Primo piano macro di un occhio umano con iride blu durante un esame oftalmologico, con una luce diagnostica che illumina la pupilla e la cornea. L'immagine è ad alta definizione, con messa a fuoco precisa sull'occhio, illuminazione controllata, obiettivo macro 100mm, evocando la cura e la tecnologia nel trattamento del glaucoma.

Glaucoma Ribelle? La Valvola di Ahmed Cambia Angolo (e Funziona!) con una Tecnica Innovativa

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di una sfida che noi medici affrontiamo spesso: il glaucoma refrattario. Immaginate una pressione dell’occhio che proprio non ne vuole sapere di scendere, nonostante le cure mediche massime e magari anche un intervento chirurgico precedente fallito. È una situazione frustrante, perché il nervo ottico continua a soffrire e il campo visivo a restringersi. Che fare, allora?

Beh, le opzioni chirurgiche principali restano la trabeculectomia e l’impianto di dispositivi di drenaggio del glaucoma (GDD), come la famosa Valvola di Ahmed. Entrambe le procedure funzionano bene a lungo termine, ma ahimè, il nemico numero uno è sempre dietro l’angolo: la fibrosi, quella cicatrizzazione eccessiva che può bloccare tutto.

Quando la strada principale è bloccata: l’alternativa inferonasale

Normalmente, la Valvola di Ahmed si impianta nel quadrante in alto e verso la tempia (superotemporale, o ST). Ma cosa succede se quella zona è già “rovinata” da cicatrici di interventi precedenti, o magari assottigliata dall’uso di farmaci? O se c’è olio di silicone che occupa spazio? Bisogna trovare un’altra “uscita di sicurezza”.

Si potrebbe pensare al quadrante in alto e verso il naso (superonasale), ma lì c’è il muscolo obliquo superiore, e piazzarci un impianto aumenta il rischio di vedere doppio (diplopia). E il quadrante in basso e verso la tempia (inferotemporale)? Non è ideale: può creare una bolla filtrante antiestetica che deforma la palpebra inferiore e, di nuovo, c’è un muscolo (l’obliquo inferiore) che può causare diplopia.

Ecco che entra in gioco il quadrante inferonasale (IN), in basso e verso il naso. Sembra essere il candidato migliore come “piano B”. Ma funziona davvero? E come si comporta rispetto all’impianto standard nel quadrante ST? Soprattutto, è sicuro?

Lo studio: mettiamo alla prova l’impianto IN con una marcia in più

Proprio per rispondere a queste domande, abbiamo condotto uno studio retrospettivo su 69 pazienti con glaucoma refrattario. Li abbiamo divisi in due gruppi:

  • Gruppo IN-AVI (35 pazienti): Avevano già subito un intervento fallito (trabeculectomia o impianto ST-AVI) e hanno ricevuto un impianto di Valvola di Ahmed nel quadrante IN. Per questi pazienti, abbiamo usato una tecnica particolare: il doppio tunnel sclerale.
  • Gruppo ST-AVI (34 pazienti): Era il gruppo di controllo, con pazienti che ricevevano il loro *primo* impianto di Valvola di Ahmed, nel quadrante standard ST.

L’obiettivo primario era vedere il tasso di successo chirurgico e quanto scendeva la pressione intraoculare (PIO) nel gruppo IN-AVI dopo un anno. L’obiettivo secondario era confrontare la riduzione della PIO tra i due gruppi. Tutti i pazienti sono stati seguiti per un anno, misurando la PIO, il numero di farmaci anti-glaucoma necessari e registrando eventuali complicazioni.

Macro fotografia di un occhio umano durante un esame oftalmologico, messa a fuoco precisa sulla cornea e sull'iride, illuminazione controllata da studio, obiettivo macro 90mm, alta definizione. L'immagine simboleggia la diagnosi e il monitoraggio del glaucoma.

La tecnica del doppio tunnel sclerale: un’arma contro l’esposizione?

Prima di passare ai risultati, due parole su questa tecnica del “doppio tunnel sclerale”. In pratica, invece di far passare il tubicino della valvola direttamente sotto la congiuntiva, creiamo due piccoli tunnel collegati nella sclera (la parte bianca dell’occhio) a circa 4 e 8 mm dal bordo della cornea. Il tubicino viene inserito quasi completamente all’interno di questo tunnel più lungo. L’idea è che, proteggendo meglio il tubo, si riduca il rischio che venga “esposto” all’esterno, una complicanza temuta soprattutto negli impianti inferiori a causa del movimento della palpebra. Durante l’intervento, abbiamo usato anche la mitomicina C (MMC) per cercare di limitare la fibrosi.

I risultati: cosa abbiamo scoperto?

Ebbene, i risultati sono stati davvero interessanti!
Nel gruppo IN-AVI (quelli con intervento precedente fallito e impianto nel quadrante IN):

  • La riduzione della PIO a 1 anno è stata statisticamente significativa (p < 0.001). Insomma, l'impianto ha funzionato!
  • Anche il numero di farmaci anti-glaucoma necessari è diminuito significativamente (p < 0.001).
  • Il tasso di successo complessivo (PIO < 18 mmHg con o senza farmaci) è stato dell'88.6%. Niente male!

Ma la parte più succosa arriva dai confronti:

  • IN-AVI dopo trabeculectomia fallita vs. ST-AVI primario: Qui la bella notizia! Non abbiamo trovato differenze significative nella riduzione della PIO (p > 0.05). Questo suggerisce che se il tuo primo intervento fallito era una trabeculectomia, fare un impianto IN-AVI è efficace quanto fare un primo impianto ST-AVI “standard”. Il fallimento precedente della trabeculectomia non sembra peggiorare l’esito della valvola.
  • IN-AVI dopo ST-AVI fallito vs. ST-AVI primario: Qui le cose cambiano. L’impianto IN-AVI fatto *dopo* un precedente impianto ST-AVI fallito ha mostrato una riduzione della PIO significativamente inferiore rispetto all’impianto ST-AVI primario (p = 0.003).

Questo ci dice una cosa importante: un *secondo* impianto di Valvola di Ahmed sembra essere meno efficace del primo. Probabilmente l’occhio ha già sviluppato una risposta immunitaria o fibrotica all’impianto precedente, rendendo più difficile il funzionamento del secondo.

Visualizzazione chirurgica dettagliata dell'impianto di una valvola di Ahmed nell'occhio, con focus sul piccolo tubo inserito nella camera anteriore attraverso un tunnel sclerale, tecnica macro, illuminazione chirurgica brillante, obiettivo 100mm macro, dettagli nitidi. Rappresenta la procedura chirurgica discussa.

E la sicurezza? Il tunnel sclerale fa la differenza?

Una delle preoccupazioni maggiori per gli impianti nel quadrante inferiore è il rischio di esposizione del tubo o infezioni. Qui arriva un’altra buona notizia: grazie alla tecnica del doppio tunnel sclerale, non abbiamo osservato NESSUN caso di esposizione del tubo nel gruppo IN-AVI durante l’anno di follow-up!

Le complicanze generali sono state simili tra i due gruppi (IN-AVI e ST-AVI). La più comune nel gruppo IN-AVI è stata una camera anteriore bassa subito dopo l’intervento, ma si è risolta spontaneamente in poche settimane. Non ci sono state complicanze gravi come endoftalmite, scompenso corneale, diplopia o migrazione della placca. Questo suggerisce che l’impianto IN-AVI, se fatto con questa tecnica, è sicuro quanto l’impianto standard ST-AVI.

Certo, creare il tunnel sclerale nel quadrante IN è un po’ più macchinoso chirurgicamente rispetto ad altri quadranti, ma i risultati in termini di sicurezza sembrano ripagare lo sforzo.

Grafico medico astratto che mostra la riduzione della pressione intraoculare (linea discendente) nel tempo dopo un intervento chirurgico per il glaucoma, linee colorate su sfondo blu scuro, alta definizione, concetto di successo terapeutico e controllo della PIO.

Cosa portiamo a casa da questo studio?

Questo studio, che per quanto ne so è il primo con un numero così ampio di pazienti ad analizzare specificamente l’impianto IN-AVI con tecnica a tunnel sclerale dopo un intervento fallito, ci dà informazioni preziose:

1. L’impianto di Valvola di Ahmed nel quadrante inferonasale (IN) è un’opzione efficace e sicura per il glaucoma refrattario quando il quadrante superotemporale non è utilizzabile, specialmente se l’intervento precedente fallito era una trabeculectomia.
2. La tecnica del doppio tunnel sclerale sembra proteggere efficacemente dall’esposizione del tubo, uno dei rischi principali degli impianti inferiori.
3. Se invece l’intervento precedente fallito era già un impianto di Valvola di Ahmed (ST-AVI), un secondo impianto (IN-AVI) funziona ancora nel ridurre la PIO, ma è meno efficace del primo. In questi casi, se si necessita di una PIO molto bassa, forse è meglio considerare altre opzioni come impianti senza valvola o chirurgia ciclodistruttiva.
4. Il tipo di intervento fallito in precedenza sembra influenzare il successo del secondo intervento più del quadrante scelto per il nuovo impianto.

Insomma, per chi lotta contro un glaucoma difficile, sapere che esiste un’opzione efficace e sicura anche quando la strada principale è sbarrata, e che una tecnica specifica come il doppio tunnel sclerale può aumentarne la sicurezza, è sicuramente una speranza in più!

Fonte: Springer

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