Dolore e Paralisi Cerebrale: Finalmente Strumenti di Valutazione Comprensibili per Bambini e Ragazzi!
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che riguarda tanti bambini e giovani: il dolore cronico associato alla paralisi cerebrale (PC). Sapete, chi vive con la PC sperimenta tassi di dolore cronico più alti rispetto ad altre popolazioni pediatriche, si parla addirittura di una prevalenza fino al 76%! È un numero enorme, non trovate?
Il problema è che spesso ci si concentra solo sull’intensità del dolore, ma questa è solo una piccola parte della storia. Il dolore andrebbe visto in un’ottica molto più ampia, quella che noi chiamiamo biopsicosociale, che considera come il dolore influenzi la vita di una persona a 360 gradi. Qui, però, sorge una bella sfida: molti degli strumenti che usiamo per valutare il dolore non sono validati specificamente per la PC, oppure non si adattano bene alla vasta gamma di abilità motorie, comunicative e cognitive che caratterizzano questa condizione.
Pensateci: rispondere a un questionario richiede attenzione, memoria, capacità di giudizio. Bisogna capire la domanda, collegarla alla propria esperienza, comprendere la scala di risposta e scegliere quella giusta. Per un bambino o un ragazzo con PC, magari con difficoltà cognitive o che usa sistemi di Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA), tutto questo può essere ancora più complicato. Ma nonostante queste sfide, è fondamentale fare ogni sforzo per permettere a queste persone di raccontare in prima persona il loro dolore. È un loro diritto!
Perché è così cruciale migliorare la valutazione?
Migliorare il modo in cui valutiamo il dolore, andando oltre la semplice intensità, può davvero fare la differenza. Può aprire le porte a interventi oggi sottoutilizzati, ma che seguono le migliori pratiche per la gestione del dolore cronico. Questo significa gestire meglio il dolore stesso e, di conseguenza, migliorare la qualità della vita.
Il nostro team di ricerca ha identificato due strumenti promettenti:
- Il Modified Brief Pain Inventory (mBPI): una versione modificata del Brief Pain Inventory che valuta come il dolore interferisce con la vita quotidiana nei bambini e giovani con disturbi neuromuscolari.
- Il Fear of Pain Questionnaire for Children – Short Form (FOPQ-C-SF): che misura la paura legata al dolore e l’evitamento delle attività nei bambini.
Questi due aspetti – l’interferenza del dolore e la paura/evitamento – sono cruciali per capire l’impatto del dolore sulla qualità della vita. E sono spesso proprio gli obiettivi degli interventi sul dolore cronico. Ad esempio, riuscire a valutare meglio la paura legata al dolore potrebbe aiutarci a identificare chi, tra i giovani con PC, potrebbe beneficiare di interventi psicologici specifici. Questo li aiuterebbe a gestire meglio il dolore cronico e, alla fine, a partecipare di più alle attività che amano.
Abbiamo già lavorato per modificare questi strumenti, cercando di renderli più accessibili: abbiamo semplificato il linguaggio, usato metodi di somministrazione alternativi e aggiunto simboli visivi. Ma volevamo essere sicuri che fossero davvero comprensibili per la popolazione a cui sono destinati.

Come abbiamo affrontato questa sfida? Lo studio nel dettaglio
Così è nato il nostro studio, con l’obiettivo primario di testare la comprensibilità e la fattibilità di questi strumenti adattati su bambini e ragazzi con PC, tenendo conto della loro diversità in termini di abilità cognitive, comunicative e motorie. Volevamo anche capire se fossero necessari ulteriori aggiustamenti.
Le nostre domande guida erano:
- Gli strumenti adattati sono comprensibili per bambini e giovani con PC con diverse abilità?
- Sono fattibili da usare, anche per chi utilizza la CAA?
- Servono altre modifiche per migliorarli?
Abbiamo usato un approccio misto, combinando dati quantitativi (tempi di somministrazione, tassi di completamento, efficacia della comunicazione) e qualitativi (interviste cognitive modificate per capire le percezioni dei partecipanti). Abbiamo coinvolto 22 persone tra i 5 e i 30 anni con diagnosi di PC, reclutate cercando di avere la massima varietà possibile di età e abilità. Fondamentale è stato il supporto di un gruppo consultivo composto da giovani adulti con PC e un genitore, rappresentativo dello spettro di abilità presenti nella PC. Ci hanno guidato in ogni fase, dalla definizione delle domande alla revisione dei risultati.
Una delle raccomandazioni chiave del nostro lavoro precedente era considerare metodi di somministrazione alternativi. Abbiamo quindi collaborato con TalkingMats®, un sistema di comunicazione visiva basato sull’evidenza, per creare una versione alternativa di entrambi gli strumenti. Questo ha portato a due formati per ogni strumento: quello classico su carta e penna e quello con TalkingMats. Entrambi usavano gli stessi simboli visivi per le domande e le risposte, per garantire la confrontabilità.
Durante le interviste (a casa, in un centro o online), abbiamo usato anche l’Effectiveness Framework of Functional Communication (EFFC), uno strumento valido per valutare l’efficacia dell’interazione comunicativa. Abbiamo adattato le tecniche di intervista per ottimizzare la partecipazione di tutti, anche di chi aveva bisogni comunicativi o cognitivi specifici.
I risultati? Davvero incoraggianti!
Allora, cosa abbiamo scoperto? Innanzitutto, i tempi medi di compilazione sono stati piuttosto rapidi: 6.2 minuti per l’mBPI e 4.1 minuti per il FOPQ-C-SF. Certo, ci voleva un po’ più di tempo per chi usava la CAA o aveva difficoltà cognitive, e la versione TalkingMats richiedeva qualche minuto in più rispetto a quella cartacea.
Tutti i partecipanti hanno completato l’mBPI, mentre tre non hanno finito il FOPQ-C-SF (per stanchezza, comportamento oppositivo o su consiglio del genitore). Abbiamo notato alcuni item mancanti nell’mBPI (meno del 10% del totale), soprattutto tra chi aveva maggiori difficoltà comunicative e cognitive. I motivi? A volte era difficile distinguere l’impatto del dolore da quello della disabilità stessa (ad esempio, sulla mobilità o sulla cura personale), altre volte era difficile capire domande astratte o scegliere una sola “cosa preferita”. Una ragazza ha detto una cosa molto toccante: “Sono così abituata ad avere dolore… forse non riesco a dare le risposte migliori”.

Dal punto di vista della comprensibilità, la maggior parte dei partecipanti (circa tre quarti) ha dimostrato una comunicazione efficace secondo i punteggi EFFC. Questo significa che, in generale, capivano le domande e riuscivano a comunicare le loro risposte. L’inclusione di esempi standardizzati e simboli visivi sembra aver aiutato molto. Anche le domande più astratte, come “il dolore mi fa pensare che succederà qualcosa di brutto” (nel FOPQ-C-SF), sono state comprese.
Certo, ci sono state delle sfide. Alcuni giovani con deficit cognitivo tendevano a interpretare i simboli visivi in modo letterale all’inizio (es. vedendo l’immagine di lavarsi i denti per “prendersi cura di sé”, rispondevano “io mi lavo i denti”). In questi casi, fornire esempi aggiuntivi è stato utile. Per i cinque ragazzi che non hanno raggiunto la soglia di “efficacia” comunicativa, abbiamo notato sia una minore comprensione che un minore coinvolgimento. Ma attenzione: anche in questi casi, l’assessment ha fornito informazioni preziose direttamente dal giovane, che altrimenti sarebbero rimaste sconosciute. Questo sottolinea l’importanza di dare sempre la priorità all’autovalutazione! Se poi ci sono dubbi sull’accuratezza, un genitore può fornire un report aggiuntivo (proxy), ma non dovrebbe mai essere l’opzione di default.
E la fattibilità? Come se la sono cavata?
La versione cartacea è stata preferita dai ragazzi più grandi e senza deficit cognitivi, ma tutti sono riusciti a usare anche la versione TalkingMats. Quest’ultima (TalkingMats) è risultata la preferita dai bambini più piccoli, da chi usa la CAA e da chi ha deficit cognitivi. È emersa anche la necessità di flessibilità: un ragazzo con disabilità visiva, ad esempio, aveva bisogno di simboli ad alto contrasto.
Un punto importante riguarda il tempo: per chi usa la CAA, permettere un tempo adeguato per rispondere è fondamentale. Un partecipante ha impiegato fino a 24 minuti per l’mBPI, perché aveva bisogno di più tempo per processare ogni item e di pause per la fatica. Questo ci dice che i clinici devono essere consapevoli di queste esigenze e magari far compilare il questionario durante la visita, per poter anche discutere insieme le risposte, o inviarlo prima.

Cosa abbiamo imparato e cosa succederà ora?
Questo studio ci ha mostrato che gli strumenti mBPI e FOPQ-C-SF adattati sono probabilmente comprensibili e fattibili per la maggior parte dei bambini e giovani con PC, inclusi quelli con diverse abilità cognitive e comunicative. Le modifiche come metodi alternativi (TalkingMats), simboli visivi e linguaggio semplificato hanno davvero aiutato a migliorare la partecipazione all’autovalutazione.
Abbiamo identificato dieci piccoli aggiustamenti da implementare (come cambiare un simbolo per la scala di risposta dell’mBPI o aggiungere esempi) prima di passare a test psicometrici più ampi. Poiché gli item mancanti erano pochi, non ne elimineremo nessuno.
Un aspetto interessante è che le modifiche fatte per migliorare l’accessibilità a chi ha bisogni specifici (come deficit cognitivi o uso di CAA) hanno reso gli strumenti più facili e veloci da usare per tutti! È il bello del design universale.
Certo, lo studio ha dei limiti. Non abbiamo incluso persone con deficit cognitivo grave, per le quali probabilmente servono strumenti osservazionali. Inoltre, la presenza dei genitori o il possibile affaticamento potrebbero aver influenzato le risposte, anche se abbiamo cercato di minimizzare questi effetti.
Il prossimo passo? Testare ulteriormente le proprietà psicometriche di questi strumenti adattati, prima di renderli disponibili gratuitamente per l’uso clinico e di ricerca. In futuro, si potrebbe pensare anche a una versione digitale.
In conclusione…
Credo davvero che questo lavoro sia un passo avanti importante. Dimostra che è possibile, e fondamentale, sviluppare strumenti di valutazione inclusivi che diano voce ai bambini e ai giovani con PC riguardo al loro dolore. Dare priorità all’autovalutazione, usare strumenti adatti e flessibili, può portare a una migliore identificazione dei bisogni, a interventi più mirati (come strategie di coping positive o supporto psicologico) e, in definitiva, a una migliore qualità della vita per questi ragazzi. E questo, per me, è l’obiettivo più importante.
Fonte: Springer
