Fotografia grandangolare (18mm) dell'esterno semplice ma funzionale dell'Ospedale Distrettuale di Manhiça, Mozambico, sotto un cielo africano parzialmente nuvoloso. Luce del tardo pomeriggio che crea lunghe ombre. Alcune persone camminano nelle vicinanze. Messa a fuoco nitida sull'edificio e sull'ambiente circostante, long exposure per ammorbidire leggermente le nuvole.

Antibiotici in Mozambico: Cosa Sanno Davvero Medici e Infermieri?

Ragazzi, parliamoci chiaro: la resistenza agli antibiotici è uno dei problemi più grossi che la sanità mondiale sta affrontando. È un nemico subdolo che cresce piano piano, ma che rischia di riportarci indietro nel tempo, a quando infezioni oggi banali potevano essere letali. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ci mette in guardia da decenni, ma sembra sempre un problema lontano, vero? Eppure, non lo è.

Mi sono imbattuto in uno studio affascinante condotto in Mozambico, precisamente nell’Ospedale Distrettuale di Manhiça, nel sud del paese. Volevano capire una cosa semplice ma fondamentale: i professionisti sanitari – medici, infermieri, tecnici – cosa sanno davvero degli antibiotici? E come li prescrivono nella pratica quotidiana? Perché, vedete, non basta avere farmaci potenti se poi non li usiamo nel modo giusto.

Un Viaggio nel Cuore del Mozambico Sanitario

Immaginatevi Manhiça: una zona a circa 80 km dalla capitale Maputo, con un clima caldo tutto l’anno e due stagioni ben distinte, una umida e una secca. Qui, il Centro di Ricerca Sanitaria di Manhiça (CISM) lavora a stretto contatto con la sanità pubblica, monitorando la salute della popolazione. L’ospedale distrettuale è un punto di riferimento importante, offre cure di secondo livello.

In questo contesto, dove le malattie infettive pesano tanto, soprattutto sui bambini, capire come vengono gestiti gli antibiotici è cruciale. Il Mozambico ha persino un Piano d’Azione Nazionale contro la resistenza antimicrobica, segno che il problema è sentito. Ma tra i piani sulla carta e la realtà quotidiana, a volte, c’è un bel divario.

Come Abbiamo Indagato?

Lo studio si è mosso su due binari. Prima di tutto, i ricercatori hanno intervistato 20 professionisti sanitari (la maggioranza donne, età media 29 anni, per lo più infermieri) scelti a caso tra quelli che prescrivono o dispensano antibiotici regolarmente. Hanno usato un questionario strutturato per testare le loro conoscenze: domande a risposta multipla sull’uso degli antibiotici, sulla resistenza, e anche un test visivo per riconoscere farmaci comuni, tra cui l’amoxicillina (la classica capsula rossa e gialla).

Poi, si sono tuffati nell’archivio della farmacia dell’ospedale e hanno analizzato 200 prescrizioni per pazienti esterni (metà bambini, metà adulti), raccolte sia in inverno che in estate, per vedere se c’erano differenze stagionali. Hanno guardato un sacco di cose: quanti farmaci c’erano in media per ricetta, quanti contenevano antibiotici, se erano scritti in modo leggibile, se c’era il nome del paziente, la diagnosi, il dosaggio, la durata della cura… insomma, una vera e propria radiografia delle abitudini prescrittive.

Fotografia realistica di un professionista sanitario mozambicano, forse un'infermiera o un tecnico medico, in un ambiente ospedaliero distrettuale luminoso ma semplice. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo che sfoca leggermente lo sfondo per concentrarsi sulla persona, luce naturale laterale che illumina il volto pensieroso ma competente. Bianco e nero.

La Sorpresa: Cosa Sanno Davvero i Professionisti?

E qui arriva il bello. Nonostante le sfide di un paese a basso reddito, il livello di conoscenza generale dei professionisti intervistati è risultato alto (livello A)! Tutti hanno riconosciuto l’antibiotico a vista e hanno risposto correttamente ad almeno due domande a scelta multipla. Questo è un ottimo punto di partenza, perché una buona conoscenza è fondamentale per un uso appropriato.

Ma attenzione, qualche crepa nel sapere c’è. Ad esempio:

  • Il 20% ha confuso l’amoxicillina, mettendola nel gruppo delle cefalosporine (sono entrambe famiglie di antibiotici, ma diverse!).
  • Il 15% pensava che la resistenza agli antibiotici fosse una specie di reazione di rigetto del corpo del paziente (spoiler: non lo è, è il batterio che diventa “immune” al farmaco).
  • Circa un terzo (35%) ha definito l’antibiotico genericamente come un farmaco per “infezioni”, senza specificare che agisce sui batteri (e non sui virus, ad esempio!).

Sono piccole cose? Forse, ma possono fare la differenza nella scelta terapeutica e nella comunicazione con il paziente.

Le Ricette Parlano: Abitudini Sotto Esame

Passiamo alle prescrizioni. Qui i numeri si fanno interessanti e un po’ preoccupanti. L’88% delle ricette analizzate conteneva almeno un antibiotico. È tantissimo! L’OMS suggerisce un range ideale molto più basso (intorno al 20-26%). Questo non significa automaticamente che fossero tutte prescrizioni sbagliate, eh. L’ospedale è un centro di riferimento, magari arrivano casi più gravi. Però, un numero così alto fa drizzare le antenne sul rischio di un uso eccessivo.

Gli antibiotici più gettonati?

  • Cotrimoxazolo (30.77%): più usato negli adulti e in inverno.
  • Amoxicillina (26.15%): più usata nei bambini e in estate.

Entrambi sono antibiotici ad ampio spettro e appartengono alla categoria “Access” dell’OMS, cioè quelli di prima scelta, il che è positivo. Però, la stragrande maggioranza degli antibiotici prescritti era ad ampio spettro. Questo può essere un problema, perché usarli troppo spesso aumenta il rischio di selezionare batteri resistenti.

C’erano anche aspetti positivi nelle ricette:

  • Quasi tutte (96%) usavano il nome generico del farmaco (bravi!).
  • Tutte (100%) contenevano farmaci presenti nel prontuario nazionale (ottimo!).
  • La scrittura era leggibile nel 97% dei casi (un sollievo per i farmacisti!).

Però, c’erano anche punti deboli: indicazioni come il nome del prescrittore (mancava nel 28% dei casi!), il dosaggio preciso (mancava nel 13%) e la durata del trattamento (mancava nel 17.5%) non erano sempre presenti, e questo può portare a errori o a un uso scorretto da parte del paziente.

Scatto macro di capsule di amoxicillina (rosse e gialle) e compresse bianche di cotrimoxazolo sparse su un bancone di farmacia pulito ma vissuto. Obiettivo macro 100mm, messa a fuoco precisa sulle texture delle pillole, illuminazione controllata dall'alto che crea leggere ombre, alta definizione dei dettagli.

Il Nocciolo della Questione: Perché Preoccuparsi?

Perché tutto questo ci interessa? Perché l’uso eccessivo e inappropriato degli antibiotici alimenta la resistenza. Quando i professionisti hanno detto di aver prescritto antibiotici per sospette infezioni respiratorie (35%) o gastrointestinali (30%), spesso lo facevano empiricamente, cioè senza una diagnosi confermata da test di laboratorio. Questo è comune in contesti con poche risorse diagnostiche, ma è rischioso.

Molte infezioni respiratorie, come il comune raffreddore, sono virali e gli antibiotici non servono a nulla. Prescriverli “per non saper né leggere né scrivere” o per pressione del paziente contribuisce solo a rendere i batteri più forti. Lo stesso vale per alcune forme di gastroenterite.

Il fatto che si usino prevalentemente antibiotici ad ampio spettro, anche se spesso sono quelli più accessibili e con un buon profilo di sicurezza (come amoxicillina e cotrimoxazolo), accelera ulteriormente la selezione di ceppi resistenti. È un circolo vizioso.

Cosa Fare Ora? La Strada da Seguire

Questo studio, pur con i suoi limiti (campione piccolo di professionisti, dati retrospettivi), ci dà indicazioni preziose. Mostra che c’è una buona base di conoscenza su cui costruire, ma anche aree specifiche dove serve migliorare, come la comprensione della resistenza e la classificazione dei farmaci. Serve formazione continua per i professionisti sanitari.

L’alta frequenza di prescrizioni antibiotiche suggerisce la necessità di implementare programmi di “antibiotic stewardship”, cioè strategie per ottimizzare l’uso degli antibiotici: promuovere diagnosi più accurate quando possibile, usare antibiotici a spettro ristretto quando indicato, assicurarsi che le prescrizioni siano complete e chiare.

Migliorare la documentazione sulle ricette (indicazione clinica, durata della terapia, nome del prescrittore) è un passo fondamentale. Serve anche sensibilizzare la comunità sull’uso corretto degli antibiotici. È un lavoro di squadra che coinvolge tutti: medici, infermieri, farmacisti, pazienti e istituzioni.

Insomma, la lotta alla resistenza antibiotica si combatte anche qui, in un ospedale distrettuale del Mozambico, migliorando le conoscenze e affinando le pratiche quotidiane. È una sfida globale che richiede azioni locali mirate. E sapere è il primo passo per agire.

Fonte: Springer

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