Tropi Modulo o Modificatore? Una Distinzione che Non Sta in Piedi
Ragazzi, parliamoci chiaro. Nel mondo affascinante e un po’ astruso della metafisica, ogni tanto salta fuori un’idea che prende piede, viene discussa, citata… ma che a guardar bene, forse, scricchiola un po’. Oggi voglio chiacchierare con voi proprio di una di queste idee: la famosa distinzione tra tropi “modulo” e tropi “modificatore”, proposta da Robert K. Garcia.
Magari ne avete sentito parlare, magari no, ma è diventata un argomento caldo. Secondo Garcia, questa distinzione dividerebbe le teorie dei tropi in due grandi famiglie, con conseguenze importanti su come pensiamo la realtà a livello fondamentale. Bello, no? Peccato che, e ve lo dico subito senza troppi giri di parole, secondo me questa distinzione fa acqua da tutte le parti. Si basa su presupposti che chi lavora seriamente con i tropi, be’, semplicemente rifiuta. E ora vi spiego perché, cercando di non farvi addormentare sulla tastiera!
Ma prima: Cosa Sono Davvero i Tropi?
Prima di tuffarci nella critica a Garcia, facciamo un passo indietro. Cosa diavolo sono questi “tropi”? Immaginate le proprietà delle cose: il rosso di una mela, la carica negativa di un elettrone, la forma sferica di una palla. Ecco, i tropi sono pensati come versioni particolari e individuali di queste proprietà. Non “il rosso” in generale (quello sarebbe un universale), ma questo specifico rosso, qui e ora, su questa mela. Non “la sfericità”, ma questa specifica sfericità di questa palla.
Sono considerati:
- Particolari: Non possono avere istanze multiple. Questo rosso è solo questo rosso.
- Individui: Sono entità contabili, come gli oggetti.
- Concreti: Solitamente si pensa che esistano nello spazio e nel tempo.
- Semplici: O non hanno parti, o tutte le loro parti sono a loro volta tropi.
La vera “magia” dei tropi, o almeno l’obiettivo ambizioso di chi li ha proposti (gente come D.C. Williams, un pioniere), è quella di provare a superare la vecchia e rigida divisione tra “oggetti” (sostanze) e “proprietà”. L’idea rivoluzionaria è che il mondo, alla sua base più fondamentale, potrebbe essere fatto solo di tropi. E gli oggetti? Semplice (si fa per dire!): un oggetto, come la nostra mela, sarebbe un “fascio” o un “complesso” di tropi diversi (il suo rosso, la sua forma, la sua massa, il suo sapore…) che se ne stanno tutti belli compatti nello stesso punto dello spaziotempo (tecnicamente, si dice che sono “esattamente co-localizzati”).
E il fatto che la mela abbia la proprietà “rosso”? Nelle teorie dei tropi più classiche, questo viene analizzato, non preso come un fatto primitivo. Ad esempio, nella teoria di Williams, dire che la mela è rossa significa che un tropo di rosso è parte della mela (intesa come fascio di tropi) ed è esattamente co-localizzato con essa. Vedete? La relazione fondamentale “oggetto-ha-proprietà” (chiamata “inerenza”) viene spiegata tramite relazioni più basilari come la parzialità e la co-locazione. Niente più misteriosa “colla” metafisica tra sostanza e attributo.
L’Idea di Garcia: Tropi Modulo vs. Modificatore
Ok, chiarito (spero!) cosa sono i tropi nelle intenzioni dei loro sostenitori, torniamo a Garcia. Lui arriva e dice: “Fermi tutti! Non tutti i tropi sono uguali. Dobbiamo distinguerli in base a come si relazionano al ‘carattere’ che dovrebbero fondare”. E tira fuori la sua coppia:
- Tropi Modificatore: Questi sarebbero proprietà particolari che non possiedono loro stesse la caratteristica che conferiscono all’oggetto. L’esempio classico è un tropo di “sfericità”: rende sferica una palla, ma il tropo in sé non è sferico. Garcia li pensa come una “particolarizzazione debole” di universali.
- Tropi Modulo: Questi, invece, sarebbero delle specie di “mini-oggetti” o “particolari-con-proprietà”. Loro possiedono la caratteristica che rappresentano. Un tropo modulo di “sfericità”, quindi, sarebbe esso stesso sferico. Garcia li vede come una “particolarizzazione forte”, quasi come oggetti con una sola proprietà.
Garcia sostiene che questa distinzione sia cruciale e che molti teorici dei tropi (come Williams o Campbell) sarebbero, forse senza saperlo, sostenitori dei tropi “modulo”.

Perché Questa Distinzione Non Funziona (per i Tropi Veri)
Ed eccoci al cuore del problema. Perché dico che questa distinzione, applicata alle teorie standard dei tropi, non sta in piedi? Semplice: perché si basa su concetti e presupposti che le teorie dei tropi cercano esplicitamente di eliminare!
Ricordate? Lo scopo principale è sbarazzarsi della dicotomia fondamentale oggetto-proprietà e della relazione primitiva di inerenza. Ma come definisce Garcia i suoi tropi modulo/modificatore? Proprio in base a se “ineriscono a sé stessi” (i modulo, che sono sferici) o se “fanno inerire” una proprietà a qualcos’altro senza averla (i modificatori). Sta reintroducendo dalla finestra proprio ciò che le teorie dei tropi volevano buttare fuori dalla porta!
I tropi, quelli veri alla Williams o Campbell, non sono fondamentalmente né proprietà (nel senso classico che ineriscono a un portatore) né oggetti (che potrebbero inerire a sé stessi). Sono membri di una categoria ontologica fondamentale a sé stante. Sono “nature particolari”. Il fatto che “funzionino” come proprietà di un oggetto è qualcosa di derivato, spiegato tramite parzialità e co-locazione (o altre relazioni, a seconda della teoria specifica).
Quindi, nessun tropo standard è un “tropo modulo” nel senso di Garcia (un oggetto che si auto-attribuisce una proprietà in modo primitivo). E nessun tropo standard è un “tropo modificatore” nel senso di Garcia (una proprietà particolare che inerisce primitivamente a un oggetto distinto da sé). La classificazione di Garcia semplicemente non cattura la natura dei tropi come intesi da chi li usa per rivoluzionare l’ontologia.
L’Argomento della “Creazione del Carattere” e l’Ambiguità Nascosta
Garcia insiste, usando anche argomenti basati sulla logica (la legge del terzo escluso: un tropo di carica negativa *è* o *non è* esso stesso carico negativamente?). Se rispondi sì, è modulo. Se rispondi no, è modificatore. Sembra inattaccabile, no?
Ma anche qui c’è un inghippo, legato a un uso un po’ ambiguo del termine “carattere”. C’è differenza tra:
- Avere una proprietà naturale (essere un oggetto carico negativamente).
- Essere una natura particolare (essere quel tropo specifico di carica negativa).
Un tropo di carica negativa, nella teoria standard, non è un oggetto carico negativamente (quindi, in questo senso, non ha quella proprietà naturale). Ma è la natura particolare “carica negativa”. Quindi, possiede un “carattere” nel senso che *è* quella determinata natura.
Garcia sembra confondere questi due livelli. Dal fatto che un tropo non possiede la proprietà naturale come un oggetto, conclude che debba essere un “modificatore” che “produce” un carattere a livello dell’oggetto che è assente a livello del tropo. Ma questo è fuorviante! Il carattere (la natura specifica, es. carica negativa) è presentissimo a livello del tropo (il tropo *è* quella natura!) e costituisce, insieme ad altri, il carattere complesso dell’oggetto. Non c’è nessuna “produzione” misteriosa di carattere assente; c’è una relazione costitutiva (parzialità, co-locazione…).

Mettiamo i Puntini sulle “i”: Cosa Fanno Davvero i Tropi
Quindi, niente tropi modulo o modificatore nel senso di Garcia. I tropi sono tropi: particolari nature concrete. E come spiegano che un oggetto abbia, ad esempio, sia una massa di 1kg sia una carica -e (quello che Garcia chiama “thick-character”, carattere spesso)?
Nella visione alla Williams, è semplice: l’oggetto è un fascio di tropi co-localizzati. C’è un tropo di massa 1kg che è parte dell’oggetto e co-localizzato. C’è un tropo di carica -e che è parte dello stesso oggetto e co-localizzato. L’oggetto ha entrambe le proprietà perché entrambi i tropi sono suoi costituenti diretti in quella posizione. Non serve invocare relazioni primitive di “grounding” o “character making” come fa Garcia.
Certo, ci sono poi state evoluzioni e variazioni della teoria dei tropi (teorie dei fasci con relazioni di compresenza, teorie che usano dipendenze esistenziali…), ma il punto fondamentale resta: l’obiettivo è analizzare l’avere proprietà in termini più basilari, non reintrodurre surrettiziamente l’inerenza primitiva con nuove etichette.
In Conclusione: Occhio alle Etichette Facili!
Insomma, amici miei, la distinzione tra tropi modulo e modificatore, per quanto possa sembrare un’utile mappa per navigare il mondo dei tropi, rischia di essere una mappa sbagliata. Ci porta fuori strada perché non rispetta le regole fondamentali del territorio che vorrebbe descrivere.
È fondamentale, quando si discute di queste teorie così radicali e revisioniste come quelle dei tropi, fare attenzione a non ricadere nelle vecchie categorie mentali (oggetto vs proprietà, inerenza primitiva). La sfida è proprio provare a pensare altrimenti. La distinzione di Garcia, purtroppo, sembra più un passo indietro che uno avanti in questa impresa.
Quindi, la prossima volta che sentite parlare di tropi modulo e modificatore, siate critici! Chiedetevi se chi ne parla sta davvero facendo i conti con la natura rivoluzionaria delle teorie dei tropi o se sta solo cercando di incasellare qualcosa di nuovo in vecchi schemi mentali.
Fonte: Springer
