Primo piano di una maschera CPAP trasparente indossata da un paziente sdraiato in un letto d'ospedale, si intravede un operatore sanitario con mascherina sullo sfondo sfocato, luce clinica ma calda, obiettivo 50mm, profondità di campo ridotta per focalizzare sulla maschera.

Ventilazione Non Invasiva: Paura Aerosol Ingiustificata? Ecco Cosa Dice la Scienza!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che, specialmente dopo la pandemia di COVID-19, ha tenuto banco tra noi clinici e ha generato non poca preoccupazione: l’uso della ventilazione non invasiva, come la CPAP (Continuous Positive Airway Pressure) e l’HFNC (High-Flow Nasal Cannula), e il rischio che queste tecniche possano disperdere aerosol infettivi nell’ambiente.

Da quando il SARS-CoV-2 ha fatto la sua comparsa, ci siamo chiesti: queste macchine, che aiutano tanti pazienti a respirare meglio, sono anche delle “sparabolle” di virus? Molte linee guida, ancora oggi, le classificano come procedure ad alto rischio di generazione di aerosol. Ma è davvero così? Abbiamo voluto vederci chiaro.

Perché tutta questa preoccupazione per gli aerosol?

Prima di tuffarci nei risultati del nostro studio, facciamo un passo indietro. Cosa sono gli aerosol? Sono particelle piccolissime, sospese nell’aria, che emettiamo quando respiriamo, parliamo, tossiamo. Se una persona ha un’infezione respiratoria (pensiamo all’influenza, al COVID, al virus respiratorio sinciziale – RSV), questi aerosol possono contenere il patogeno e trasmetterlo ad altri.

Le particelle più piccole (< 5 µm) sono quelle che storicamente ci preoccupavano di più perché possono raggiungere le parti più profonde dei polmoni. Ma attenzione, i recettori per il SARS-CoV-2, ad esempio, si trovano anche nelle vie aeree superiori, quindi anche particelle più grandi potrebbero avere un ruolo. Insomma, definire una dimensione "sicura" non è affatto semplice. La logica dietro la paura per CPAP e HFNC è che queste tecniche modificano il flusso d'aria nelle vie respiratorie. La CPAP mantiene una pressione positiva costante, mentre l'HFNC "spara" aria arricchita di ossigeno ad alti flussi. L'idea è che questo flusso d'aria extra possa "strappare" più particelle dalle mucose umide, dove magari si annidano i virus, e disperderle nell'ambiente. È un'ipotesi ragionevole, no? Ma un'ipotesi va verificata.

Il nostro studio: mettiamo alla prova CPAP e HFNC

Stanchi delle incertezze e delle linee guida a volte discordanti (persino l’OMS non si è sbilanciata nettamente), abbiamo deciso di mettere in piedi uno studio sistematico per misurare *davvero* quanti aerosol vengono emessi usando CPAP e HFNC, confrontandoli con la normale attività respiratoria senza alcun supporto (che abbiamo chiamato NBA, No Breathing Aid).

Abbiamo reclutato 16 volontari sani (alla fine ne abbiamo analizzati 16 su 20 per via di alcuni dati corrotti). Li abbiamo fatti accomodare in una sala operatoria a flusso laminare – un ambiente super controllato con un ricambio d’aria pazzesco (30 volte all’ora!), praticamente privo di particelle di fondo. Questo ci ha permesso di essere sicuri che le particelle misurate provenissero proprio dai nostri volontari.

Abbiamo usato uno strumento fichissimo, uno spettrometro di aerosol portatile (un Grimm 11D, per i più tecnici), piazzato a circa 40 cm dal viso del volontario, più o meno dove si troverebbe un operatore sanitario. Questo strumento misura la concentrazione e la dimensione delle particelle (da 0.25 a 35 µm) ogni 6 secondi.

Fotografia di uno spettrometro di aerosol portatile posizionato vicino a un manichino medico che simula un paziente in un letto d'ospedale, obiettivo 60mm macro, alta definizione, illuminazione controllata da laboratorio, per evidenziare la precisione della misurazione delle particelle.

A ogni volontario abbiamo chiesto di seguire un protocollo preciso, ripetuto tre volte: una senza supporto (NBA), una con CPAP (impostata a 5 mBar e 40% O2 con maschera facciale) e una con HFNC (impostata a 50 L/min a 34°C). Il protocollo prevedeva fasi di:

  • Respirazione normale
  • Respirazione profonda
  • Parlare (leggendo un testo predefinito)
  • Tossire

Abbiamo lasciato che i volontari respirassero come veniva loro naturale, bocca aperta o chiusa, per simulare una situazione clinica reale.

I risultati: una sorpresa (ma non troppo)?

Ebbene, tenetevi forte: non abbiamo trovato differenze statisticamente significative nell’emissione di aerosol tra l’uso di CPAP o HFNC e le stesse attività respiratorie senza alcun supporto!

Analizzando i dati, abbiamo visto che né la CPAP né l’HFNC aumentavano in modo rilevante il numero di particelle emesse rispetto alla condizione NBA durante:

  • La respirazione normale (CPAP: p=0.816, HFNC: p=0.244)
  • La respirazione profonda (CPAP: p=0.378, HFNC: p=0.623)
  • Il parlare (CPAP: p=0.0523, HFNC: p=0.0140 – quest’ultimo era inizialmente significativo, ma ha perso significatività dopo le correzioni per confronti multipli)
  • Il tossire (CPAP: p=0.587, HFNC: p=0.365)

In pratica, i nostri risultati suggeriscono che né la CPAP né l’HFNC hanno un impatto clinicamente significativo sull’emissione di aerosol. Questo va un po’ contro l’idea comune e le classificazioni di rischio attuali.

Abbiamo anche notato che la stragrande maggioranza delle particelle rilevate erano piccole (< 1 µm), trovate nell'89% delle misurazioni. Le particelle medie (1-5 µm) erano presenti nel 42% circa, mentre quelle grandi (> 5 µm) erano davvero rare (solo 8 misurazioni su 192, principalmente durante tosse e parlato, mai durante la respirazione normale). Questo è in linea con la letteratura esistente.

Un dato interessante: durante la tosse, la CPAP ha mostrato una tendenza (non significativa) a ridurre le emissioni rispetto a NBA, mentre l’HFNC le aumentava leggermente. Questo potrebbe suggerire che la maschera ben aderente della CPAP e la pressione positiva possano addirittura contenere un po’ la dispersione, come già ipotizzato da altri studi.

Ritratto di un operatore sanitario che indossa dispositivi di protezione individuale (mascherina FFP2, occhiali, camice) mentre assiste un paziente anziano con maschera CPAP in una stanza d'ospedale, obiettivo 35mm, bianco e nero, profondità di campo, atmosfera rassicurante.

Il fattore “Super-Diffusore” e le implicazioni pratiche

Un altro aspetto emerso chiaramente, e che conferma quanto visto in altri ambiti della trasmissione aerea, è l’enorme variabilità individuale. Nel nostro studio, circa il 37.5% dei partecipanti (6 su 16) è stato responsabile dell’80% di tutte le emissioni di aerosol! Alcune persone, semplicemente, emettono molte più particelle di altre, indipendentemente dall’attività o dal supporto respiratorio usato.

Questo fenomeno dei “super-diffusori” (anche se qui parliamo di “super-emettitori”, dato che i volontari erano sani) è cruciale. Significa che il rischio di trasmissione dipende probabilmente molto di più dalle caratteristiche individuali del paziente che non dal fatto che stia usando una CPAP o un HFNC.

Qual è l’implicazione clinica? Che forse dovremmo preoccuparci meno del *tipo* di supporto respiratorio non invasivo e più del fatto che qualsiasi paziente potrebbe essere un potenziale “super-emettitore”. Non potendo identificarli a priori, la prudenza suggerisce di adottare precauzioni adeguate (come l’uso di DPI) con tutti i pazienti che necessitano di supporto respiratorio, ma senza considerare CPAP e HFNC come procedure intrinsecamente più pericolose di una normale respirazione o di un colpo di tosse. I nostri risultati supportano l’idea che queste terapie possano essere usate più liberamente, senza il timore ingiustificato di aumentare massicciamente il rischio di aerosolizzazione.

Limiti dello studio (l’onestà prima di tutto)

Come ogni studio, anche il nostro ha dei limiti. Abbiamo usato volontari sani, non pazienti con patologie respiratorie, che potrebbero avere pattern di emissione diversi. Il campione era relativamente piccolo (16 persone), il che riduce la potenza statistica. L’ambiente della sala operatoria, con altissimo ricambio d’aria, ha minimizzato la contaminazione ma ha anche ridotto le concentrazioni assolute di particelle rispetto a una normale stanza di degenza (anche se ha permesso confronti relativi validi). Infine, abbiamo misurato a una distanza “realistica”, senza usare imbuti di raccolta, privilegiando la validità ecologica a scapito forse di una cattura millimetrica di tutte le particelle.

Grafico scientifico astratto che mostra boxplot comparativi delle emissioni di particelle (CPAP vs HFNC vs NBA) durante diverse attività respiratorie, visualizzazione dati chiara e moderna, sfondo neutro.

In conclusione: un sospiro di sollievo?

Nonostante i limiti, il messaggio chiave del nostro lavoro è forte e chiaro: l’uso di CPAP e HFNC in volontari sani non sembra esporre il personale sanitario a concentrazioni di aerosol maggiori rispetto a quelle generate dalle normali attività respiratorie senza supporto. Anzi, in alcune condizioni (come la tosse con CPAP), potrebbe esserci persino una leggera tendenza alla riduzione.

Questi risultati si aggiungono a un crescente corpo di evidenze che suggeriscono di riconsiderare la classificazione di CPAP e HFNC come procedure ad alto rischio di generazione di aerosol. Speriamo che questo contribuisca a un approccio più sereno e basato sui dati nell’uso di queste importantissime terapie respiratorie, bilanciando correttamente i benefici per il paziente e la sicurezza per noi operatori.

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *