Cartelle Cliniche Elettroniche: Spiano i Nostri Specializzandi in Anestesia (Ma è per il Loro Bene!)
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che sta cambiando il modo in cui “guardiamo” crescere i nostri futuri anestesisti. Sapete, la formazione di uno specialista è un percorso lungo e complesso, e capire se sta davvero imparando, se sta diventando competente, non è affatto semplice. Tradizionalmente, ci siamo affidati all’osservazione diretta in sala operatoria, agli esami scritti e orali. Metodi validi, certo, ma che spesso offrono solo un’istantanea, un momento isolato. Ma se ci fosse un modo per avere una visione più continua, più oggettiva, quasi come una “telecamera” sempre accesa sulla loro pratica quotidiana?
La Sfida della Valutazione: Oltre l’Istantanea
Pensateci: valutare un medico in formazione non significa solo testare le sue conoscenze teoriche o vedere come se la cava in una simulazione. Significa capire come applica quelle conoscenze ogni giorno, con pazienti reali, sotto pressione. Come gestisce le situazioni critiche? Come previene le complicanze? L’osservazione diretta è fondamentale, ma può essere soggettiva e dipende da chi osserva e quando. Gli esami misurano la conoscenza, ma non sempre predicono la performance clinica reale. Avevamo bisogno di qualcosa di più.
E qui entrano in gioco le cartelle cliniche elettroniche (EHR – Electronic Health Records). Ormai onnipresenti negli ospedali moderni, questi sistemi non sono solo archivi digitali, ma miniere d’oro di dati. Registrano in tempo reale parametri vitali, farmaci somministrati, decisioni prese… tutto ciò che accade durante un’anestesia. E se potessimo usare questi dati per “misurare” la performance dei nostri specializzandi?
L’Idea: Usare i Dati per Capire la Competenza
Questa è stata l’idea alla base di uno studio affascinante condotto all’Ospedale Universitario di Vienna. Ci siamo chiesti: le metriche di performance derivate dalle cartelle cliniche elettroniche possono riflettere i progressi degli specializzandi in anestesia? Possono dirci qualcosa sulla loro preparazione, magari in relazione anche a esami importanti come l’Esame Europeo di Anestesiologia (EDAIC)?
Abbiamo quindi reclutato 46 medici che si sono formati o si stavano formando lì tra il 2013 e il 2021. Abbiamo analizzato le cartelle cliniche di ben 28.350 casi gestiti da loro durante il periodo di studio. Un lavoro immenso, ma necessario per avere dati solidi.
Abbiamo definito sei “indicatori di performance” chiave, basati su dati raccolti di routine:
- Prevenzione dell’ipotensione intraoperatoria (pressione troppo bassa durante l’intervento)
- Prevenzione dell’ipotermia (temperatura corporea troppo bassa)
- Controllo della glicemia
- Prevenzione adeguata di nausea e vomito postoperatori (PONV)
- Uso della ventilazione protettiva polmonare (tecnica per non danneggiare i polmoni durante la ventilazione meccanica)
- Prevenzione del danno renale acuto (AKI) postoperatorio
L’obiettivo era vedere se questi indicatori miglioravano con l’aumentare dell’esperienza dello specializzando (misurata in tempo trascorso dall’inizio della specializzazione) e se c’era una correlazione con il superamento dell’esame scritto EDAIC. Ovviamente, abbiamo tenuto conto di fattori confondenti come le condizioni del paziente e la complessità dell’intervento chirurgico.

Cosa Abbiamo Scoperto? L’Esperienza Conta (Ma Non Sempre Come Ci Aspettiamo!)
I risultati sono stati davvero interessanti e, per certi versi, sorprendenti. Abbiamo trovato un’associazione statisticamente significativa tra il livello di formazione e la maggior parte delle nostre metriche di performance.
La buona notizia? Con l’aumentare dell’esperienza:
- La probabilità di prevenire l’ipotensione intraoperatoria aumentava (OR 1.16). Più esperti diventavano, più bravi erano a mantenere stabile la pressione del paziente.
- Anche la capacità di prevenire l’ipotermia migliorava (OR 1.08).
- Erano più propensi a somministrare la profilassi corretta per nausea e vomito postoperatori (OR 1.21).
Questi risultati suggeriscono che l’esperienza pratica affina effettivamente alcune competenze cruciali nel gestire l’anestesia e prevenire complicanze comuni.
Tuttavia, non tutto andava nella direzione attesa. Con l’aumentare dell’esperienza:
- Le probabilità di prevenire il danno renale acuto (AKI) diminuivano (OR 0.91).
- Diminuiva anche l’uso della ventilazione protettiva polmonare (OR 0.94).
Come interpretare questi dati apparentemente controintuitivi? Una possibile spiegazione è che gli specializzandi più esperti vengano assegnati a casi chirurgici più complessi e a pazienti più critici. Anche se abbiamo cercato di aggiustare i dati per questi fattori, è possibile che il modello non abbia catturato completamente la complessità del “case mix”. Potrebbe essere che, affrontando sfide maggiori, il rischio di AKI aumenti intrinsecamente, o che in certe situazioni complesse la ventilazione strettamente “protettiva” secondo i criteri definiti sia più difficile da mantenere. Il controllo glicemico, invece, non sembrava correlato né all’esperienza né all’esame.
E l’Esame Scritto? Un Effetto Modesto
Un altro aspetto interessante riguardava l’esame scritto EDAIC. Tutti i partecipanti allo studio che hanno sostenuto l’esame lo hanno superato, quindi non abbiamo potuto fare un confronto diretto tra promossi e bocciati (questo è un limite, lo ammetto). Tuttavia, abbiamo analizzato se il fatto di aver superato l’esame (cioè confrontando i casi gestiti prima e dopo l’esame) avesse un impatto.
Qui l’effetto è stato più modesto. Aver superato l’esame era associato a:
- Maggiori probabilità di utilizzare la ventilazione protettiva polmonare (OR 1.42). Forse la preparazione per l’esame rafforza questa conoscenza teorica?
- Minori probabilità di prevenire l’ipotensione intraoperatoria (OR 0.70). Questo è curioso e in contrasto con l’effetto dell’esperienza generale. Forse dopo l’esame c’è un focus diverso? O è un artefatto statistico? Difficile dirlo con certezza.
In generale, sembra che l’esperienza accumulata sul campo abbia un impatto più ampio e significativo sulla performance misurata dai dati rispetto al solo superamento dell’esame scritto.

Luci e Ombre: Potenzialità e Limiti di Questo Approccio
Questo studio, pur con i suoi limiti (è retrospettivo, condotto in un solo centro, con dati mancanti soprattutto per l’AKI, e con possibili fattori confondenti non del tutto controllati), apre una porta affascinante. Suggerisce che i dati che raccogliamo ogni giorno nelle cartelle cliniche elettroniche potrebbero diventare uno strumento complementare per valutare la crescita dei nostri specializzandi.
Immaginate un sistema che, in modo automatico e oggettivo, fornisce feedback continui basati sulla performance reale. Non un giudizio estemporaneo, ma un’analisi basata su migliaia di dati. Potrebbe aiutare a identificare precocemente aree di miglioramento, a personalizzare la formazione, a tracciare i progressi verso la competenza in modo più trasparente. Questo si allinea perfettamente con il passaggio da una formazione basata sul tempo a una basata sulle competenze effettivamente acquisite.
Certo, non è la panacea. Questi indicatori da soli non possono catturare la complessità dell’essere un buon medico, che include comunicazione, empatia, ragionamento clinico, etica… aspetti che richiedono ancora l’osservazione umana e il feedback diretto. Inoltre, c’è il rischio di “insegnare per il test”, cioè che gli specializzandi si concentrino solo sul migliorare le metriche misurate, trascurando altri aspetti. E poi c’è la questione della qualità dei dati: se i dati inseriti non sono accurati, l’analisi che ne deriva sarà falsata.
Bisogna anche considerare l’atteggiamento di formatori e specializzandi verso questo tipo di valutazione “data-driven”. La relativa difficoltà nel reclutare partecipanti per questo studio potrebbe indicare una certa riluttanza verso un monitoraggio così dettagliato. È fondamentale che questi strumenti siano visti come un aiuto alla crescita, non come un “Grande Fratello” che giudica.
Verso il Futuro della Formazione Medica
In conclusione, cosa ci portiamo a casa? Che i dati delle cartelle cliniche elettroniche hanno un legame con l’esperienza e la performance degli specializzandi in anestesia. Non sono perfetti, non raccontano tutta la storia, ma offrono una prospettiva nuova e potenzialmente molto utile.
La strada è ancora lunga. Servono ulteriori ricerche per validare questi metodi, confrontarli con le valutazioni tradizionali, definire meglio gli indicatori e capire come implementarli in modo efficace ed etico. Dobbiamo anche studiare come medici e specializzandi percepiscono questi strumenti e come possiamo usarli al meglio per migliorare davvero la formazione e, in ultima analisi, la cura dei pazienti.
L’era digitale sta trasformando la medicina, e la formazione medica non può restare indietro. Sfruttare la potenza dei dati che già raccogliamo potrebbe essere una delle chiavi per formare medici ancora più competenti e sicuri nel futuro. È una sfida complessa, ma estremamente stimolante!

Fonte: Springer
