Varicella nell’Adulto con Deficit G6PD: Quando un’Infezione Comune Diventa un Incubo Fatale
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di una storia che fa riflettere, un caso medico che ci ricorda come anche le malattie che consideriamo “comuni”, come la varicella, possano nascondere insidie terribili, specialmente quando incontrano condizioni particolari nel paziente. Parliamo di un’infezione da Varicella Zoster Virus (VZV), il virus della varicella e del fuoco di Sant’Antonio, che in una giovane donna adulta ha scatenato una reazione a catena devastante, portando a un’epatite fulminante e a un’insufficienza multiorgano. E c’è un dettaglio cruciale: la paziente aveva un deficit di G6PD.
Una Varicella che Prende una Piega Inaspettata
Immaginate una ragazza di 27 anni. Si presenta in ospedale con i sintomi classici della varicella che molti di noi conoscono: un’eruzione cutanea generalizzata con papule e vescicole rosse, comparsa da circa 6 giorni, accompagnata da febbre e prurito. Aveva avuto un contatto recente con un familiare affetto da VZV, quindi la diagnosi sembrava abbastanza chiara.
Inizialmente, un infettivologo le aveva prescritto una terapia standard per un adulto: paracetamolo per febbre e dolore e l’antivirale aciclovir per bocca. Sembrava la solita gestione ambulatoriale. Ma qui le cose iniziano a complicarsi. Nonostante seguisse la terapia da 6 giorni, i sintomi non miglioravano affatto. Anzi.
Quando arriva nella nostra struttura, la situazione è seria. Decidiamo subito di passare all’aciclovir per via endovenosa, una terapia più aggressiva riservata ai casi gravi. Ma la paziente lamenta anche un nuovo sintomo, comparso nelle ultime 48 ore: un forte dolore all’epigastrio (la parte alta dell’addome), costante, accompagnato da nausea, vomito e una totale perdita di appetito. Niente diarrea o stipsi, nessun cibo sospetto ingerito (importante: niente fave, note per scatenare crisi emolitiche in chi ha il deficit di G6PD).
Il Fattore G6PD: Un Dettaglio Non Trascurabile
E qui entra in gioco un elemento fondamentale della sua storia clinica: un deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD), diagnosticato durante l’infanzia. Cos’è? È il disordine enzimatico più comune al mondo, riguarda circa 400 milioni di persone! In pratica, i globuli rossi di chi ha questo deficit sono più vulnerabili allo stress ossidativo. Questo stress può essere scatenato da infezioni, alcuni farmaci o alimenti (come le fave, appunto).
Normalmente, il deficit di G6PD raramente causa mortalità diretta, ma le complicanze, come l’emolisi (distruzione dei globuli rossi), possono essere serie. Nel contesto di un’infezione virale come la varicella, questo deficit può diventare un fattore aggravante. Lo stress ossidativo e l’infiammazione generati dall’infezione possono essere amplificati, mettendo a dura prova organi come il fegato. Pensateci: è come gettare benzina sul fuoco dell’infiammazione già innescata dal virus.
La paziente, a parte questo, era sana: niente diabete, ipertensione, malattie croniche note. Non fumava, non beveva, non usava droghe. Prendeva solo i farmaci prescritti e negava l’uso di altri farmaci da banco o integratori erboristici (un punto su cui torneremo).
Indagini e Diagnosi: Il Fegato Sotto Attacco
All’esame fisico, notiamo subito l’ittero (pelle e occhi gialli), un segno classico di problemi al fegato. L’addome è dolente alla palpazione nella parte alta. La diagnosi di varicella è confermata dall’aspetto delle lesioni cutanee. Ma l’ittero e il dolore addominale sono campanelli d’allarme che indicano un coinvolgimento del fegato.
Partono subito gli esami: emocromo, test di funzionalità epatica, profilo coagulativo, enzimi pancreatici, marcatori per le epatiti virali comuni (A, B, C, E). Risultato? Le epatiti A, B, C ed E sono negative. Ma i test di funzionalità epatica sono disastrosi, indicano un danno gravissimo al fegato. La coagulazione del sangue è compromessa. L’ecografia addominale conferma un fegato ingrossato e sofferente (aumentata ecogenicità, edema periportale), con anche una milza leggermente ingrandita.
Abbiamo considerato anche un danno da farmaci (Drug-Induced Liver Injury – DILI), ma la dose di paracetamolo assunta (500 mg due volte al giorno) era minima, rendendo improbabile che fosse la causa principale di un’epatite così grave, definita fulminante (cioè ad insorgenza rapidissima e gravissima).
La conferma definitiva arriva dal test PCR per il VZV: risultato fortemente positivo, con una carica virale altissima. Questo indica un’infezione da VZV attiva e severa. Per essere ancora più sicuri, eseguiamo una biopsia epatica. L’esame istologico mostra una necrosi massiva delle cellule del fegato, ma senza segni di epatite autoimmune (un’altra possibile causa di danno epatico rapido, che viene così esclusa). La PCR eseguita direttamente sul tessuto epatico conferma la presenza del DNA del VZV nel fegato. Non ci sono più dubbi: si tratta di epatite fulminante associata a VZV, probabilmente esacerbata dal deficit di G6PD preesistente.
La Battaglia in Terapia Intensiva
Data la gravità, la paziente viene immediatamente isolata e ricoverata in Terapia Intensiva (ICU). Iniziamo subito un protocollo di gestione aggressivo:
- Aciclovir endovena (10 mg/kg ogni 8 ore).
- Idratazione endovenosa per supportare la funzione renale e l’equilibrio idrico.
- Monitoraggio strettissimo dei parametri vitali.
- Monitoraggio continuo della funzionalità epatica (due volte al giorno), della coagulazione (giornaliero), della funzione renale e degli elettroliti (giornaliero).
Non abbiamo somministrato N-acetilcisteina (NAC), l’antidoto per l’intossicazione da paracetamolo, perché la causa primaria era chiaramente virale (VZV) e la dose di paracetamolo assunta era troppo bassa per giustificare un danno epatico così esteso.
Nonostante tutte le cure di supporto, la situazione precipita. Circa 48 ore dopo il ricovero, la paziente inizia a mostrare segni di alterazione dello stato mentale, progredendo rapidamente verso la confusione. È l’encefalopatia epatica, un segno che il fegato non riesce più a depurare il sangue dalle tossine. La coagulazione peggiora drasticamente (PT, INR, aPTT alle stelle). E come se non bastasse, anche i reni iniziano a cedere: i livelli di creatinina e urea nel sangue salgono, segnalando un’insufficienza renale acuta (probabilmente sindrome epatorenale o danno renale diretto dal virus). La paziente diventa oligurica (produce poca urina).
Si delinea il quadro drammatico dell’insufficienza multiorgano: fegato, coagulazione, cervello, reni… tutti compromessi.
Un Tentativo Disperato e l’Esito Infausto
Mettiamo insieme un team multidisciplinare: epatologi, infettivologi, intensivisti, ematologi, chirurghi dei trapianti. Le opzioni sono poche di fronte a un’insufficienza epatica fulminante. Tentiamo una terapia con immunoglobuline endovena (IVIG), un intervento immunomodulante che a volte si usa in infezioni virali gravi. Dopo la somministrazione, osserviamo un miglioramento transitorio dei test di funzionalità epatica (AST e ALT scendono). Ma è un fuoco di paglia: clinicamente, la paziente continua a peggiorare. Probabilmente, il fegato aveva ormai esaurito la sua capacità funzionale residua.
Per la coagulopatia grave, l’ematologo consiglia la somministrazione di crioprecipitato per ridurre il rischio di emorragie. Vista la progressione inarrestabile, viene attivata la procedura d’urgenza per valutare l’idoneità al trapianto di fegato. La paziente viene inserita nella lista urgente. È l’unica speranza rimasta.
Purtroppo, la corsa contro il tempo è stata persa. Prima che si potesse trovare un fegato compatibile, la paziente è deceduta a causa delle complicanze dell’insufficienza epatica fulminante e del cedimento multiorgano.
Cosa Ci Insegna Questo Caso?
Questa storia tragica è un potente promemoria di diversi punti cruciali:
- La varicella negli adulti può essere molto più grave che nei bambini e portare a complicanze rare ma potenzialmente letali come l’epatite.
- La presenza di condizioni preesistenti, come il deficit di G6PD, può aumentare drasticamente il rischio di complicanze gravi. Il deficit di G6PD, alterando la risposta allo stress ossidativo e all’infiammazione, può peggiorare il danno d’organo, specialmente al fegato.
- È fondamentale un riconoscimento precoce dei segni di coinvolgimento d’organo (come l’ittero o il dolore addominale in caso di varicella) e una gestione aggressiva fin da subito.
- Bisogna fare attenzione all’uso di farmaci concomitanti, anche quelli da banco o integratori erboristici, durante un’infezione virale acuta, specialmente in pazienti con fattori di rischio. Anche se in questo caso il paracetamolo a basso dosaggio è stato ritenuto improbabile come causa principale, la cautela è d’obbligo.
- La mancanza di miglioramento clinico con la terapia antivirale standard e il peggioramento dei parametri di laboratorio (enzimi epatici, coagulazione) devono essere considerati segnali d’allarme precoci per un decorso potenzialmente fulminante.
Questo caso, seppur raro, ci spinge a mantenere alta la guardia e a non sottovalutare mai un’infezione, anche quella che sembra più banale, soprattutto negli adulti e in presenza di particolari vulnerabilità. Una lezione amara, ma preziosa.
Fonte: Springer