Chikungunya: Il Vaccino Può Davvero Fermare le Epidemie? La Risposta (Sorprendente) dai Modelli Matematici
Avete mai sentito parlare della Chikungunya? No, non è un ballo esotico né una nuova spezia. È un virus, trasmesso dalle zanzare del genere Aedes (sì, le stesse della Dengue e Zika), che può causare febbri alte, mal di testa, eruzioni cutanee e, soprattutto, dolori articolari così forti da piegarti in due, che possono durare mesi. Un vero incubo. Per anni, contro la Chikungunya, avevamo armi spuntate: prevenzione contro le zanzare e poco altro. Ma ora c’è una novità che potrebbe cambiare le carte in tavola: un vaccino! Finalmente è stato approvato (parlo di IXCHIQ e VIMKUNYA). La domanda che tutti ci siamo posti, però, è: bello avere un vaccino, ma possiamo usarlo efficacemente *durante* un’epidemia già in corso per limitare i danni? O è troppo tardi una volta che il virus ha iniziato a correre?
L’epidemia in Paraguay: un caso studio drammatico
Per rispondere a questa domanda cruciale, abbiamo puntato i nostri microscopi (metaforici, in questo caso!) su un evento reale e piuttosto drammatico: la grande epidemia di Chikungunya che ha colpito il Paraguay tra il 2022 e il 2023. I numeri ufficiali parlavano di oltre 142.000 casi segnalati e quasi 300 morti. Tanti, vero? Ma la realtà, come spesso accade con queste malattie, era probabilmente molto diversa.
Come potevamo scoprirlo? Siamo andati a cercare gli anticorpi nel sangue delle persone. Abbiamo condotto uno studio di sieroprevalenza su campioni di sangue donato in tutto il paese dopo la fine dell’ondata epidemica. E qui la prima sorpresa: abbiamo scoperto che circa il 34% dei donatori aveva gli anticorpi contro il virus! Tenendo conto di chi poteva già essere immune da prima e della distribuzione della popolazione, abbiamo stimato che durante quell’epidemia si fosse infettato circa il 33% dell’intera popolazione paraguaiana. Parliamo di circa 2,3 milioni di persone!
Questo significa che il sistema di sorveglianza, pur facendo il suo lavoro, era riuscito a “vedere” solo una piccola parte del problema: circa il 6,3% delle infezioni totali. Un po’ come vedere solo la punta dell’iceberg. Questo dato è fondamentale, perché ci dice quanto sia difficile capire la reale portata di un’epidemia basandosi solo sui casi che arrivano in ospedale o dal medico.
Abbiamo anche analizzato chi rischiava di più. L’incidenza dei casi segnalati aumentava con l’età ed era più alta nelle donne. Ma per quanto riguarda la mortalità, il rischio era più alto nei bambini molto piccoli (sotto l’anno d’età) e negli anziani (sopra i 70 anni). E, a differenza dei casi segnalati, il tasso di mortalità (il cosiddetto IFR, Infection Fatality Ratio, cioè la probabilità di morire *se* ti infetti) è risultato più alto negli uomini. Complicato, vero? Abbiamo stimato un IFR medio dello 0,013%, che può sembrare basso, ma su milioni di infezioni, si traduce comunque in un numero significativo di vite perse.

Costruire la “macchina del tempo”: i modelli matematici
Ok, abbiamo capito meglio cosa è successo in Paraguay. Ma come facciamo a sapere cosa sarebbe cambiato *se* ci fosse stato il vaccino? Non possiamo tornare indietro nel tempo, ovviamente. Ed è qui che entra in gioco la potenza dei modelli matematici di trasmissione epidemica. Immaginateli come dei simulatori super avanzati. Abbiamo costruito un modello (un tipo chiamato SIR, Susceptible-Infected-Removed) che “imparasse” dalla curva dei casi reali e dai dati di sieroprevalenza come si è diffuso il virus settimana dopo settimana in Paraguay. Il modello ci ha mostrato come l’immunità nella popolazione sia cresciuta rapidamente, arrivando a quasi il 35% dopo 9 mesi, e come il famoso “numero di riproduzione” (quante persone in media ne infetta una malata) sia rimasto sopra 1 per ben 22 settimane, alimentando l’epidemia, anche influenzato dalla temperatura.
Simulare la campagna vaccinale: lo scenario “what if”
Una volta che il nostro modello ha “capito” la dinamica dell’epidemia passata, abbiamo potuto fare l’esperimento virtuale. Abbiamo aggiunto al modello un nuovo compartimento: le persone vaccinate. Abbiamo ipotizzato uno scenario realistico:
- Il vaccino ha un’efficacia del 75% nel prevenire la malattia grave (ma non necessariamente l’infezione, in uno scenario conservativo).
- La campagna vaccinale parte appena l’epidemia viene dichiarata ufficialmente (ottobre 2022).
- Si punta a vaccinare il 40% della popolazione sopra i 12 anni (target iniziale probabile).
- La copertura viene raggiunta in 3 mesi.
Cosa sarebbe successo in questo scenario? I risultati sono stati davvero incoraggianti. Questa campagna vaccinale reattiva avrebbe potuto prevenire circa 34.200 casi di Chikungunya, di cui la metà con possibili conseguenze croniche (quei terribili dolori articolari), e soprattutto avrebbe potuto salvare circa 73 vite. Stiamo parlando di ridurre casi e decessi di quasi un quarto (23%)! Non male per un intervento fatto “in corsa”, vero?

Ovviamente, abbiamo esplorato anche altre possibilità. Se la copertura fosse stata solo del 20%? L’impatto si sarebbe ridotto all’11%. E se si fosse aspettato 3 mesi prima di iniziare a vaccinare? L’efficacia sarebbe scesa al 13%. Questo ci dice una cosa importante: tempestività e copertura sono fondamentali.
E se il vaccino facesse ancora di più?
Ma c’è un’altra ipotesi, forse ancora più ottimistica ma plausibile per i vaccini vivi attenuati come questo. E se il vaccino non solo proteggesse dalla malattia, ma bloccasse anche l’infezione e quindi la trasmissione ad altri? Abbiamo simulato anche questo scenario, mantenendo il 75% di efficacia e il 40% di copertura. Beh, qui l’impatto sarebbe stato enorme: avremmo potuto prevenire l’88% dei casi e dei decessi! Questo sottolinea quanto sia cruciale capire esattamente come funziona questo nuovo vaccino nel mondo reale.
Cosa ci portiamo a casa da questo studio?
Questa analisi, basata su dati reali e modelli sofisticati, ci manda un messaggio forte e chiaro: il vaccino contro la Chikungunya è uno strumento potenzialmente potentissimo, anche quando usato in modo reattivo, cioè dopo che un’epidemia è già iniziata.
Questo apre la strada a strategie concrete:
- Stockpiles strategici: Avere scorte di vaccino pronte all’uso nei paesi a rischio potrebbe fare la differenza.
- Sorveglianza potenziata: Rilevare le epidemie il prima possibile è cruciale per intervenire in tempo. Servono sistemi di sorveglianza sensibili e reattivi.
- Priorità alla vaccinazione: Gli anziani, che rischiano di più la malattia grave e la morte, dovrebbero essere tra i primi a ricevere il vaccino.
- Protezione indiretta: Se il vaccino blocca la trasmissione, può proteggere indirettamente anche chi non può essere vaccinato, come i neonati.

Certo, ci sono delle limitazioni. Il nostro studio si basa su dati da donatori di sangue (quindi adulti), e ogni epidemia può essere diversa. L’efficacia reale del vaccino sul campo andrà confermata. Ma i risultati sono troppo promettenti per essere ignorati.
La Chikungunya fa paura, le sue epidemie possono essere esplosive e mettere in ginocchio i sistemi sanitari. Ma ora abbiamo un’arma in più nel nostro arsenale. E grazie a studi come questo, abbiamo anche una base scientifica per capire come usarla al meglio. La strada è tracciata: ora servono protocolli chiari, licenze locali e la volontà di implementare queste strategie per proteggere le popolazioni da questo virus debilitante.
Fonte: Springer
