Tweet di Pace: Come Twitter (ops, X!) ha Scritto un Capitolo del Processo di Pace Colombiano
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, uno di quelli che ti fa dire: “Ma dai, davvero?”. Parleremo di come uno strumento che molti di noi usano per condividere meme o l’ultima foto delle vacanze, Twitter (sì, lo so, ora si chiama X, ma per capirci userò il vecchio nome!), abbia potuto giocare un ruolo da protagonista in un evento storico di portata mondiale: il processo di pace in Colombia. Sembra quasi roba da film, eppure è tutto vero, o almeno, è quello che ci suggerisce uno studio super interessante che ho scovato.
Immaginate la scena: un paese, la Colombia, segnato da decenni di un conflitto armato sanguinoso, principalmente con le FARC. Anni di trattative, speranze, delusioni. E in questo calderone, i social media, e Twitter in particolare, che diventano una sorta di agorà digitale, un campo di battaglia e di confronto. Viene da chiedersi: ma questi tweet, alla fine, hanno contato qualcosa? Hanno spostato gli equilibri? Beh, qualcuno ha provato a dare una risposta.
La Lente d’Ingrandimento sui Tweet: Cosa Hanno Cercato i Ricercatori?
Dei ricercatori si sono armati di santa pazienza e hanno monitorato l’attività Twitter di 27 account chiave: politici, figure pubbliche, organizzazioni, tutti attivamente coinvolti nel dibattito sul processo di pace. Hanno usato un approccio misto, un po’ come mettere insieme i pezzi di un puzzle: da un lato, hanno analizzato il contenuto dei tweet, cercando di capire i temi, le emozioni espresse; dall’altro, hanno fatto analisi quantitative per vedere cosa rendesse un tweet più “virale”, cioè più ritwittato.
L’obiettivo? Capire quali fattori, legati sia al messaggio che al profilo di chi twittava, contribuissero alla diffusione delle idee. E ragazzi, i risultati sono stati piuttosto illuminanti, e per certi versi, anche un po’ prevedibili per chi bazzica i social.
L’Algoritmo della Discordia: Emozioni Negative e Polemiche Battono Tutti
E qui casca l’asino, o meglio, si svela l’arcano! Lo studio ha evidenziato che i tweet che facevano più “engagement”, quelli che venivano ritwittati a manetta, avevano delle caratteristiche ben precise. Tenetevi forte:
- Emozioni negative: Sì, avete capito bene. Rabbia, sdegno, paura… pare che questi sentimenti accendano la miccia della condivisione molto più di un messaggio pacato e costruttivo. Un tweet che esprimeva un’emozione negativa forte poteva vedere la sua diffusione aumentare addirittura del 100% rispetto a uno neutro! Anche le emozioni positive davano una spinta (circa il 50%), ma quelle negative erano le vere superstar.
- Argomenti controversi: Più il tema era “caldo” e divisivo, più il tweet viaggiava. Immaginatevi i dibattiti infuocati, le prese di posizione nette.
- Posizione di opposizione: E questa è una chicca. I profili che si mostravano apertamente contro il processo di pace tendevano ad avere una diffusione maggiore dei loro messaggi rispetto a chi lo sosteneva. Sembra quasi che la critica e il dissenso abbiano una marcia in più nel catturare l’attenzione e stimolare il retweet.
Non solo il contenuto, ma anche chi scriveva faceva la sua parte. Avere un alto numero di follower, ovviamente, aiutava tantissimo. Ma anche avere una posizione chiara e netta sul processo di pace, che fosse di supporto o di opposizione, sembrava influenzare la capacità di un profilo di far circolare i propri tweet.

Personale vs. Organizzativo: Chi Vince la Gara dei Retweet?
Una delle ipotesi che i ricercatori volevano testare era se i post pubblicati da profili personali di figure influenti avessero più eco di quelli pubblicati da organizzazioni. Istintivamente, verrebbe da pensare di sì, no? Il tocco umano, la personalità… E invece, sorpresa! Lo studio non ha trovato una differenza significativa. Che il tweet partisse da un politico “in carne e ossa” o da un’istituzione, la diffusione non cambiava in modo determinante. Forse perché, come notano gli stessi autori, su Twitter anche i profili organizzativi spesso adottano uno stile comunicativo molto personale, quasi mimando un account individuale.
La Forza del “Contro”: Perché il Dissenso Viaggia Più Veloce?
Questo è uno dei punti che mi ha fatto più riflettere. Il fatto che i post di chi si opponeva al processo di pace ottenessero maggiore diffusione è un dato potente. Ci dice molto su come funzionano le dinamiche dell’informazione e del dibattito online. Forse le voci critiche, quelle che mettono in discussione lo status quo o le narrazioni ufficiali, riescono a intercettare una fetta di pubblico più reattiva, più propensa a condividere per amplificare un messaggio che sentono “controcorrente” o che rispecchia le proprie preoccupazioni.
Pensiamoci: in un contesto politico così carico e polarizzato come quello di un processo di pace dopo decenni di conflitto, è quasi naturale che le posizioni più nette e talvolta più incendiarie trovino terreno fertile per diffondersi. Questo non significa che siano “migliori” o “più vere”, ma semplicemente che, per una serie di meccanismi psicologici e sociali, tendono ad avere una maggiore capacità di penetrazione nel tessuto dei social media.
Cosa Ci Portiamo a Casa da Questa Storia Colombiana?
Beh, innanzitutto la conferma che Twitter (e i social in generale) non sono solo un passatempo. Sono arene politiche a tutti gli effetti, dove si combattono battaglie di narrazioni, si cerca di influenzare l’opinione pubblica e, a volte, si contribuisce a scrivere pezzi di storia. Questo studio colombiano ci offre una finestra preziosa su queste dinamiche, specialmente in contesti di grande rilevanza politica e sociale in paesi in via di sviluppo.
Ci dice che chi comunica in politica, che siano governi, partiti, ONG o attivisti, deve fare i conti con la “natura” della piattaforma. Non basta esserci, bisogna capire come funziona. E, a quanto pare, far leva sulle emozioni (soprattutto quelle un po’ più “dark”) e cavalcare le controversie può essere una strategia efficace per farsi sentire. Certo, poi bisogna vedere se “farsi sentire” equivale a “costruire qualcosa di buono”, ma questa è un’altra storia.
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Lo studio, come ogni ricerca seria, riconosce i propri limiti: l’analisi si è concentrata su un periodo specifico e su un numero limitato di attori, per quanto significativi. Sarebbe interessante vedere se questi pattern si ripetono in altri contesti, con altri eventi cruciali.
Una cosa è certa, però: la comunicazione politica nell’era digitale è un campo in continua evoluzione, e capire le variabili che determinano la diffusione di un messaggio è più cruciale che mai. Questo studio ci ricorda che non è solo ciò che dici, ma come lo dici, chi sei (o chi sembri essere online) e quali corde emotive tocchi a fare la differenza. E in un mondo che cerca la pace, anche un tweet può avere il suo peso. Chissà, magari la prossima volta che scorrerete la vostra timeline, guarderete quei messaggi politici con un occhio un po’ diverso!
Fonte: Springer
