Ventilazione Non Invasiva Preospedaliera: Un Soffio Vitale Prima dell’Anestesia d’Emergenza
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che sta cambiando le carte in tavola nel soccorso preospedaliero, un ambito dove ogni secondo e ogni respiro contano davvero. Immaginate la scena: un paziente critico, magari dopo un brutto incidente o per una grave patologia, ha bisogno di essere addormentato e intubato sul posto, prima ancora di arrivare in ospedale. È una manovra delicata, chiamata anestesia d’emergenza preospedaliera (PHEA – Prehospital Emergency Anaesthesia), fondamentale ma non priva di rischi. Uno dei pericoli maggiori? L’ipossia, cioè la carenza di ossigeno, che può verificarsi durante i minuti cruciali dell’induzione dell’anestesia e dell’intubazione.
Per evitare questo problema, noi soccorritori usiamo una tecnica chiamata preossigenazione: in pratica, cerchiamo di “riempire” i polmoni del paziente con quanto più ossigeno possibile prima di iniziare. Tradizionalmente, questo si fa con maschere speciali (quelle non-rebreather) o con il classico pallone Ambu (bag-valve-mask, BVM). Metodi validi, certo, ma che a volte non bastano per i pazienti più gravi, quelli che già faticano a respirare o hanno i polmoni compromessi. In ospedale, per questi casi, si è visto che la Ventilazione Non Invasiva (NIV) funziona molto meglio. Ma fuori dall’ospedale? Finora, nessuno ne aveva parlato seriamente. Ed è qui che entra in gioco uno studio finlandese davvero interessante.
Cos’è Esattamente la Preossigenazione con NIV?
Magari vi state chiedendo cosa sia questa NIV. In parole semplici, invece di lasciare il paziente respirare ossigeno passivamente da una maschera o “spremere” aria nei polmoni con un pallone, usiamo un ventilatore portatile collegato a una maschera ben aderente al viso. Questo ventilatore fa due cose fantastiche:
- Fornisce un supporto alla respirazione spontanea del paziente (Pressure Support Ventilation – PSV), aiutandolo a fare respiri più efficaci.
- Mantiene una leggera pressione positiva nei polmoni anche alla fine dell’espirazione (Positive End Expiratory Pressure – PEEP).
Il risultato? Si riesce a “reclutare” meglio gli alveoli polmonari, anche quelli magari un po’ collassati, e si combatte lo “shunt”, cioè quella situazione in cui il sangue passa nei polmoni senza ossigenarsi a dovere. In pratica, si crea una riserva di ossigeno molto più grande e robusta, pronta per affrontare i minuti critici dell’anestesia. Il tutto, ovviamente, erogando ossigeno puro al 100%.
L’Esperienza Finlandese sul Campo
Veniamo allo studio. Un’unità HEMS (Helicopter Emergency Medical Services) finlandese, composta da medici anestesisti super esperti, ha deciso di provare a usare la NIV per la preossigenazione nei loro interventi. Hanno raccolto dati su 42 pazienti tra ottobre 2022 e maggio 2023, osservando cosa succedeva. E i risultati sono stati davvero incoraggianti!
Prima di tutto, la tecnica si è dimostrata fattibile e tecnicamente riuscita nel 100% dei casi. Nessun intoppo, nessuna necessità di cambiare metodo a metà procedura. Questo è già un dato pazzesco in un ambiente caotico come quello preospedaliero.
Ma i numeri sull’ossigenazione sono ancora più eloquenti. All’arrivo dell’elicottero, la saturazione media di ossigeno era già buona (98%), ma dopo la preossigenazione con NIV e l’intubazione, la mediana è salita al 99%, e si è mantenuta alta per tutto il trasporto. Soprattutto, non si sono verificati episodi di ipossia (saturazione sotto il 90%) legati alla procedura di intubazione, secondo gli indicatori di qualità internazionali. Due pazienti sono rimasti un po’ bassi di ossigeno dopo, ma avevano problemi preesistenti (una polmonite grave) che la NIV non poteva risolvere del tutto.

I pazienti erano per lo più casi neurologici (ictus, traumi cranici), non necessariamente i classici pazienti con insufficienza respiratoria grave o obesi, per i quali la NIV è spesso considerata più utile. Questo suggerisce che la NIV potrebbe avere benefici anche in una popolazione più ampia.
Perché la NIV Potrebbe Essere Migliore?
Ma perché dovremmo preferire un ventilatore, magari più ingombrante, alla cara vecchia maschera o al pallone? I vantaggi potenziali sono diversi, e lo studio finlandese li conferma indirettamente:
- Miglior Reclutamento Alveolare: Come detto, la combinazione di PEEP e PSV apre meglio i polmoni.
- Meno Shunt: Più alveoli aperti significa meno sangue che passa “a vuoto”.
- Ossigeno più Concentrato: Una maschera ben sigillata e un flusso controllato dal ventilatore potrebbero garantire una frazione di ossigeno inspirato (FiO2) più alta rispetto ai metodi tradizionali.
- Miglior Tenuta della Maschera: L’operatore può usare entrambe le mani per tenere la maschera aderente al viso, cosa impossibile se si usa il pallone Ambu con una mano sola. Questo migliora la tenuta e permette anche manovre manuali sulle vie aeree se necessario.
- Ventilazione Controllata Durante l’Induzione: Il ventilatore può essere impostato per garantire un numero minimo di respiri al minuto. Questo significa che anche quando il paziente smette di respirare per effetto dei farmaci, la ventilazione continua senza interruzioni, riducendo la fase di apnea e il rischio di desaturazione.
- Minor Rischio di Iperventilazione e Pressioni Eccessive: Il ventilatore eroga pressioni controllate, evitando i picchi potenzialmente dannosi che possono verificarsi con la ventilazione manuale a pallone.
Ci Sono Rischi o Preoccupazioni?
Ovviamente, ogni tecnica ha i suoi potenziali lati negativi. Una preoccupazione storica con la NIV è il rischio di insufflazione gastrica: la pressione positiva potrebbe spingere aria nello stomaco, aumentando il rischio di rigurgito e aspirazione di contenuto gastrico nei polmoni. Tuttavia, diversi studi (anche se non questo specificamente) sembrano ridimensionare questo rischio, e alcuni suggeriscono addirittura che la NIV potrebbe essere più sicura di altri metodi sotto questo aspetto. Nello studio finlandese, l’incidenza di polmonite da aspirazione sospetta (diagnosticata nei giorni successivi in ospedale) è stata del 17% nei pazienti sottoposti a radiografia entro 24 ore, un dato che non ha destato particolari allarmi rispetto alla letteratura esistente su pazienti critici intubati.
Un’altra sfida è capire quando la preossigenazione è sufficiente. Idealmente si misurerebbe l’ossigeno a fine espirazione, ma l’attrezzatura non è sempre disponibile fuori dall’ospedale. I medici finlandesi si basavano sul tempo (almeno 3 minuti) e sulla saturazione periferica, metodi pratici ma non perfetti.
Infine, bisogna considerare le limitazioni dello studio: è osservazionale (non c’è un gruppo di controllo che usava metodi tradizionali), il campione è piccolo (42 pazienti) e riguarda una popolazione specifica (prevalentemente neurologica) trattata da un team HEMS altamente specializzato con procedure standardizzate (ad esempio, usavano sempre il videolaringoscopio e il bougie, ottenendo il 100% di successo al primo tentativo di intubazione, fattore che di per sé riduce le complicanze). Quindi, i risultati vanno presi con cautela prima di generalizzare.

Il Punto di Vista dei Medici
Lo studio ha incluso anche un sondaggio tra i 10 medici dell’unità HEMS. Tutti avevano usato la NIV per la preossigenazione, con esperienze variabili da 1 a 50 casi. È emerso un quadro interessante sulle indicazioni:
- Il 40% la usava ormai di routine su tutti i pazienti da sottoporre a PHEA.
- Il 60% la riservava ai casi considerati a maggior rischio di desaturazione (pazienti obesi, con polmonite grave, sospetta atelettasia, o già molto ipossici).
Curiosamente, anche tra chi non la usava di routine, alcuni ammettevano che probabilmente sarebbe meglio usarla sempre. C’era invece consenso sulle controindicazioni: vomito attivo, sanguinamento importante delle vie aeree superiori, alto rischio di aspirazione già noto e traumi facciali che impediscono una buona tenuta della maschera.
Conclusioni e Prospettive Future
Allora, cosa ci portiamo a casa da questa esperienza finlandese? Sicuramente che la preossigenazione con NIV è fattibile e sembra tecnicamente sicura anche nell’impegnativo ambiente preospedaliero, almeno nelle mani di team esperti. Non sono emersi segnali di allarme evidenti riguardo a eventi avversi.
Certo, siamo solo all’inizio. Servono studi più ampi, magari randomizzati e controllati, per confermare l’efficacia della NIV nel prevenire l’ipossia rispetto ai metodi standard in questo setting, per valutarne la sicurezza su larga scala e per capire meglio quali pazienti ne beneficiano di più. Dovremmo usarla per tutti o solo per i casi più a rischio? La risposta non è ancora definitiva.
Ma una cosa è certa: questa tecnica apre prospettive affascinanti per migliorare ulteriormente la sicurezza di una manovra salva-vita come l’anestesia d’emergenza preospedaliera. Un piccolo “soffio” in più, dato nel modo giusto e al momento giusto, potrebbe fare una grande differenza per i nostri pazienti più critici. Continueremo a seguire gli sviluppi!
Fonte: Springer
