Sindrome dell’Impostore Senza Frontiere? Abbiamo Testato l’IPP in Europa!
Ciao a tutti! Vi è mai capitato di sentirvi un po’… impostori? Quella fastidiosa sensazione di non meritare i propri successi, la paura costante di essere “scoperti” come un bluff, nonostante le prove evidenti delle vostre capacità? Se sì, non siete soli. Questo fenomeno ha un nome: Fenomeno dell’Impostore (IP). È uno stile di personalità un po’ disadattivo, caratterizzato da dubbi persistenti su di sé e dalla paura di essere smascherati, anche quando si raggiungono traguardi importanti. Pensate a figure come Sheryl Sandberg, ex COO di Facebook, che nel suo libro ha descritto proprio questa sensazione: sicura di fare figuracce in classe, convinta di fallire ogni esame, e credendo di aver “fregato” tutti ogni volta che invece eccelleva.
Questo sentirsi “impostori” non è solo un’ansia passeggera raccontata dalle celebrità. Ha implicazioni reali sulla nostra salute (può legarsi a depressione e ansia) e sulla nostra carriera (magari evitiamo promozioni per paura di non essere all’altezza). Capire meglio questo fenomeno potrebbe aiutarci a stare meglio e a perseguire i nostri obiettivi con più serenità.
Il Problema: Misurare l’Impostore Oltre i Confini
Il Fenomeno dell’Impostore non è considerato esclusivo del mondo occidentale, ma finora mancava una cosa fondamentale: la prova che gli strumenti usati per misurarlo funzionassero allo stesso modo in culture diverse. Senza questa validazione cross-culturale, rischiamo di interpretare male i risultati, generalizzare conclusioni in modo affrettato e limitare l’applicazione di eventuali strategie di supporto a livello internazionale. Immaginate un questionario: una domanda potrebbe essere interpretata in un modo a Londra e in un altro a Praga, invalidando i confronti.
Inoltre, c’è un dibattito aperto su quale sia lo strumento migliore per misurare l’IP. Il più usato è il CIPS (Clance Impostor Phenomenon Scale), ma alcuni studi suggeriscono che non catturi appieno la natura multidimensionale del fenomeno. L’IP, infatti, ha diverse sfaccettature:
- Il “ciclo dell’impostore” (procrastinare o lavorare eccessivamente).
- Il bisogno di essere speciali, i migliori.
- L’idea di dover essere dei “superman/superwoman” (il successo deve arrivare senza sforzo).
- La paura del fallimento.
- La tendenza a negare le proprie competenze e sminuire le lodi.
- La paura o il senso di colpa per il successo.
Per cogliere queste sfumature, è stato sviluppato un nuovo strumento: l’Impostor-Profile 30 (IPP). È un questionario multidimensionale che misura sia l’espressione generale dell’impostore sia le sue diverse componenti attraverso sotto-scale specifiche. Ma anche per l’IPP mancava la prova della sua validità cross-culturale e una standardizzazione (cioè dei valori di riferimento per interpretare i punteggi).
La Nostra Missione: L’IPP alla Prova dell’Europa
Ed è qui che entriamo in gioco noi! Il nostro obiettivo principale era proprio questo: verificare se l’IPP funziona allo stesso modo in diverse culture europee. Abbiamo esaminato la sua invarianza di misurazione (un termine tecnico per dire “funziona uguale?”) in sei paesi: Regno Unito, Germania, Cechia, Italia, Romania e Russia. Perché questi paesi? Per avere un bel mix! Abbiamo incluso rappresentanti delle famiglie linguistiche germanica (inglese, tedesco), slava (ceco, russo) e romanza (italiano, rumeno). Ma non solo: questi paesi differiscono anche culturalmente su dimensioni importanti come l’individualismo/collettivismo o l’orientamento alla performance, aspetti che potrebbero influenzare come si manifesta e si interpreta il sentirsi impostori.
Le nostre ipotesi erano:
- L’IPP mostra equivalenza strutturale, metrica e scalare tra le diverse versioni linguistiche.
- L’IPP mostra equivalenza strutturale, metrica e scalare tra generi (uomini e donne).
- L’IPP mostra equivalenza strutturale, metrica e scalare tra diverse fasce d’età.
Se avessimo trovato almeno un’equivalenza parziale (in particolare quella “scalare”), avremmo potuto fare un altro passo importante: standardizzare lo strumento, creando dei valori normativi per poter interpretare i punteggi in modo più oggettivo.
Come Abbiamo Fatto (In Breve)
Abbiamo raccolto dati online da un bel po’ di persone (N = 2472 dopo aver rimosso i dati anomali) nei sei paesi target. L’età media era di circa 31 anni, con una leggera prevalenza femminile (60%). I partecipanti provenivano da università, social media e reti professionali (per l’inglese abbiamo usato anche MTurk, una piattaforma online). Abbiamo usato versioni tradotte e ritradotte dell’IPP per assicurarci che le domande avessero lo stesso significato ovunque.
Poi, abbiamo usato analisi statistiche avanzate (analisi fattoriale confermativa multi-gruppo, o MG-CFA) per confrontare la struttura del questionario tra i vari gruppi (paesi, generi, età). Abbiamo verificato diversi livelli di invarianza:
- Configurale: la struttura generale dei fattori è la stessa?
- Metrica: le domande “pesano” allo stesso modo sui fattori sottostanti?
- Scalare: le domande hanno lo stesso “punto zero” (intercetta)? Questo è cruciale per confrontare i punteggi medi tra gruppi.
- Stretta: anche gli errori residui sono uguali? (Il livello più alto di invarianza).
Abbiamo anche verificato quale modello matematico si adattasse meglio ai dati dell’IPP, confermando (come studi precedenti) che il modello bifattoriale (che considera sia un fattore generale di “impostore” sia fattori specifici per le sotto-scale) era il migliore.
I Risultati: Cosa Abbiamo Scoperto?
Allora, cosa è emerso da questa analisi? I risultati sono stati… interessanti!
Invarianza tra Paesi: Abbiamo trovato supporto per l’invarianza configurale (la struttura di base è la stessa) e, dopo alcuni aggiustamenti tecnici (rilasciando alcuni vincoli su item simili), anche per l’invarianza metrica parziale. Tuttavia, quando abbiamo testato l’invarianza scalare (quella necessaria per confrontare i punteggi medi), le cose si sono complicate. Il modello non si adattava bene includendo tutti e sei i paesi. Ispezionando meglio, abbiamo notato che il campione italiano mostrava delle differenze significative rispetto agli altri, con un adattamento del modello inferiore e punteggi medi tendenzialmente più bassi. Escludendo l’Italia dall’analisi, abbiamo raggiunto l’invarianza scalare parziale tra gli altri cinque paesi (Regno Unito, Germania, Cechia, Romania, Russia). Questo significa che per questi cinque paesi, l’IPP misura il costrutto in modo sufficientemente simile da permettere confronti significativi e la derivazione di norme comuni. Perché l’Italia è risultata diversa? Non sembra dipendere da caratteristiche demografiche evidenti come età o istruzione; potrebbero esserci differenze culturali o linguistiche più sottili nell’interpretazione degli item, un aspetto che merita ulteriori indagini.
Invarianza tra Generi: Qui le notizie sono ottime! Abbiamo trovato un’invarianza stretta tra uomini e donne. Questo significa che l’IPP funziona esattamente allo stesso modo per entrambi i generi, confermando che non servono norme separate per maschi e femmine. Le differenze nell’espressione dell’IP tra generi, se ci sono, sembrano riguardare più le sfumature catturate dalle sotto-scale che il funzionamento generale dello strumento.
Invarianza tra Età: Abbiamo diviso il campione in quattro fasce d’età (18-30, 31-40, 41-50, >50). Abbiamo trovato invarianza configurale e metrica, il che significa che la struttura e il “peso” delle domande sono simili tra le età. Tuttavia, non abbiamo trovato invarianza scalare. Questo indica che, sebbene lo strumento misuri lo stesso costrutto, il livello medio di “impostore” o l’interpretazione di base di alcune domande potrebbe variare con l’età. Di conseguenza, è necessario usare norme specifiche per fascia d’età.
Le Norme: Dato che abbiamo raggiunto l’invarianza scalare parziale per 5 paesi e l’invarianza metrica per età (ma non scalare), e visto che i punteggi dell’IPP non seguivano una distribuzione normale “a campana”, abbiamo calcolato i ranghi percentili specifici per età. In pratica, abbiamo creato delle tabelle (disponibili nei materiali supplementari dello studio originale) che permettono di confrontare il punteggio di una persona con quello della popolazione di riferimento della sua stessa età (nei 5 paesi validati), capendo così se il suo livello di “sentirsi impostore” è basso, medio o alto rispetto agli altri.
Perché Tutto Questo è Importante?
Questi risultati sono un passo avanti significativo! Dimostrano che l’IPP è uno strumento psicometricamente solido per misurare il Fenomeno dell’Impostore e le sue sfaccettature in diversi contesti europei (con l’eccezione, per ora, dell’Italia, che richiede ulteriori studi).
Per i ricercatori, l’invarianza metrica e scalare parziale permette di fare confronti più affidabili sulle relazioni tra l’IP e altri costrutti (come ansia, depressione, autostima) e, con cautela, sui livelli medi del fenomeno tra i cinque paesi validati.
Per i professionisti (psicologi, coach, formatori), la disponibilità di norme basate sull’età rende l’IPP uno strumento molto più utile nella pratica clinica, educativa o organizzativa. Ora è possibile interpretare il punteggio di un individuo in modo più contestualizzato.
Soprattutto, questo studio sottolinea quanto sia cruciale non dare per scontata l’equivalenza cross-culturale degli strumenti psicologici. Validare gli strumenti è un passaggio fondamentale per una scienza psicologica più rigorosa e applicabile a livello globale.
Limiti e Prospettive Future
Ovviamente, il nostro studio ha dei limiti. Il campione era prevalentemente europeo ed educato, quindi la generalizzabilità ad altre culture o a popolazioni non accademiche è limitata. Non abbiamo raccolto dati su etnia o status di minoranza, fattori che la ricerca indica come rilevanti per l’IP. L’uso di campionamenti non probabilistici (convenience e snowball) potrebbe aver introdotto dei bias. Ci siamo basati su auto-valutazioni (self-report), che possono essere soggettive. E, naturalmente, c’è la questione aperta del campione italiano.
Cosa fare ora? La ricerca futura dovrebbe:
- Estendere la validazione dell’IPP ad altre culture (non europee, non occidentali) e a popolazioni più diverse (non accademiche, minoranze).
- Approfondire le ragioni della mancata invarianza nel campione italiano.
- Utilizzare disegni longitudinali per studiare come l’IP cambia nel corso della vita.
- Includere altre misure (come il CIPS o valutazioni comportamentali/dei pari) per rafforzare la validità.
- Sviluppare interventi mirati basati sul profilo multidimensionale fornito dall’IPP.
In conclusione, il nostro lavoro conferma che l’Impostor-Profile 30 è uno strumento promettente e robusto per studiare la complessa esperienza del sentirsi impostori in diversi contesti europei. È il primo strumento per l’IP ad essere standardizzato, aprendo nuove strade per la ricerca e la pratica. La strada per comprendere appieno l’IP senza frontiere è ancora lunga, ma abbiamo aggiunto un tassello importante!
Fonte: Springer