Sottili, Preziosi e un po’ Lunatici: Viaggio nei Film di Carbonio Amorfo e Nichel e il Segreto della Velocità di Deposizione
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel mondo dell’infinitamente piccolo, dove materiali apparentemente semplici nascondono proprietà strabilianti. Parleremo di film sottili di carbonio amorfo drogati con nichel (Ni @ carbonio amorfo, per gli amici). Lo so, detto così suona un po’ ostico, ma fidatevi, la faccenda è più intrigante di quanto sembri! Questi materiali sono dei veri e propri jolly nel campo delle nanotecnologie, con applicazioni che spaziano dai catalizzatori all’elettronica, passando per l’ottica e i dispositivi optoelettrici. Immaginateveli come dei rivestimenti super sottili, quasi invisibili, che possono cambiare le carte in tavola in un sacco di tecnologie.
L’avventura inizia: perché studiare questi film sottili?
Vi chiederete: perché tanto interesse per questi film? Beh, il bello dei film di carbonio/metallo è che, semplicemente cambiando il tempo e la velocità con cui li “costruiamo” (la velocità di deposizione), possiamo farli passare da completamente trasparenti – perfetti per far passare la luce, come nelle celle solari – a scuri e opachi, ideali per applicazioni opposte, come i diodi emettitori di luce (LED). È un po’ come avere un ingrediente magico che, a seconda di come lo tratti, ti dà risultati completamente diversi!
Nel nostro studio, ci siamo concentrati proprio su questo: come la velocità con cui depositiamo questi strati di carbonio e nichel influenzi la loro “pelle” a livello microscopico (la micromorfologia) e, di conseguenza, come interagiscono con la luce (i loro parametri ottici). Pensate che aggiungere atomi metallici come il nichel può anche migliorare la tensione e l’adesione del film, rendendolo più resistente. E se l’interazione tra la matrice di carbonio e le particelle di nichel è forte, le proprietà meccaniche, come la durezza, possono diventare paragonabili a quelle del diamante! Mica male, eh?
In passato, molti studi si sono concentrati su film di carbonio idrogenato. Noi, invece, abbiamo voluto esplorare quelli non idrogenati, creati a temperatura ambiente. Abbiamo scelto il nichel perché ha una bassa affinità con il carbonio, creando un confine netto tra la fase metallica e la matrice carboniosa. Questo ci permette di studiare meglio le loro interazioni.
Come li abbiamo creati e osservati? Un pizzico di alchimia moderna
Per creare i nostri campioni, abbiamo usato una tecnica chiamata RF-magnetron sputtering. Immaginatela come una sorta di “verniciatura” atomo per atomo in una camera a vuoto. Avevamo un bersaglio di grafite purissima con delle striscioline di nichel altrettanto puro. Questo bersaglio composito viene bombardato con ioni di argon ad alta energia, che “strappano” atomi di carbonio e nichel e li depositano su substrati di vetro e quarzo, precedentemente puliti con cura maniacale. Abbiamo variato i tempi di deposizione (50, 90, 180 e 600 secondi) per ottenere film con caratteristiche diverse.
Una volta pronti i nostri film, è iniziata la parte investigativa! Per scrutare la loro superficie, abbiamo usato un microscopio a forza atomica (AFM). È uno strumento incredibile che, semplificando molto, “tocca” la superficie con una punta finissima per mapparla in 3D, rivelando dettagli nell’ordine dei nanometri. I dati dell’AFM sono stati poi analizzati con un software specializzato (SPIP™ 6.7.4), seguendo standard internazionali (ISO 25178-2:2012 e ASME B46.1-2009), per ottenere parametri come la rugosità e la distribuzione delle nanoparticelle.
Per le proprietà ottiche, invece, ci siamo affidati a uno spettrometro (Jasco V-630-Japan) che misura come i film trasmettono e assorbono la luce a diverse lunghezze d’onda (tra 250 e 800 nm). Da questi dati, abbiamo calcolato un sacco di parametri interessanti.

La “pelle” dei nostri film: cosa ci dice il microscopio?
E qui viene il bello! L’analisi micromorfologica ci ha svelato parecchie cose. Ad esempio, il parametro Sq (altezza quadratica media), che ci dice quanto è regolare la superficie, ha mostrato che i film depositati per 180 secondi erano i più “ruvidi” (Sq intorno a 0.1475 mm). Questo succede perché, con una velocità di deposizione più alta, gli atomi che arrivano sul substrato non hanno abbastanza tempo per “sistemarsi” e trovare il punto di minima energia prima che arrivino altri atomi. È un po’ come gettare mattoni velocemente su un muro: non avranno il tempo di assestarsi bene, creando una superficie più irregolare e con particelle più grandi (dimensione media stimata con AFM intorno ai 20 nm, e con FESEM addirittura 80 nm!).
Al contrario, i film depositati per 600 secondi avevano la superficie più regolare (Sq minimo di circa 0.1360 mm). In questo caso, la velocità di deposizione è più bassa, quindi gli atomi hanno tutto il tempo di migrare e trovare la posizione energeticamente più favorevole, portando a particelle più piccole (circa 16 nm con AFM, 19 nm con FESEM) e una superficie più liscia. Pensateci: se i “mattoni” hanno tempo, si dispongono meglio!
Abbiamo anche guardato altri parametri, come l’asimmetria della superficie (Ssk) e la curtosi (Sku). Tutti i campioni avevano un Ssk positivo, indicando che la superficie è dominata da picchi piuttosto che da cavità. La curtosi, invece, era superiore a 4 per tutti, suggerendo la presenza di picchi e valli piuttosto accentuati. Curiosamente, il film depositato per 50 secondi, pur avendo valori bassi per molti parametri di rugosità (Sa, Sq, Sz, Sv, Sp), mostrava la topografia più irregolare in termini di dimensione frattale.
Un altro dato interessante riguarda la profondità del nucleo di rugosità (Sk). Era massima per il film a 180 secondi (0.1985 mm) e minima per quello a 50 secondi (0.1367 mm). Questo, insieme ad altri parametri come Spk (altezza ridotta dei picchi) e Svk (profondità ridotta delle valli), ci dà un quadro dettagliato della distribuzione e dell’abbondanza delle nanoparticelle. Per esempio, il film a 600 secondi mostrava il maggior numero di “punte” di nanoparticelle scansionate, ma con una distribuzione più uniforme e dimensioni minori rispetto agli altri.
E la luce? Come si comportano i nostri film sotto i riflettori?
Passiamo ora alle proprietà ottiche, che sono strettamente legate alla micromorfologia che abbiamo appena visto. Studiando come i film assorbono la luce, abbiamo notato che tutti mostravano picchi di assorbimento tra i 300 e i 400 nm. La cosa più importante, e una delle novità del nostro lavoro, è che la posizione e l’altezza di questi picchi non variavano linearmente con il tempo di deposizione. Questo perché, come abbiamo visto, la velocità di deposizione prima aumenta (da 50s a 180s, da 0.8 a 1.7 nm/sec) e poi diminuisce (da 180s a 600s, da 1.7 a 1 nm/sec).
Il film a 180 secondi, con la sua alta velocità di deposizione e particelle più grandi, mostrava un coefficiente di assorbimento ottico elevato. La sua densità ottica aveva il picco di energia più basso, circa 1.65 eV, indicando un comportamento quasi-metallico. Questo ha senso, dato che a 180s avevamo anche il contenuto di Nichel più alto (85 at%).
Un altro concetto interessante è la “skin depth” (profondità di pelle o δ), che è la profondità alla quale l’intensità di un campo elettromagnetico (come la luce) si riduce a circa il 37% del suo valore in superficie. Per i nostri film, abbiamo trovato un’energia di cut-off di circa 3.5 eV (corrispondente a una lunghezza d’onda di 353 nm). Oltre questa soglia, l’effetto di assorbimento diminuisce.
Abbiamo anche calcolato il band gap ottico (Eg), che, per farla semplice, è l’energia minima che un fotone deve avere per essere assorbito dal materiale e promuovere un elettrone. Per i film a 50, 90, 180 e 600 secondi, i valori erano rispettivamente 1.32, 1.68, 1.28 e 1.38 eV. Notate come il band gap diminuisca fino a 180 secondi (aumentando il carattere metallico) per poi risalire a 600 secondi (diminuendo il carattere metallico). Questo cambiamento è direttamente legato alla velocità di deposizione e alla microstruttura risultante.
L’energia di Urbach (EU), che è una misura del “disordine” nella struttura del film, e l’interazione elettrone-fonone (Ee-p), che descrive come gli elettroni interagiscono con le vibrazioni del reticolo, sono altri parametri che abbiamo investigato. Il film a 180 secondi, ad esempio, aveva il valore più basso di Ee-p.

Dalla luce all’elettricità: conducibilità e polarroni
Le proprietà ottiche ci danno anche indizi sul comportamento elettrico. Abbiamo calcolato la conducibilità ottica (σop) e la conducibilità elettrica (σelec). Entrambe tendevano ad aumentare con l’energia dei fotoni incidenti, probabilmente a causa dell’elevato assorbimento da parte delle nanoparticelle.
Infine, abbiamo esaminato la conducibilità in corrente alternata (σac). È emerso che, all’aumentare della frequenza dei fotoni, la σac diminuiva. Questo comportamento suggerisce che il meccanismo di conduzione dominante nei nostri film è quello del “salto” (hopping) di piccoli polaroni. Un polarone, in parole povere, è un elettrone che si muove attraverso il materiale portandosi dietro una “nuvola” di distorsione del reticolo. Il fatto che siano “piccoli” indica che questa distorsione è localizzata.
Tirando le somme: cosa abbiamo imparato?
Questa lunga chiacchierata ci ha portato a scoprire parecchie cose interessanti! Ecco i punti chiave:
- La velocità di deposizione è la regina indiscussa: influenza drasticamente sia la micromorfologia superficiale (rugosità, dimensione e distribuzione delle nanoparticelle) sia le proprietà ottiche ed elettriche dei film di Ni @ carbonio amorfo.
- I film depositati a 180 secondi (massima velocità di deposizione) sono più ruvidi, con nanoparticelle più grandi, un carattere quasi-metallico, un band gap ottico più basso e la minima interazione elettrone-fonone.
- I film depositati a 600 secondi (bassa velocità di deposizione) presentano una superficie più uniforme e regolare, con nanoparticelle più piccole e ben distribuite, e la minima perdita ottica.
- Il meccanismo di conduzione AC sembra essere dominato dal modello del piccolo polarone.
Capire queste relazioni tra processo di fabbricazione, struttura e proprietà è fondamentale per poter “cucire su misura” questi materiali per applicazioni specifiche, che sia per LED più efficienti, sensori più sensibili o nuovi dispositivi per l’immagazzinamento di informazioni. Il mondo nano è pieno di sorprese, e ogni piccolo dettaglio può fare una grande differenza!
Spero che questo viaggio vi sia piaciuto tanto quanto a me è piaciuto raccontarvelo. Alla prossima avventura scientifica!
Fonte: Springer
