Immagine fotorealistica di un medico o infermiere in un ospedale del Kenya occidentale che esamina una cartella clinica, con blister di antibiotici visibili su un carrello vicino, luce naturale da una finestra, obiettivo 50mm, profondità di campo.

Antibiotici negli Ospedali del Kenya: Un Viaggio Dentro l’Uso (e l’Abuso) che Deve Farci Riflettere

Ragazzi, parliamoci chiaro: l’antibiotico-resistenza (AMR) è una delle gatte da pelare più grosse del nostro secolo. Mette a rischio cure salvavita e rende la gestione delle infezioni un vero incubo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) non usa mezzi termini: se non ci diamo una mossa, entro il 2050 le infezioni resistenti ai farmaci potrebbero causare 10 milioni di morti all’anno. E indovinate dove la situazione è più critica? Esatto, nei paesi in via di sviluppo, dove risorse e infrastrutture scarseggiano.

La Situazione in Africa Sub-Sahariana e in Kenya

Nell’Africa Sub-Sahariana, Kenya incluso, l’AMR è in costante aumento. Le cause? Un mix esplosivo:

  • Controllo delle infezioni inadeguato
  • Capacità diagnostiche limitate
  • Pratiche di prescrizione non sempre ottimali

A peggiorare le cose, c’è spesso una scarsa consapevolezza pubblica sull’importanza di usare gli antimicrobici nel modo giusto. Il Kenya, come molti paesi a basso e medio reddito, sta lottando con le conseguenze. Per fortuna, non stanno con le mani in mano. Hanno un Piano d’Azione Nazionale (NAP), aggiornato nel 2023, che punta a contrastare l’AMR attraverso varie strategie: governance, sensibilizzazione, sorveglianza, prevenzione delle infezioni e, cruciale, la promozione dell’uso appropriato degli antimicrobici tramite la cosiddetta antimicrobial stewardship.

Nella Contea di Bungoma, ad esempio, hanno istituito un comitato apposito (il CASIC) che sta facendo passi da gigante. Ma tradurre le strategie in pratica quotidiana resta una sfida. Per promuovere un uso corretto degli antimicrobici (AMA), servono dati. E qui casca l’asino: in Africa, Kenya compreso, questi dati spesso mancano.

L’Indagine sul Campo: Cosa Abbiamo Fatto?

Ecco perché entrano in gioco le indagini di prevalenza puntuale (Point Prevalence Surveys – PPS). Sono strumenti agili per “fotografare” l’uso degli antimicrobici in un dato momento, valutare la qualità delle prescrizioni e identificare le aree problematiche. E proprio questo abbiamo fatto! Il nostro studio si è concentrato su due ospedali principali nella Contea di Bungoma, nel Kenya occidentale: il Bungoma County Referral Hospital (BCRH) e il Webuye County Hospital (WCH).

Abbiamo usato lo strumento standardizzato dell’OMS (il Global-PPS), adattandolo un po’, per raccogliere informazioni su chi erano i pazienti, quali antimicrobici assumevano, perché, e quali test diagnostici erano stati fatti. Abbiamo analizzato le cartelle cliniche tra luglio e ottobre 2022. Lo studio ha ricevuto tutte le approvazioni etiche necessarie, proteggendo la privacy di pazienti e prescrittori.

I due ospedali sono strutture importanti, di livello 4, con un bacino d’utenza significativo. Il BCRH ha 250 posti letto, il WCH 150. Abbiamo incluso tutti i pazienti ricoverati da più di 24 ore, escludendo pronto soccorso e maternità.

Foto realistica dell'interno di un reparto ospedaliero affollato in Kenya, con infermieri che assistono pazienti nei letti, luce naturale filtrata dalle finestre, obiettivo 35mm, profondità di campo, bianco e nero.

I Risultati: Una Fotografia Preoccupante

Su 361 pazienti analizzati (la maggioranza donne, 61.8%, e adulti, 67.4%), ben 223 (quasi il 62%) stavano assumendo antibiotici! Un dato altissimo, distribuito quasi equamente tra i due ospedali. La maggior parte delle prescrizioni proveniva da “clinical officers” (una figura sanitaria comune in Kenya) e da loro tirocinanti.

E quali erano gli antibiotici più gettonati?

  • Ceftriaxone (34.5%): un nome che sentiremo spesso.
  • Metronidazolo (24.9%)
  • Flucloxacillina (10.1%)

Il Meropenem, un antibiotico più “potente”, era usato raramente (0.88%). È interessante notare che la maggior parte degli antibiotici rientrava nelle categorie “Watch” (da usare con cautela) e “Access” (essenziali e da usare prioritariamente) della classificazione AWaRe dell’OMS.

Prescrizioni Empiriche vs Profilassi: Due Ospedali, Due Approcci?

Qui le cose si fanno interessanti. Al WCH, la maggior parte degli antibiotici (25.4%) era prescritta empiricamente, cioè basandosi solo sui sintomi, senza conferma diagnostica. Al BCRH, invece, prevaleva l’uso profilattico (19.5%), soprattutto nei reparti di ostetricia e ginecologia, per prevenire infezioni.

Le indicazioni principali riflettevano questa differenza:

  • WCH: Sepsi clinica (9.9%)
  • BCRH: Polmonite (9.5%)

Il Tallone d’Achille: La Diagnostica Microbiologica

E qui arriva la nota dolente. Dei 237 pazienti sotto antibiotici, solo a 16 (un misero 6.8%) è stato fatto un esame colturale con antibiogramma (test di sensibilità)! E di questi, solo 9 hanno ricevuto i risultati in tempo utile durante il periodo dello studio. Fortunatamente, per 8 di questi 9, la terapia è stata aggiustata in base ai risultati. Ma è evidente che la diagnostica microbiologica è drammaticamente sottoutilizzata.

La maggior parte dei campioni per coltura (11 su 16) è stata prelevata prima di iniziare l’antibiotico, il che è corretto, ma 5 sono stati presi dopo. I campioni provenivano principalmente da liquido cerebrospinale (CSF – 43.8%, probabilmente legato a un altro studio sulla meningite in corso), pus (25.0%) e sangue (18.8%).

Su cosa si basavano allora le prescrizioni? Oltre all’esame clinico, ci si affidava pesantemente all’emocromo completo (full hemogram – 35.4% dei casi), a esami di imaging (13.8%) e all’analisi delle urine (4.4%). L’emocromo, pur utile, non è specifico per guidare una terapia antibiotica mirata.

Primo piano fotorealistico di piastre Petri con colture batteriche e dischetti per antibiogramma in un laboratorio ospedaliero, illuminazione controllata da laboratorio, obiettivo macro 100mm, alto dettaglio, messa a fuoco precisa sui dischetti.

Discussione: Cosa Ci Dicono Questi Dati?

I nostri risultati sono in linea con altre indagini simili in Kenya e in altri paesi dell’Africa Sub-Sahariana (Uganda, Tanzania). Confermano un quadro preoccupante:

  • Alto tasso di utilizzo di antibiotici, spesso superiore al 60%.
  • Predominanza del Ceftriaxone: È un antibiotico ad ampio spettro, relativamente economico e sicuro, ma il suo uso massiccio e spesso inappropriato sta alimentando la resistenza a livello globale, rendendolo meno efficace quando serve davvero.
  • Pratiche prescrittive variabili e spesso empiriche: La differenza tra WCH (empirico) e BCRH (profilattico) suggerisce la mancanza di linee guida standardizzate o la loro difficile applicazione. L’uso empirico aumenta il rischio di terapie inadeguate e resistenza. Anche la profilassi deve essere usata con giudizio e seguire raccomandazioni precise (come quella dell’OMS che suggerisce almeno il 60% di antibiotici dalla categoria “Access”).
  • Sottoutilizzo drammatico della diagnostica microbiologica: Questo è forse il punto più critico. Senza test di laboratorio, è impossibile sapere quale batterio causa l’infezione e a quali antibiotici è sensibile. Si naviga a vista, spesso sprecando farmaci, rischiando fallimenti terapeutici e favorendo l’AMR. Affidarsi solo all’emocromo non basta.

È chiaro che serve un cambio di passo. Migliorare le capacità diagnostiche, implementare programmi di antimicrobial stewardship per monitorare e ottimizzare l’uso degli antibiotici, e sviluppare/applicare linee guida terapeutiche standardizzate sono passi fondamentali.

Limiti e Prospettive Future

Certo, il nostro studio ha dei limiti: si è concentrato solo su due ospedali e, essendo una “fotografia” (cross-sectional), non può mostrare l’evoluzione nel tempo. Tuttavia, i risultati sono un campanello d’allarme forte e chiaro.

C’è un bisogno urgente di potenziare la diagnostica, standardizzare le pratiche prescrittive e rafforzare i programmi di stewardship in questi ospedali e, verosimilmente, in contesti simili. La formazione continua degli operatori sanitari sull’AMR e sull’uso razionale degli antibiotici è altrettanto cruciale, così come lo sviluppo e l’applicazione di linee guida nazionali chiare. La lotta all’antibiotico-resistenza passa anche (e soprattutto) da qui.

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *