Ritratto fotografico, 35mm, di un paziente oncologico portoricano seduto su un letto d'ospedale improvvisato in una struttura danneggiata dall'uragano Maria. Luce fioca proveniente da una finestra, espressione di stanchezza e preoccupazione ma con un accenno di resilienza. Duotone seppia e grigio per un effetto drammatico e storico. Profondità di campo.

Più Stressante del Cancro: Vivere le Cure Oncologiche Durante l’Uragano Maria a Porto Rico

Amici, vi è mai capitato di leggere un titolo che vi gela il sangue? A me sì, di recente, e riguardava uno studio che definiva l’esperienza del trattamento oncologico durante l’uragano Maria a Porto Rico come “più stressante del cancro” stesso. Un’affermazione forte, che mi ha spinto a voler capire di più, a mettermi nei panni di chi ha vissuto quell’inferno.

L’Uragano Maria: Uno Scenario Apocalittico

Ricordate settembre 2017? L’uragano Maria, una bestia di categoria 4, si è abbattuto su Porto Rico. Non parliamo di una semplice tempesta: ha causato danni strutturali diffusi, blackout energetici che sono durati un’eternità e inondazioni devastanti. Immaginatevi l’isola messa in ginocchio, le infrastrutture a pezzi e la popolazione in balia degli eventi. In questo scenario da film catastrofico, c’erano persone che già stavano combattendo una battaglia durissima: quella contro il cancro. Pazienti con malattie croniche, e in particolare quelli oncologici, hanno bisogni sanitari specifici e, diciamocelo, durante e dopo un disastro del genere, tutto diventa incredibilmente più complicato.

Dare Voce ai Pazienti: Lo Studio

Ed è qui che entra in gioco lo studio che mi ha tanto colpito. Dei ricercatori si sono messi ad ascoltare, a raccogliere le testimonianze dirette di pazienti con cancro al seno e al colon-retto. Volevano capire come avessero vissuto l’interruzione delle loro cure, le difficoltà incontrate, le loro paure. Hanno organizzato dei focus group, a San Juan e Ponce, coinvolgendo persone a cui era stato diagnosticato il cancro nei sei mesi precedenti quel maledetto settembre 2017. E sapete cosa è emerso? Che il 40% dei partecipanti ha visto il proprio trattamento interrotto a causa dell’uragano Maria. Non un numero da poco, eh?

Le loro storie hanno fatto emergere tre temi principali:

  • Gli ostacoli e, per fortuna, anche qualche facilitazione, legati alle cure oncologiche.
  • Le esperienze dirette vissute durante il trattamento in quel caos.
  • Gli stressor, ovvero tutte quelle fonti di stress, direttamente collegate all’uragano.

Quello che mi ha lasciato senza parole è che, per molti, gli stressor legati al disastro sono stati i più difficili da affrontare. Più della malattia stessa.

Un Percorso a Ostacoli Verso le Cure

Pensateci un attimo: siete nel bel mezzo di un ciclo di chemioterapia o in attesa di un intervento chirurgico vitale, e all’improvviso tutto si ferma. I partecipanti hanno raccontato le loro peripezie per accedere alle cure, per riprendere i trattamenti. Telefonate su telefonate, spesso a vuoto per la mancanza di copertura telefonica, per contattare i medici. Viaggi verso l’area metropolitana, magari da zone rurali isolate, solo per scoprire se gli ambulatori erano aperti o se le farmacie avevano i medicinali. Un incubo. “La chemioterapia non era disponibile e i miei medici non avevano le strutture pronte per il trattamento,” ha raccontato un paziente con cancro al colon-retto. Settimane, a volte mesi, passati nell’incertezza, senza un piano.

Molti hanno visto rimandare mastectomie e altri trattamenti come chemio e radioterapia, principalmente per la mancanza di elettricità nelle strutture sanitarie. E non è finita qui. Alcuni hanno esitato a riprendere le cure a causa della situazione disastrosa a casa: niente corrente, niente acqua. Come si fa? C’era anche la paura legata all’instabilità del sistema elettrico negli ospedali: e se la corrente salta durante una seduta di radioterapia? “La radioterapia era prevista per ottobre. Ad agosto la mastectomia parziale, poi a settembre l’ovariectomia, e la radioterapia a ottobre. Tutto rimandato. Quando [l’istituto] finalmente ha avuto l’elettricità, mi hanno chiamato a ottobre, e ho detto di no, perché lavoro nell’area metropolitana e qui metà isola [era in blackout] ogni giorno,” ha confessato una paziente con cancro al seno.

Ritratto fotografico, 35mm, di un paziente oncologico portoricano seduto su un letto d'ospedale improvvisato in una struttura danneggiata dall'uragano Maria. Luce fioca proveniente da una finestra, espressione di stanchezza e preoccupazione ma con un accenno di resilienza. Duotone seppia e grigio per un effetto drammatico e storico. Profondità di campo.

Un altro macigno è stata l’interruzione della copertura sanitaria speciale che il governo fornisce ai pazienti con malattie complesse come il cancro. Questa copertura, che dovrebbe facilitare la gestione e il trattamento, inizia con la diagnosi e finisce dopo il completamento delle cure. Alcuni pazienti si sono visti togliere questa copertura subito dopo aver finito la chemioterapia, vedendosi così preclusi i servizi di follow-up. “Non ho ancora fatto la PET perché subito dopo [l’uragano] Maria avevo l’appuntamento, […] ho finito la chemioterapia, ma subito dopo, lo stesso giorno in cui mi è stata somministrata l’ultima chemioterapia, mi hanno tolto il servizio (copertura sanitaria) della catastrofica,” ha spiegato un paziente. Immaginate la frustrazione: dover pagare di tasca propria esami cruciali e non avere i soldi per farlo.

Tra Rinvii, Paure e una Fiducia Incrollabile

Le esperienze sono state diverse, ovviamente. C’è chi ha dovuto aspettare fino a gennaio 2018 per un intervento chirurgico, per poi ricominciare con la chemioterapia. Altri hanno avuto complicazioni cliniche che hanno allungato i tempi di trattamento, rese ancora più pesanti dall’impatto dell’uragano. “Nel bel mezzo dell’uragano, il mio corpo ha iniziato a diventare rosso, rosso, completamente rosso e non sapevo cosa fare…” ha raccontato un paziente, descrivendo una reazione avversa al dispositivo per la chemio, in un momento in cui l’assistenza era un miraggio.

Eppure, nonostante tutto questo, la stragrande maggioranza dei partecipanti ha scelto di non trasferirsi negli Stati Uniti per continuare le cure. Hanno espresso una forte fiducia nei loro oncologi e nel team medico portoricano. “Non mi sentivo a mio agio a dovermi spostare più lontano, disarticolare il team medico [già stabilito],” ha detto una paziente. Questo sentimento era profondamente radicato nella comprensione e nell’accettazione della magnitudo del disastro e del suo ruolo nei ritardi. “No, perché la mia chemio era ogni 3 settimane. Ogni 3 settimane facevo la mia chemio. Ci sono voluti alcuni giorni, ma dobbiamo capire che è stato a causa dell’uragano.” Parole che rivelano una resilienza e una capacità di comprensione davvero ammirevoli.

Lo Stress Quotidiano: Più Forte della Malattia Stessa

E qui arriviamo al nocciolo della questione, a quel “più stressante del cancro”. I partecipanti hanno identificato una miriade di fattori di stress legati all’uragano Maria. La mancanza prolungata di acqua ed elettricità è stata una delle preoccupazioni maggiori. File interminabili per la benzina per i generatori (per chi aveva la fortuna di averne uno). L’aumento dei prezzi di cibo e beni di prima necessità, aggravato dall’impossibilità di usare le carte del programma Food Stamp per la mancanza di comunicazioni. “Ho comprato un piccolo generatore elettrico, che ora costa 3 o 4 cento dollari, ma in quel momento (dopo l’uragano) abbiamo dovuto pagare 2 mila dollari, solo per usarlo per tenere acceso il frigorifero.”

Non avere elettricità o un generatore era ancora più difficile per chi doveva conservare farmaci al fresco, come l’insulina. Il caldo, le zanzare, descritti come un ambiente stressante, senza nemmeno un ventilatore. E poi, le faccende domestiche, che per un malato di cancro possono essere già pesanti in condizioni normali, figuriamoci in quel contesto. Procurarsi cibo e beni necessari per diete specifiche, preparare i pasti per la famiglia. La preparazione stessa all’uragano era stata carente per molti, concentrati com’erano sulla gestione della loro diagnosi.

Barlumi di Speranza e Resilienza Indomita

In mezzo a tanto buio, qualche spiraglio di luce c’è stato. Un ordine esecutivo del governo portoricano, il 28 settembre 2017, ha eliminato temporaneamente la necessità di pre-autorizzazioni e referti medici. Questo ha facilitato l’accesso ai servizi sanitari durante l’emergenza. “Quello [referral o pre-autorizzazioni] dovrebbe essere rimosso. Lasciatelo così, che non richieda (referral) perché devi ottenere un referral per andare a una colonscopia, dovevi cercare un referral per… e a volte non era facile, e con questo uragano, uno andava e non c’era problema,” ha commentato un paziente. Anche l’accesso alle prescrizioni è stato facilitato, con la possibilità di ottenere farmaci in anticipo.

E poi, c’è stata la resilienza. Una parola che emerge potente dalle loro narrazioni. La capacità di persistere, di adattarsi, di non mollare. Il supporto sociale, quando possibile, è stato fondamentale: una sorella con un generatore che conserva l’insulina, una figlia che accompagna alla chemio. “Sì, a settembre c’è stato l’uragano, ho fatto la terapia il giorno prima dell’uragano e a ottobre beh stavo di nuovo facendo la mia chemio. Perché sono persistente,” ha detto una paziente. Chapeau.

Macro fotografia, 100mm, di una flebo di chemioterapia appesa, con una finestra sullo sfondo che mostra un paesaggio tropicale battuto dalla pioggia e dal vento, simboleggiando l'interruzione delle cure durante un uragano. Illuminazione controllata e drammatica, alta definizione.

Cosa Abbiamo Imparato? Lezioni per il Futuro

Quando è stato chiesto ai partecipanti cosa fosse stato più stressante, la risposta è stata quasi unanime: non tanto il ritardo nel trattamento, quanto l’impatto dell’uragano sull’isola, vedere altre famiglie senza casa, la lotta quotidiana per le necessità basilari. “Direi che, comparativamente, la cosa più stressante per me, ma non ha niente a che fare con me, la cosa più stressante è stata l’impatto dell’uragano sull’isola e vedere altre famiglie senza casa…” E ancora: “No, perché ho avuto lunghe conversazioni con i medici. Ho solo detto, ‘un po’ più di attesa,’ perché con l’uragano, non c’era niente che potessi fare. Il ritardo nel trattamento non è stato stressante; sono stati l’uragano e le sue conseguenze.”

Queste testimonianze sono un pugno nello stomaco, ma anche un faro. Ci dicono che Porto Rico, e qualsiasi luogo vulnerabile a disastri simili, deve essere più preparato. Energia rinnovabile, cisterne e generatori nelle istituzioni sanitarie, piani di mitigazione, comitati collaborativi. E, importantissimo, informazione ed educazione specifiche per i pazienti oncologici su come prepararsi a un uragano.

Questo studio, pur con i suoi limiti (come il potenziale bias di ricordo, dato il tempo trascorso), offre spunti preziosissimi. Ci mostra le vulnerabilità sistemiche, le barriere logistiche e le sfide a livello individuale che impattano la continuità delle cure. È un appello accorato a includere i pazienti oncologici nei futuri piani di emergenza, per minimizzare i ritardi nelle cure e migliorare la resilienza dei sistemi sanitari. Perché nessuno dovrebbe mai sentire che un disastro naturale è “più stressante del cancro”.

Fonte: Springer

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