Visualizzazione artistica fotorealistica di particelle virali SARS-CoV-2 stilizzate, di diverse varianti (indicate da colori leggermente diversi), che fluttuano nell'aria all'interno di un ambiente chiuso stilizzato, effetto profondità di campo, illuminazione soffusa, lente 35mm.

Virus Volanti: Come le Varianti SARS-CoV-2 Restano Maestre della Trasmissione Aerea con Trucchi Diversi

Ciao a tutti! Sono qui per raccontarvi qualcosa di affascinante (e un po’ inquietante, lo ammetto) sul nostro “vecchio amico”, il SARS-CoV-2. Ricordate come all’inizio della pandemia ci sembrava che ogni giorno spuntasse una nuova variante, ognuna con le sue caratteristiche? Bene, una delle domande che ci siamo posti noi ricercatori è stata: come fa questo virus a rimanere così bravo a diffondersi per via aerea, nonostante i nostri sforzi e i vaccini? Sembra che abbia sviluppato delle strategie davvero astute.

Il Criceto: Il Nostro Modello d’Indagine

Per capirci qualcosa, abbiamo usato un modello animale che si è rivelato preziosissimo: il criceto siriano. Perché proprio lui? Perché i criceti si infettano facilmente con il SARS-CoV-2, mostrano sintomi simili a quelli umani e, soprattutto, sono ottimi per studiare come il virus passa da un individuo all’altro, specialmente attraverso l’aria. Abbiamo messo su degli esperimenti ad hoc, usando delle gabbie speciali che permettono il passaggio dell’aria ma non il contatto diretto, per simulare proprio la trasmissione aerea.

Le Vecchie Glorie: Alpha e Delta Sotto la Lente

Abbiamo iniziato confrontando alcune delle varianti che hanno dominato le prime ondate, come la cosiddetta “prima ondata” (quella con la mutazione D614G, ricordate?), la variante Alpha e la temibile Delta. Tutte e tre si sono dimostrate campionesse nella trasmissione aerea tra i nostri criceti. Ma qui viene il bello: non lo facevano tutte allo stesso modo!

Abbiamo scoperto che Alpha, pur essendo efficientissima nel contagiare, in realtà emetteva meno particelle virali infettive nell’aria rispetto al virus della prima ondata. Come faceva allora a diffondersi così bene? Semplice (si fa per dire): compensava con una “dose infettiva” (la quantità minima di virus necessaria per iniziare un’infezione, che chiamiamo ID50) molto più bassa. In pratica, bastava una quantità minuscola di virus Alpha per far ammalare un altro criceto.

Delta, invece, seguiva una strategia opposta. I criceti infettati con Delta “soffiavano” fuori molte più particelle virali infettive, ma per contagiare un nuovo ospite era necessaria una dose iniziale più alta (ID50 maggiore). Era come se Alpha fosse un cecchino (pochi colpi, ma precisi) e Delta usasse un approccio più “massiccio” (tanti colpi, sperando che qualcuno andasse a segno).

Macro fotografia ad alta definizione di particelle virali SARS-CoV-2 stilizzate, fluttuanti su uno sfondo scuro sfocato, illuminazione controllata per evidenziare la struttura, lente macro 90mm, profondità di campo ridotta.

Per misurare quanto virus veniva effettivamente emesso nell’aria, abbiamo usato uno strumento speciale che abbiamo chiamato IVT (Infectious Virus Transmission Tunnel). Immaginate un piccolo tunnel dove mettiamo il criceto infetto e, a diverse distanze, delle piastre con cellule sensibili al virus. L’aria viene aspirata dal tunnel verso le piastre, e se ci sono virus infettivi nell’aria espirata dal criceto, questi infetteranno le cellule formando delle “placche” visibili. Questo ci ha permesso di quantificare il virus “volante”.

Il Tempismo è Tutto: La Contagiosità di Delta

Un’altra cosa interessante che abbiamo notato con Delta è stata la durata della sua contagiosità. Abbiamo esposto criceti sani a criceti infettati con Delta in giorni diversi dopo l’infezione iniziale (giorno 1, giorno 2, giorno 5). Risultato? La trasmissione aerea funzionava alla grande il primo giorno, un po’ meno il secondo (solo metà dei criceti esposti si è infettata) e per niente il quinto giorno.

Questo calo della contagiosità nel tempo corrispondeva perfettamente a due cose:

  • Una diminuzione del virus infettivo rilevato nell’aria con il nostro IVT.
  • Un aumento del rapporto tra RNA virale (il materiale genetico del virus) e virus infettivo nei lavaggi nasali dei criceti donatori. Questo suggerisce che, col passare dei giorni, o il virus diventava meno “bravo” a infettare, oppure c’era molto RNA virale “morto” in giro, proveniente da cellule distrutte dall’infezione.

Morale della favola: misurare solo l’RNA virale nel naso (come si fa spesso con i tamponi) può sovrastimare per quanto tempo una persona (o un criceto!) è davvero contagiosa per via aerea. L’emissione di virus infettivo nell’aria è un indicatore molto più affidabile.

Arriva Omicron: Nuove Varianti, Nuove Strategie?

Poi è arrivata la famiglia Omicron, con tutte le sue sotto-varianti (BA.1, EG.5.1, BA.2.86, JN.1…). Cosa abbiamo scoperto qui? Un quadro ancora più variegato!

  • BA.1: Si trasmetteva poco tra i criceti per via aerea, nonostante i criceti infetti ne avessero nel naso e ne emettessero un po’ nell’aria (misurato con l’IVT).
  • EG.5.1: Molto più efficiente! Si trasmetteva al 100% dei criceti esposti, e questo corrispondeva a una buona emissione di virus infettivo nell’aria, soprattutto al secondo giorno.
  • BA.2.86: Trasmissione scarsa, e infatti quasi nessun virus veniva rilevato nell’aria con l’IVT.
  • JN.1: Addirittura peggio, nessuna trasmissione aerea rilevata e nessun virus “volante” misurato. JN.1 faticava a trasmettersi persino per contatto diretto!

Questi risultati suggeriscono che, anche all’interno della famiglia Omicron, la capacità di trasmissione aerea varia molto e sembra legata, almeno in parte, a quanto virus infettivo viene effettivamente aerosolizzato.

Fotografia di un ricercatore in camice bianco che osserva attentamente una piastra di Petri con colture cellulari sotto una cappa di sicurezza biologica, luce da laboratorio, 35mm, profondità di campo che sfoca lo sfondo del laboratorio.

Non è Tutta Colpa della Spike: Il Ruolo degli Altri Geni

Sappiamo tutti che la proteina Spike è la “chiave” che il virus usa per entrare nelle nostre cellule e che muta spesso per sfuggire al nostro sistema immunitario. Ma è l’unica responsabile della trasmissibilità? Per scoprirlo, abbiamo fatto un po’ di “ingegneria genetica virale”. Abbiamo creato dei virus ricombinanti: abbiamo preso il “corpo” (i geni non-Spike) del virus originale di Wuhan e ci abbiamo attaccato la proteina Spike di BA.1 o di JN.1.

Cosa è successo? Sorpresa!
Il virus ricombinante con la Spike di BA.1 (RgWuh-BA.1) si replicava meglio nei criceti rispetto al BA.1 “originale”, emetteva più virus nell’aria (soprattutto al secondo giorno) e, cosa più importante, si trasmetteva per via aerea al 100% dei criceti esposti (contro il misero 33% del BA.1 originale)!
Anche il virus ricombinante con la Spike di JN.1 (RgWuh-JN.1), pur non replicandosi di più nel naso rispetto al JN.1 originale, mostrava un’emissione aerea di virus infettivo nettamente superiore (mentre JN.1 non ne emetteva affatto) e si trasmetteva efficacemente per contatto diretto (non abbiamo testato quella aerea, ma i segnali erano promettenti).

Questo ci dice una cosa fondamentale: i geni al di fuori della Spike giocano un ruolo cruciale nel determinare quanto bene il virus si replica, quanto viene aerosolizzato e, di conseguenza, quanto è bravo a trasmettersi per via aerea, almeno nel nostro modello animale. Probabilmente influenzano la capacità del virus di contrastare le nostre difese immunitarie innate.

Fotografia grandangolare di un moderno laboratorio di virologia con attrezzature scientifiche, microscopi e ricercatori che lavorano in background, luce intensa e pulita, 24mm, messa a fuoco nitida su tutto l'ambiente.

Cosa Ci Portiamo a Casa?

Questo viaggio nel mondo della trasmissione aerea del SARS-CoV-2 ci ha mostrato che non c’è una sola strategia vincente. Le diverse varianti hanno affinato tattiche differenti per raggiungere lo stesso scopo: continuare a circolare tra noi.

  • Alcune puntano sulla super-infettività (bassa ID50) anche se emettono meno virus (come Alpha).
  • Altre sull’emissione massiccia di virus, anche se serve una dose maggiore per infettare (come Delta).
  • Altre ancora sembrano aver perso un po’ di smalto nella trasmissione aerea (come alcune Omicron nei criceti), forse a causa di mutazioni in geni non-Spike che ne attenuano la replicazione o l’aerosolizzazione in questo modello.

Abbiamo anche visto che strumenti come il nostro IVT, che misurano direttamente il virus infettivo nell’aria, e la determinazione della dose infettiva minima (ID50) possono essere molto utili per valutare il rischio di trasmissibilità delle nuove varianti che emergeranno. E non dimentichiamo l’importanza dei geni non-Spike!

Certo, i criceti non sono esseri umani con un sistema immunitario complesso e storie diverse di infezioni e vaccinazioni. Ma questi studi ci aiutano a capire i meccanismi fondamentali che permettono a questo virus di rimanere un passo avanti. Comprendere queste strategie è essenziale per sviluppare contromisure sempre più efficaci.

Fonte: Springer

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