Immagine fotorealistica di un campus universitario giapponese moderno e diversificato al tramonto, con studenti di varie etnie che interagiscono pacificamente. Obiettivo grandangolare 24mm, luce calda e accogliente, messa a fuoco nitida.

Università Giapponesi: Internazionali o Solo ‘Più Bianche’? L’IA Svela la Realtà Nascosta nei Loro Siti Web

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi ha lasciato davvero a bocca aperta, un tema che tocca le corde dell’immagine che le università vogliono dare di sé nel mondo globalizzato. Avete presente quando un ateneo si vanta di essere “internazionale”, pieno di studenti da ogni angolo del pianeta? Beh, e se vi dicessi che a volte questa immagine potrebbe essere… un po’ ritoccata?

Mi sono imbattuto in uno studio affascinante che ha usato l’intelligenza artificiale (IA) per fare le pulci a un’enorme quantità di immagini sui siti web delle università giapponesi. Il titolo originale dello studio suona più o meno così: “Internazionalizzazione del Campus o Sbiancamento del Campus?”. Già il titolo fa drizzare le antenne, vero? L’idea di fondo è che forse, nel tentativo di apparire globali e prestigiose, alcune istituzioni, anche in paesi non occidentali come il Giappone, finiscano per dare una rappresentazione un po’ distorta della loro diversità, privilegiando l’immagine di persone bianche. Una sorta di “whitewashing” accademico, che potremmo chiamare “campus whitening” o “sbiancamento del campus”.

Ma come hanno fatto a scoprirlo? Qui entra in gioco la magia (e la potenza) dell’IA

Immaginatevi questo: i ricercatori hanno raccolto la bellezza di oltre 670.000 immagini da circa 1.000 siti web di università e college giapponesi, concentrandosi sulle pagine che parlano di internazionalizzazione, scambi culturali, studenti stranieri e via dicendo. Un lavoro immane se fatto a mano!

Ma ecco il colpo di genio: hanno usato un algoritmo di riconoscimento facciale basato sul deep learning (per i più tecnici, si chiama FairFace, addestrato su un dataset enorme e bilanciato) per analizzare ogni singolo volto presente in quelle foto. L’IA ha “etichettato” ogni volto indicando la probabilità che appartenesse a uno dei principali gruppi razziali/etnici (Bianco, Asiatico, Nero, Sud-Asiatico).

Certo, lo so cosa state pensando: “Ma l’IA è affidabile nel riconoscere l’etnia?”. Domanda legittima! Gli algoritmi non sono perfetti e possono avere bias. Per questo, i ricercatori hanno fatto un passo in più: hanno preso un campione di 1000 volti e li hanno fatti valutare da tre persone giapponesi, senza dire loro cosa aveva predetto l’IA. Hanno poi confrontato i risultati e usato queste informazioni per “pesare” i dati dell’algoritmo, rendendo l’analisi molto più robusta e consapevole dei limiti della tecnologia. Insomma, non si sono fidati ciecamente della macchina, ed è un approccio che apprezzo molto.

Immagine fotorealistica di un data center con server luminosi che processano dati complessi, rappresentando l'analisi AI di immagini. Obiettivo macro 85mm, alta definizione, illuminazione controllata blu e verde.

I risultati? Preparatevi, perché sono piuttosto scioccanti

Allora, cosa è emerso da questa montagna di dati analizzati dall’IA? Tenetevi forte:

  • Boom di volti bianchi: Le immagini di persone bianche costituivano circa l’8% del totale dei volti analizzati (dopo l’aggiustamento basato sulla validazione umana). Sembra poco? Beh, considerate questo: la percentuale reale di studenti iscritti in Giappone provenienti da Nord America ed Europa (le regioni a maggioranza bianca) è stimata intorno allo 0.25%! Avete letto bene. Le immagini sui siti web mostrano una presenza bianca circa 31 volte superiore alla realtà degli iscritti. Pazzesco, vero?
  • Persone nere e sud-asiatiche molto meno visibili: E gli altri gruppi? Le persone nere rappresentavano solo l’1.6% delle immagini, nonostante la loro presenza reale negli atenei sia più o meno paragonabile a quella dei bianchi (sempre molto bassa, intorno allo 0.1%). Ancora più sorprendente il dato sui sud-asiatici: pur essendo un gruppo significativamente più numeroso degli studenti bianchi nelle università giapponesi (dopo gli asiatici dell’est/sud-est), nelle immagini compaiono solo nel 3.1% dei casi, meno della metà rispetto ai bianchi.
  • Asiatici dominanti, ma…: Ovviamente, la stragrande maggioranza dei volti (circa l’81%) è stata classificata come asiatica, il che riflette la composizione demografica del Giappone e la provenienza della maggior parte degli studenti internazionali (principalmente da altri paesi asiatici). Tuttavia, lo studio non poteva distinguere tra studenti giapponesi e studenti internazionali asiatici, un limite importante.

In pratica, sembra proprio che le università giapponesi, nel comunicare la loro dimensione internazionale, tendano a sovrarappresentare in modo massiccio le persone bianche rispetto alla loro presenza effettiva e anche rispetto ad altri gruppi di studenti internazionali non asiatici.

Perché succede? È tutta colpa della competizione globale?

La prima ipotesi che viene in mente è: magari lo fanno le università più prestigiose, quelle che competono nei ranking mondiali, per apparire più “occidentali” e quindi, secondo una certa logica distorta, più “internazionali” e “di qualità”. Lo studio ha provato a verificare questa idea, controllando se le università presenti nei ranking globali (come il Times Higher Education) mostrassero una tendenza maggiore a questo “sbiancamento”.

Ebbene, i risultati sono stati… inconcludenti. Non è emersa una correlazione forte tra l’essere un’università “top” e il mostrare più volti bianchi rispetto ai neri. Questo suggerisce che il fenomeno del “campus whitening” potrebbe essere molto più diffuso e radicato, non limitato solo alle élite accademiche in competizione globale.

Foto realistica di un gruppo eterogeneo di studenti universitari internazionali che sorridono e interagiscono nel cortile di un campus giapponese moderno. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo, luce diurna naturale.

Allora quali potrebbero essere le altre ragioni? Forse c’entra la competizione per attrarre gli studenti giapponesi stessi, usando l’immagine “occidentale” come simbolo di prestigio? O forse riflette norme culturali più ampie presenti nella società giapponese, dove certi canoni estetici o associazioni culturali potrebbero influenzare le scelte di marketing? Come sottolineano altri studi citati nell’articolo, questa tendenza non è limitata all’educazione, ma si ritrova anche nella pubblicità o nell’arte in Giappone. È una questione complessa che merita sicuramente ulteriori indagini.

Le implicazioni: perché questa scoperta è importante (e non solo per il Giappone)

Questa ricerca solleva questioni davvero serie. Se le università, consapevolmente o meno, proiettano un’immagine che privilegia un gruppo etnico rispetto ad altri, che messaggio inviano?

  • Rischio di alienazione: Studenti internazionali neri, sud-asiatici o di altre etnie non bianche potrebbero sentirsi invisibili, meno rappresentati, persino alienati in un ambiente che sulla carta dovrebbe essere accogliente e inclusivo. Questo va contro gli obiettivi stessi dell’internazionalizzazione, che dovrebbero promuovere l’incontro e lo scambio tra culture diverse.
  • Contraddizione con le strategie nazionali: Il Giappone, come molti altri paesi, sta cercando attivamente di attrarre talenti da tutto il mondo, inclusa l’Africa e l’Asia meridionale. Ma se poi l’immagine promossa è così sbilanciata, non si rischia di minare questi sforzi diplomatici ed economici?
  • Un campanello d’allarme globale: Anche se lo studio si concentra sul Giappone, ci fa chiedere: quante altre università nel mondo, specialmente in contesti non occidentali, potrebbero adottare strategie simili? L’idea che “bianco = internazionale = prestigioso” è un retaggio difficile da sradicare e potrebbe essere più diffuso di quanto pensiamo.

Questo studio, secondo me, è brillante non solo per i risultati, ma anche per il metodo. Dimostra come l’IA e l’analisi di big data possano diventare strumenti potentissimi per la ricerca sociale e per portare alla luce dinamiche complesse e talvolta scomode nel campo dell’educazione (e non solo). Certo, l’IA va usata con cautela, consapevoli dei suoi limiti e dei potenziali bias, ma apre frontiere incredibili per capire meglio la nostra società.

Ritratto fotografico di uno studente internazionale non bianco che guarda pensieroso fuori da una finestra del campus, luce laterale drammatica. Obiettivo 50mm, bianco e nero, profondità di campo ridotta.

Insomma, la prossima volta che navigate sul sito di un’università che si professa super internazionale, magari date un’occhiata più critica alle foto. Chiedetevi: chi viene mostrato? Chi manca? L’immagine che vedete riflette una diversità autentica o una versione un po’ “filtrata” della realtà? Questo studio ci insegna che a volte, dietro una facciata scintillante di globalizzazione, possono nascondersi dinamiche di potere e preferenze culturali che meritano di essere discusse apertamente.

Fonte: Springer

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