, macchinari, materiali da costruzione… un fiume di merci.

Questa vicinanza, però, solleva interrogativi ambientali specifici. La Cina potrebbe essere tentata di “delocalizzare” la produzione più inquinante proprio in questi paesi vicini? Oppure, al contrario, questi paesi potrebbero approfittare della connessione per importare tecnologie più pulite dalla Cina e modernizzare le proprie industrie? La questione è aperta e cruciale.

Fotografia macro di container colorati su una nave cargo attraccata in un porto moderno al tramonto, 105mm macro lens, high detail, precise focusing, luce calda e controllata, simbolo del commercio globale BRI.

Commercio e Finanza: Benedizione o Maledizione Ambientale?

Lo studio ha usato un approccio rigoroso, analizzando i dati con tecniche statistiche avanzate (per i più tecnici: test preliminari, analisi di cointegrazione, stima dei coefficienti con regressione quantile, che tiene conto delle differenze tra paesi). L’idea era capire se il commercio totale tra Cina e questi paesi, e lo sviluppo finanziario interno, avessero aumentato o diminuito le loro emissioni di CO2. Non solo: hanno anche guardato separatamente l’effetto delle importazioni *dalla* Cina e delle esportazioni *verso* la Cina.

E qui arrivano le sorprese. Pronti?

  • Commercio Totale: L’aumento complessivo degli scambi (import + export) tra questi paesi BRI e la Cina, dopo il lancio della BRI nel 2013, non sembra aver avuto un impatto significativo sulle emissioni di CO2 nei paesi BRI stessi. Un po’ controintuitivo, vero?
  • Sviluppo Finanziario (FD): Qui le notizie sono meno buone. Lo sviluppo finanziario in questi paesi, specialmente dopo il 2013, ha aumentato significativamente le emissioni di CO2. Sembra che più soldi disponibili per prestiti abbiano favorito attività economiche più inquinanti.

Ma la parte più affascinante arriva quando si spacca il “commercio totale” in import ed export.

Import dalla Cina: Un Aiuto Inaspettato per l’Ambiente Locale?

Analizzando specificamente le importazioni dalla Cina, lo studio ha scoperto che queste hanno avuto un effetto significativamente negativo sulle emissioni di CO2 nei paesi BRI. In pratica: più importi dalla Cina, meno inquini a casa tua (almeno in termini di CO2).

Come si spiega? L’ipotesi più probabile è legata all’ “effetto composizione” e al concetto di “pollution haven” (paradiso dell’inquinamento), ma visto dalla prospettiva del paese importatore. Molti di questi paesi BRI sono importatori netti di beni industriali dalla Cina, inclusi quelli considerati “pollution-intensive” (ad alta intensità di inquinamento), come prodotti chimici industriali, ferro, acciaio, cemento. Importando questi beni invece di produrli internamente, evitano le emissioni associate alla loro fabbricazione. In pratica, “importano” l’inquinamento incorporato nei beni, riducendo quello generato entro i propri confini.

Ritratto ambientato di un uomo d'affari asiatico in giacca e cravatta che guarda pensieroso una fabbrica fumante in lontananza attraverso la finestra di un ufficio moderno, 35mm prime lens, depth of field, duotono seppia e grigio scuro, luce soffusa.

Certo, questo solleva due questioni enormi:

  1. Questa dipendenza dalle importazioni non rischia di creare problemi di bilancia dei pagamenti a lungo termine?
  2. Se la Cina sta esportando questi beni “sporchi”, non sta semplicemente spostando il problema ambientale invece che risolverlo (nonostante i suoi impegni ambientali interni)?

La risposta alla seconda domanda è complessa: la Cina, avendo più know-how, potrebbe produrre questi beni in modo relativamente meno inquinante rispetto ai paesi BRI, ma resta il fatto che è un’esportatrice netta di emissioni incorporate.

Export verso la Cina: Il Prezzo Ambientale delle Esportazioni

Se le importazioni sembrano “pulire” l’aria locale (a spese altrui, forse), le esportazioni verso la Cina mostrano l’effetto opposto. Lo studio conferma che aumentare le esportazioni verso Pechino ha portato a un aumento significativo delle emissioni di CO2 nei paesi BRI analizzati.

Questo è più intuitivo: per esportare di più, devi produrre di più. E se la tua produzione si basa su tecnologie non proprio all’avanguardia o su settori energivori, le emissioni salgono. Anche se l’effetto quantitativo rilevato dallo studio non è enorme (probabilmente perché questi paesi importano molto più di quanto esportano verso la Cina), la direzione è chiara.

Fotografia grandangolare di ciminiere industriali che emettono fumo denso contro un cielo nuvoloso al crepuscolo, wide-angle 15mm, long exposure per nuvole mosse, sharp focus sulle strutture, atmosfera cupa.

Cosa Fare? Le Raccomandazioni Politiche

Alla luce di questi risultati, cosa dovrebbero fare questi paesi BRI così legati alla Cina? Lo studio suggerisce alcune strade:

  • Sfruttare la Connessione per la Tecnologia Verde: Visto che importare dalla Cina sembra ridurre le emissioni locali, perché non concentrarsi sull’importazione di tecnologie ambientali? Pannelli solari, turbine eoliche, macchinari efficienti… La connessione diretta dovrebbe facilitare questo trasferimento tecnologico, aiutando a modernizzare l’industria locale in chiave sostenibile. Nel breve termine, si importa tecnologia; nel lungo, si punta all’autosufficienza.
  • Pulire le Esportazioni: Lavorare per ridurre l’impronta di carbonio dei beni esportati, sia verso la Cina che verso il resto del mondo. Questo richiede investimenti in efficienza energetica e processi produttivi più puliti.
  • Finanza Verde: Regolamentare il settore finanziario. Le banche e le istituzioni finanziarie dovrebbero essere incentivate (o obbligate?) a finanziare progetti e industrie sostenibili, piuttosto che continuare a pompare soldi in attività altamente inquinanti. Servono linee guida ambientali chiare per gli investimenti.
  • Cooperazione e Regolamentazione: Dato che l’inquinamento non conosce confini, servono politiche ambientali coordinate tra la Cina e i paesi BRI, specialmente quelli direttamente connessi. Regole comuni sul commercio “pulito” potrebbero fare la differenza.

Fotografia macro di una mano che tiene una giovane piantina verde che spunta da un terreno fertile, con pannelli solari sfocati sullo sfondo, macro lens 85mm, high detail sulla piantina, shallow depth of field, luce naturale brillante.

In Conclusione: Una Sfida Complessa

Insomma, la relazione tra commercio, finanza e ambiente lungo la Nuova Via della Seta è tutt’altro che semplice. Non è un “tutto bianco o tutto nero”. Il commercio in sé non sembra essere il colpevole principale per l’aumento delle emissioni CO2 in questi paesi BRI connessi alla Cina, ma come si commercia e cosa si commercia fa una differenza enorme. Le importazioni possono offrire un sollievo temporaneo (ma a quale costo globale?), mentre le esportazioni e una finanza “cieca” all’ambiente possono peggiorare la situazione.

La sfida per questi paesi è trasformare la loro connessione privilegiata con la Cina da un potenziale rischio ambientale a un’opportunità per uno sviluppo davvero sostenibile. Servono scelte politiche coraggiose, investimenti mirati e una visione a lungo termine che metta l’ambiente al centro. La Via della Seta può diventare “verde”? La speranza c’è, ma la strada è ancora lunga e richiede impegno da tutte le parti coinvolte.

Fonte: Springer

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