Fotografia realistica di uno studente di medicina palestinese, visto di spalle, che guarda fuori da una finestra del campus universitario al tramonto, una confezione di propranololo appena visibile che spunta dalla tasca dello zaino appoggiato vicino. Obiettivo 50mm, luce naturale calda, leggera profondità di campo.

Propranololo: L’Aiutino Segreto (e Rischioso) degli Studenti di Medicina in Palestina

Ragazzi, diciamocelo, fare medicina è tosta. Lo stress è alle stelle, la competizione è alta e gli esami sembrano non finire mai. Immaginatevi poi studiare in un contesto complesso come quello palestinese. Ecco, proprio lì, all’Università Nazionale An-Najah, hanno fatto uno studio che mi ha fatto riflettere parecchio sull’uso, o meglio, sull’abuso di un farmaco specifico: il propranololo.

Magari ne avete sentito parlare, è un beta-bloccante. Di solito si usa per problemi cardiovascolari, ma ha anche degli effetti “off-label”, cioè non ufficialmente approvati per quell’uso, ma noti: calma l’ansia. E indovinate un po’ chi ne approfitta? Proprio loro, gli studenti di medicina sotto pressione.

Un Fenomeno Preoccupante: Lo Studio Palestinese

Questo studio, il primo del suo genere in Palestina, ha coinvolto più di 400 studenti dal secondo al sesto anno. Hanno risposto a un questionario online, anonimo, tra agosto e settembre 2023. I risultati? Beh, non sono proprio rassicuranti.

È emerso che il 12% degli studenti intervistati usa il propranololo. Non sembra una cifra enorme? Aspettate di sentire il resto. La cosa interessante è che questa percentuale è più bassa rispetto a uno studio simile fatto in Arabia Saudita (dove era il 22.4%). I ricercatori ipotizzano, e mi sembra una riflessione potente, che forse gli studenti palestinesi sono talmente “abituati” a vivere sotto stress costante, a causa dell’occupazione, da non sentire il bisogno di farmaci come i loro colleghi altrove. Una sorta di triste adattamento.

Ma torniamo ai dati. Chi sono questi studenti che usano il propranololo? Principalmente, sono quelli degli ultimi anni, soprattutto del sesto (il 34% dei partecipanti totali erano all’ultimo anno, e l’uso del farmaco era significativamente più alto tra loro). Ha senso, no? La laurea si avvicina, la pressione per il futuro aumenta, l’ansia sale.

Chi Usa il Propranololo e Perché?

La motivazione principale, dichiarata dall’88% degli utilizzatori, è proprio quella di alleviare i sintomi dell’ansia. E quando la prendono? Il momento clou è prima degli esami clinici strutturati a obiettivi, i famosi OSCE (li ha dichiarati l’89% degli utilizzatori). Avete presente quegli esami pratici, con diverse stazioni, l’interazione con “pazienti” (spesso attori) e l’occhio vigile dell’esaminatore? Ecco, lì l’ansia da prestazione può giocare brutti scherzi. Un buon 39% lo usa anche prima delle presentazioni orali.

E come se lo procurano? Qui arriva un altro dato preoccupante: il 60% si auto-prescrive il farmaco. In Palestina, a quanto pare, il propranololo si può comprare senza ricetta. Le dosi più comuni? Tra i 10 e i 20 mg (scelte dal 56% degli utilizzatori). Le informazioni su come usarlo arrivano un po’ dai materiali di studio (70%), ma anche molto dagli amici e compagni di corso (60%). La pressione dei pari e la facile reperibilità giocano un ruolo chiave.

Ritratto di uno studente di medicina dall'aspetto ansioso seduto a una scrivania ingombra di libri e appunti, luce ambientale fioca che crea ombre profonde, obiettivo 35mm, bianco e nero, profondità di campo ridotta per enfatizzare l'espressione preoccupata dello studente.

Consapevolezza dei Rischi vs. Necessità Percepita

La cosa che forse mi colpisce di più è questa: il 68% di chi usa propranololo è consapevole dei potenziali effetti collaterali. Parliamo di ipotensione, problemi psicologici… eppure, lo prendono lo stesso. Questo la dice lunga su quanto forte sia la pressione percepita, tanto da spingere futuri medici a ignorare i rischi che loro stessi studiano. È un comportamento indotto dallo stress, un tentativo disperato di farcela in momenti percepiti come insormontabili, come appunto gli OSCE.

Lo studio ha anche cercato di capire se ci fossero altri fattori associati all’uso di propranololo. E sì, ne hanno trovati:

  • L’età (più si è grandi, più è probabile usarlo, p<0.001)
  • L’anno accademico (come detto, più si va avanti, più aumenta l’uso, p<0.001)
  • La presenza di malattie croniche (p=0.011)
  • L’uso di altre sostanze psicoattive (p=0.045)

Curiosamente, invece, non hanno trovato legami significativi con il rendimento accademico (GPA), l’essere fumatori o il consumo di energy drink. Quindi, non è necessariamente lo studente “meno bravo” o quello che cerca scorciatoie ovunque a usarlo, ma piuttosto chi si trova in una fase più avanzata e stressante del percorso, magari con altre vulnerabilità pregresse.

Limiti dello Studio e Prospettive Future

Come ogni ricerca, anche questa ha i suoi limiti. Il questionario era online, e magari qualcuno non si è sentito libero di rispondere onestamente. È uno studio “cross-sectional”, cioè fotografa la situazione in un momento preciso, senza seguirne l’evoluzione. E riguarda una sola università, quindi generalizzare è difficile. Inoltre, la distribuzione degli studenti tra i vari anni non era perfettamente bilanciata. Sarebbe stato interessante, ad esempio, correlare l’uso del farmaco con i risultati effettivi degli esami, ma questo non è stato fatto.

Nonostante ciò, questo studio è un primo passo fondamentale per accendere i riflettori su un problema reale. Cosa possiamo portarci a casa? Che lo stress tra gli studenti di medicina è un fattore potentissimo che può portare a comportamenti rischiosi come l’auto-medicazione.

Primo piano macro di alcune pillole di propranololo sparse su un libro di testo di medicina aperto, illuminazione laterale controllata che crea lunghe ombre, obiettivo macro 100mm, alta definizione per mostrare la texture delle pillole e la stampa del libro.

Le conclusioni dei ricercatori sono chiare: bisogna fare di più. Servono campagne di sensibilizzazione mirate per informare gli studenti sui rischi dell’auto-medicazione, anche con farmaci comuni come il propranololo. Ma soprattutto, le università dovrebbero integrare seriamente la gestione dello stress nei loro curricula. Non basta formare medici tecnicamente bravi, bisogna anche dare loro gli strumenti per gestire la pressione psicologica, per sviluppare meccanismi di coping più sani.

Insomma, la prossima volta che pensiamo alla vita dello studente di medicina, ricordiamoci che dietro i camici bianchi e i libri pesanti c’è una pressione enorme. E a volte, la tentazione di cercare un “aiutino” chimico, anche se rischioso, diventa forte. Sta alle istituzioni, ai docenti, ma anche a noi come società, creare un ambiente in cui chiedere aiuto e imparare a gestire lo stress sia la norma, non l’eccezione.

Fonte: Springer

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