Cancro al Seno: E Dopo? La Verità Nascosta sui Disturbi a Lungo Termine che Nessuno Registra
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore, perché tocca la vita di tantissime donne e, diciamocelo chiaramente, spesso finisce nel dimenticatoio una volta superata la fase acuta della malattia. Parliamo di cosa succede dopo il trattamento primario per il cancro al seno. Sì, perché la battaglia non finisce sempre con l’ultima chemio o l’ultimo controllo “pulito”. C’è un “dopo” che può essere costellato di disturbi persistenti, quelli che in gergo medico chiamano “late-term impairments”, ovvero problematiche a lungo termine.
Recentemente mi sono imbattuta in uno studio danese, pubblicato su Springer, che ha fatto luce proprio su questo aspetto, e i risultati, ve lo dico subito, sono piuttosto sconcertanti. Lo studio si intitola “Specification of self-reported late-term impairments 3–7 years after primary breast cancer treatment: a nationwide cross-sectional study among Danish breast cancer survivors”. Un titolone, lo so, ma il succo è importantissimo.
Lo Studio Danese: Un Faro sulla Realtà Post-Trattamento
Immaginatevi un’indagine su scala nazionale, che ha coinvolto quasi 10.000 donne danesi invitate a partecipare, con oltre 6.000 che hanno effettivamente risposto. Queste donne avevano completato il loro trattamento primario per il cancro al seno da 3 a 7 anni prima. L’obiettivo? Capire quali e quanti disturbi a lungo termine riportassero, quanto fossero gravi e, soprattutto, se questi problemi venissero registrati nel sistema sanitario nazionale danese. E qui, amici miei, casca l’asino.
Le donne coinvolte avevano un’età media di 57 anni al momento dell’intervento chirurgico. Molte avevano un livello di istruzione più basso, erano sposate, con un indice di massa corporea tendente al sovrappeso e spesso con una o più altre patologie preesistenti. Insomma, un campione piuttosto rappresentativo della popolazione.
I Numeri che Fanno Riflettere: Un Coro Silenzioso di Disagio
Tenetevi forte: ben il 60,7% delle donne ha riferito di avere disturbi a lungo termine derivanti dal trattamento per il cancro al seno. Avete capito bene, più di 6 donne su 10! E non parliamo di fastidi leggeri. In media, il 58,0% di coloro che hanno segnalato problemi li ha descritti come di intensità da moderata a severa, utilizzando scale di valutazione validate e riconosciute.
Ma quali sono questi fantasmi che perseguitano le sopravvissute? Eccoli, in ordine di frequenza tra chi ha riportato disturbi:
- Disturbi alla spalla (come difficoltà funzionali e ridotta mobilità): un incredibile 75,3%
- Fatica cronica (quella che ti prosciuga le energie): 56,9%
- Neuropatia indotta dalla chemioterapia (dolore, formicolio, intorpidimento, spesso a mani e piedi): 49,6%
- Linfedema (gonfiore, solitamente al braccio): 26,3%
Quando è stato chiesto loro di indicare i due disturbi più fastidiosi, i problemi alla spalla (53,1%) e la fatica (41,5%) sono rimasti in cima alla lista. Immaginatevi convivere quotidianamente con un braccio che non si muove come dovrebbe o con una stanchezza che non vi abbandona mai. Non è una passeggiata.

E le conseguenze non si fermano qui. In media, il 35,3% di tutte le partecipanti che lamentavano disturbi da moderati a severi ha indicato di fare uso di farmaci antidolorifici, spesso con prescrizione medica, per 4-7 giorni alla settimana. Addirittura, tra le donne di età compresa tra i 50 e i 59 anni con problemi alla spalla, il 13,6% ha dovuto lasciare il lavoro a causa di queste limitazioni. Un impatto devastante sulla qualità della vita e sulla capacità lavorativa.
Il Muro dell’Indifferenza (o della Mancata Registrazione)
Ora, la parte che mi ha lasciata più basita. Nonostante questa altissima prevalenza di problemi auto-riferiti e la loro gravità, questi disturbi erano rarissimamente registrati nel Danish National Patient Registry, il registro nazionale dei pazienti danese. Parliamo di percentuali irrisorie:
- Linfedema: 1,3%
- Fatica: 0,2%
- Disturbi alla spalla: 0,1%
- Neuropatia indotta da chemioterapia: 0,1%
Un divario enorme! Questo suggerisce diverse possibilità, nessuna particolarmente rassicurante: o le donne non cercano un trattamento specializzato per questi problemi, o c’è una negligenza nella registrazione dei codici diagnostici pertinenti da parte del sistema sanitario, oppure, semplicemente, gli operatori sanitari non pongono le domande giuste per far emergere questi disturbi durante i follow-up.
Perché Questa Discrepanza?
Lo studio avanza alcune ipotesi. Innanzitutto, l’obiettivo primario del trattamento ospedaliero è tradizionalmente la cura del cancro e la prevenzione delle recidive. Una volta raggiunto questo, l’attenzione potrebbe calare sugli effetti a lungo termine non direttamente “vitali”. In secondo luogo, potrebbe esserci una carenza di trattamenti basati sull’evidenza scientifica per affrontare efficacemente la complessità di alcuni di questi disturbi, come il dolore e la disfunzione della spalla. Infine, molti di questi problemi potrebbero esulare dall’ambito di competenza o dal focus principale dell’oncologo.
Affrontare questi disturbi richiederebbe una maggiore collaborazione e coordinamento nei trattamenti riabilitativi, il che potrebbe inizialmente comportare costi aggiuntivi per il sistema sanitario. Tuttavia, non dare priorità a questi problemi potrebbe tradursi in costi sociali ben più elevati in futuro: maggiore morbilità, aumento del consumo di farmaci e una forza lavoro ridotta.

Cosa Possiamo Imparare e Cosa Dobbiamo Fare?
Questo studio danese, pur riferendosi a un sistema sanitario specifico, lancia un messaggio universale. C’è un bisogno disperato di cambiare approccio. Ecco alcuni spunti:
- Screening Sistematico: È fondamentale identificare la necessità di screening per i disturbi a lungo termine. Le autorità sanitarie, come quella danese nel suo nuovo Piano Oncologico, stanno iniziando a riconoscere questa esigenza.
- Implementazione di Strumenti di Screening: Non basta riconoscere il bisogno, bisogna agire. Servono strumenti pratici per migliorare l’accesso alla riabilitazione per le sopravvissute al cancro. In Danimarca, ad esempio, si sta sviluppando una piattaforma digitale apposita.
- Ricerca su Interventi Riabilitativi: Bisogna investire nella ricerca per sviluppare e testare interventi riabilitativi efficaci per alleviare questi disturbi.
- Corretta Registrazione Diagnostica: È cruciale sensibilizzare la pratica clinica sull’importanza dell’uso corretto dei codici diagnostici per monitorare adeguatamente la prevalenza di questi problemi.
Punti di Forza e Limiti dello Studio
È giusto sottolineare che questo studio ha dei punti di forza notevoli: la dimensione nazionale, l’alto tasso di risposta, l’uso di questionari validati e sviluppati specificamente per le sopravvissute al cancro al seno danesi, e il collegamento con dati di registro di alta qualità. Certo, come ogni studio basato su questionari auto-riferiti, c’è il limite dell’assenza di test oggettivi per verificare la presenza o la gravità dei disturbi. Inoltre, c’è sempre il rischio del “healthy participant effect”, ovvero che a partecipare siano le donne più intraprendenti e forse meno gravate dai problemi, il che potrebbe portare a una sottostima del fenomeno. Ma questo, se possibile, rafforza ancora di più la necessità di un sistema strutturato per identificare chi ha bisogno di aiuto.
Un Appello Finale
Insomma, care amiche e amici, i risultati di questo studio danese sono un campanello d’allarme. Più del 60% delle sopravvissute al cancro al seno in Danimarca riporta disturbi da moderati a severi anni dopo il trattamento, con conseguenze sul consumo di farmaci e sulla capacità lavorativa. Eppure, questi problemi di salute sembrano essere ampiamente trascurati dal sistema sanitario secondario, almeno a livello di registrazione formale.
La ricerca futura, come suggeriscono gli autori, dovrebbe concentrarsi sulle strutture organizzative dell’assistenza sanitaria secondaria per facilitare lo screening e la diagnosi tempestiva di questi disturbi a lungo termine. Perché sconfiggere il cancro è una vittoria immensa, ma garantire una buona qualità di vita dopo la malattia è altrettanto fondamentale. Non possiamo permetterci di lasciare indietro queste donne, invisibili nel loro disagio quotidiano.
Spero che questa riflessione vi sia stata utile. Parliamone, condividiamo, sensibilizziamo. Perché solo portando alla luce questi problemi “nascosti” possiamo sperare di cambiare le cose.
Fonte: Springer
