Sala operatoria high-tech durante un intervento di cardiochirurgia, focus sul team medico concentrato e sulla macchina cuore-polmone (CEC) in funzione, luce chirurgica intensa ma controllata, obiettivo prime 35mm, profondità di campo che isola la scena centrale, atmosfera di alta professionalità.

Ventilare o Non Ventilare Durante la Bypass Cuore-Polmoni? Una Ricerca Scuote le Certezze!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi ha davvero incuriosito nel mondo della cardiochirurgia e dell’anestesia. Sapete, quando un paziente deve subire un intervento al cuore importante, spesso si usa la cosiddetta circolazione extracorporea (CEC), quella macchina incredibile che fa il lavoro del cuore e dei polmoni mentre i chirurghi operano “a cuore fermo”. Una delle grandi domande durante questa fase è: cosa facciamo con i polmoni del paziente? Li lasciamo “a riposo”, scollegati dal ventilatore, o è meglio mantenerli un po’ ventilati, anche se a bassissimo regime?

Per anni, la prassi comune in molti centri è stata quella di fermare la ventilazione meccanica (VM) durante la CEC. Il ragionamento è semplice: i polmoni sgonfi danno meno fastidio al chirurgo e si evitano potenziali problemi emodinamici. Però, c’è un “ma”. Fermare la ventilazione può portare all’atelettasia, cioè al collasso di piccole aree polmonari. E l’atelettasia non è solo un problema di ossigenazione dopo l’intervento; alcuni pensano possa innescare infiammazione e persino indebolire le difese immunitarie del paziente, rendendolo più suscettibile alle temute infezioni postoperatorie.

Le infezioni dopo un intervento al cuore sono una bella gatta da pelare: allungano la degenza in terapia intensiva e in ospedale, richiedono più antibiotici e aumentano i costi e i rischi per il paziente. Si parla di tassi di infezione che possono superare il 20%! Mica poco. Quindi, l’idea di poterle ridurre semplicemente cambiando il modo di ventilare *durante* la CEC era davvero affascinante.

Lo Studio Che Ha Messo Tutto in Discussione

Proprio su questo dilemma si è concentrato un grosso studio clinico randomizzato, multicentrico, condotto in Francia e pubblicato di recente. Mi sono imbattuto nei suoi risultati e devo dire che mi hanno fatto riflettere parecchio. L’obiettivo era cristallino: verificare se mantenere una ventilazione meccanica “protettiva” – con volumi d’aria molto bassi (appena 2,5 ml per chilo di peso corporeo ideale) e una leggera pressione positiva a fine espirazione (la famosa PEEP, tra 5 e 7 cmH2O) – durante la CEC potesse ridurre l’incidenza di tutti i tipi di infezioni nei 28 giorni successivi all’intervento, rispetto a interrompere completamente la ventilazione.

Hanno arruolato un numero impressionante di pazienti, ben 1362 adulti programmati per cardiochirurgia con CEC. Metà di loro (il gruppo MV+) ha ricevuto questa ventilazione minima durante la bypass, mentre l’altra metà (il gruppo MV-, il controllo) ha avuto il tubo tracheale scollegato dal ventilatore, come da prassi più tradizionale. Tutti i pazienti, dopo la CEC, ricevevano comunque una manovra di “reclutamento polmonare” per riaprire eventuali aree collassate. L’ipotesi di partenza dei ricercatori era che il gruppo ventilato (MV+) avrebbe avuto meno infezioni. Logico, no? Meno atelettasia, meno infiammazione, meno immunosoppressione… meno infezioni.

Fotografia macro di alveoli polmonari sani e ben espansi, illuminazione controllata per evidenziare la struttura delicata, obiettivo macro 100mm, alta definizione, messa a fuoco precisa.

La Sorpresa: Nessuna Differenza sulle Infezioni!

E invece, tenetevi forte: i risultati hanno detto altro! Nel gruppo senza ventilazione (MV-), il 10,9% dei pazienti ha sviluppato un’infezione postoperatoria. Nel gruppo con ventilazione minima (MV+), la percentuale è stata del 10,0%. Una differenza minima, assolutamente non significativa dal punto di vista statistico (p=0.58). In pratica, mantenere quella ventilazione specifica durante la CEC non ha ridotto il rischio di infezioni. Un risultato che va un po’ controcorrente rispetto alle aspettative e ad alcuni studi preliminari più piccoli.

Ma non è finita qui. C’è stato un altro dato che ha fatto drizzare le antenne.

Il Colpo di Scena: Più Antibiotici nel Gruppo Ventilato?

Analizzando i dati secondari, è emersa una cosa inaspettata: i pazienti nel gruppo ventilato (MV+) hanno avuto un consumo di antibiotici significativamente maggiore nei 28 giorni post-intervento rispetto al gruppo non ventilato (MV-). Il rapporto di incidenza del rischio era 1.08, statisticamente significativo (p=0.02). Questo è strano, vero? Se le infezioni erano simili, perché un gruppo ha usato più antibiotici? Gli autori stessi definiscono questo risultato “inaspettato” e meritevole di ulteriori approfondimenti. Non danno una spiegazione certa, ma sottolineano come un maggior uso di antibiotici non sia mai una buona notizia, per via degli effetti collaterali e del rischio di sviluppare resistenze batteriche. È importante notare che la profilassi antibiotica iniziale era standard e uguale per tutti, quindi non dipende da quello.

Altri Risultati e Possibili Spiegazioni

Coerentemente con l’assenza di differenze sulle infezioni, anche gli altri parametri studiati non hanno mostrato vantaggi per il gruppo ventilato. La durata della degenza ospedaliera, la durata della ventilazione meccanica post-operatoria, i livelli di ossigenazione (rapporto PaO2/FiO2), la mortalità a 28 giorni e persino i biomarcatori dell’infiammazione e della funzione immunitaria (come l’espressione di HLA-DR sui monociti, i livelli di IL-6 e IL-10 nel sangue) erano simili nei due gruppi.

Perché questa strategia ventilatoria non ha funzionato come sperato? Gli autori avanzano qualche ipotesi. Forse la ventilazione usata era *troppo* minima per fare la differenza? O forse l’effetto benefico è stato annullato dalla manovra di reclutamento polmonare fatta a *tutti* i pazienti dopo la CEC, che potrebbe aver “pareggiato i conti” riaprendo le atelettasie in entrambi i gruppi? Un’altra possibilità è che i danni polmonari e l’infiammazione legati alla CEC stessa (dovuti alla ridotta perfusione polmonare durante la bypass) siano predominanti e non modificabili dalla sola ventilazione. Insomma, la faccenda è complessa.

Primo piano di un tecnico di laboratorio che analizza campioni di sangue con una pipetta e provette contenenti biomarcatori infiammatori (es. IL-6, IL-10), sfondo sfocato di laboratorio, obiettivo macro 60mm, illuminazione precisa.

Cosa Ci Portiamo a Casa da Questo Studio?

Beh, secondo me, questo studio è importante perché fornisce dati solidi, provenienti da un trial ampio e ben condotto, su una questione dibattuta. Ci dice che, almeno per questa specifica strategia (ventilazione a bassissimo volume con PEEP durante CEC in pazienti adulti in elezione), non c’è un beneficio chiaro nella prevenzione delle infezioni postoperatorie. Anzi, solleva un campanello d’allarme sull’aumentato consumo di antibiotici, che non è da sottovalutare.

Questo non significa che ventilare durante la CEC sia sempre inutile o dannoso. Magari altre strategie ventilatorie (volumi diversi? PEEP diverse? Manovre specifiche?) potrebbero dare risultati differenti. O forse i benefici potrebbero esserci in popolazioni specifiche che questo studio ha escluso, come i pazienti operati in urgenza o quelli con malattie respiratorie preesistenti, che sono a rischio più alto.

Limiti e Prospettive Future

Come ogni studio, anche questo ha i suoi limiti. Non possiamo estendere questi risultati ai pazienti più critici o con problemi polmonari cronici. Inoltre, alcuni dettagli come la frazione di ossigeno inspirata (FiO2) non erano standardizzati. E, come sempre, i risultati sugli outcome secondari vanno presi con cautela, perché lo studio era dimensionato principalmente per valutare le infezioni.

La ricerca, però, non si ferma qui. Questo studio aggiunge un tassello importante al puzzle, mettendo in discussione una pratica raccomandata da alcune linee guida pur in assenza di prove definitive. Forse l’attenzione dovrà spostarsi su altri aspetti della gestione perioperatoria per ridurre le complicanze, o forse serviranno studi che testino strategie ventilatorie diverse o si concentrino sui pazienti a rischio più elevato.

In conclusione, la prossima volta che sentiremo parlare di ventilazione durante la circolazione extracorporea, sapremo che la questione non è così semplice come sembrava. Questo studio ci ricorda che anche le pratiche che sembrano logiche e promettenti devono essere messe alla prova rigorosamente, perché a volte i risultati possono sorprenderci! E voi cosa ne pensate? Fatemelo sapere!

Fonte: Springer

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