Ernie Complesse: E se la Soluzione Fosse… Tirare Delicatamente? La Trazione Fasciale Intraoperatoria
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che, lo ammetto, mi affascina parecchio nel campo della chirurgia generale: la riparazione delle ernie addominali complesse. Sembra un tema super tecnico, vero? Eppure, riguarda tantissime persone e le tecniche per affrontarlo sono in continua evoluzione. Immaginate la parete addominale come un tessuto robusto che contiene tutto al suo posto. A volte, però, questo tessuto cede, creando un’ernia. Se poi l’ernia è grande, magari perché c’è già stato un intervento precedente non andato a buon fine, diventa “complessa”. Ripararla è una bella sfida.
Le Sfide della Ricostruzione Addominale
Quando ci troviamo di fronte a difetti della parete addominale importanti, diciamo con un’apertura di 10 cm o più (classificate come W3 secondo l’EHS – European Hernia Society), la faccenda si complica. Non basta “rattoppare” il buco, magari con una rete sintetica messa a ponte (tecnica “bridging”). La letteratura scientifica è chiara: queste soluzioni sono spesso inferiori dal punto di vista funzionale e portano con sé un rischio maggiore di complicazioni, come infezioni della rete. L’obiettivo ideale è una ricostruzione anatomica, riportando i tessuti al loro posto originale.
Per riuscirci, spesso dobbiamo “guadagnare spazio”, permettendo ai muscoli e alle fasce (le guaine che li rivestono) di riavvicinarsi. Qui entrano in gioco le tecniche di “separazione dei componenti” (Component Separation Techniques – CST). Esistono approcci anteriori e posteriori, come il famoso TAR (Transversus Abdominis Release), che prevede il rilascio del muscolo trasverso dell’addome. Ognuno ha i suoi pro e contro: le tecniche anteriori, anche se evolute per preservare la vascolarizzazione della pelle, possono avere più complicanze legate alla ferita (infezioni, sieromi – raccolte di liquido); il TAR sembra dare risultati migliori su questo fronte, ma non c’è ancora un consenso unanime su quale sia la tecnica superiore in assoluto. E non dimentichiamo l’approccio robotico, promettente ma non sempre disponibile o applicabile.
La Novità: Tirare con Intelligenza (IFT)
E se invece di “tagliare” per rilasciare, provassimo a “tirare” delicatamente? L’idea della trazione fasciale non è nuova (si usa da decenni in chirurgia pediatrica), ma applicarla in modo standardizzato e controllato agli adulti per le ernie complesse è una storia più recente. Dal 2021, in Europa è disponibile un dispositivo specifico, il fasciotens®hernia, che permette proprio questo: la Trazione Fasciale Intraoperatoria (IFT).
Come funziona? Immaginate di dover chiudere una giacca un po’ stretta. Invece di forzare la zip, applicate una tensione costante e graduale sui due lembi per un po’ di tempo, permettendo al tessuto di adattarsi. L’IFT fa qualcosa di simile: durante l’intervento, si applicano dei punti di sutura ai margini delle fasce muscolari (le guaine dei muscoli retti) e si collega tutto a un braccio meccanico fissato al tavolo operatorio. Questo braccio esercita una forza di trazione controllata (nello studio di cui vi parlo, tra i 14 e i 20 kg) per circa 30 minuti. L’obiettivo? Allungare le strutture miofasciali quel tanto che basta per permettere una chiusura della linea mediana (la “linea alba”) senza tensione, uno dei principi cardine della buona chirurgia erniaria.
Uno Sguardo Approfondito: Lo Studio Tedesco Multicentrico
Recentemente, è stato pubblicato uno studio molto interessante che ha seguito per un periodo significativo (in media quasi 20 mesi) 100 pazienti trattati con IFT in cinque centri erniari specializzati in Germania. Si tratta del primo studio con un follow-up a lungo termine per questa tecnica, e i risultati sono davvero incoraggianti.
Vediamo chi erano i pazienti: età media intorno ai 60 anni, un indice di massa corporea (BMI) medio di circa 31 kg/m² (quindi spesso sovrappeso o obesi), e difetti erniari importanti, con una larghezza media di quasi 16 cm. La maggior parte (87%) aveva ricevuto un trattamento preoperatorio con Tossina Botulinica A (BTA), una tecnica che aiuta a rilassare i muscoli laterali dell’addome per facilitare ulteriormente la chiusura.
Durante l’intervento, la procedura standard era la riparazione secondo Rives-Stoppa (RSR), che prevede il posizionamento di una rete di rinforzo nello spazio dietro ai muscoli retti (posizione “sublay” o “retrorectus”). L’IFT veniva utilizzata quando, dopo la preparazione RSR, non era possibile chiudere la fascia anteriore senza tensione. In alcuni casi (28%), è stato necessario aggiungere anche un TAR, principalmente per difetti laterali aggiuntivi, precedenti stomie o quando non era possibile chiudere bene lo strato posteriore.
Risultati Che Fanno Ben Sperare
E ora, i dati succosi!
- Tasso di Chiusura Fasciale: Impressionante! Nel 94% dei casi si è riusciti a chiudere completamente la fascia anteriore, ripristinando l’anatomia della linea mediana. E questo risultato non sembrava dipendere significativamente dall’uso preoperatorio di BTA o dalla necessità di aggiungere un TAR.
- Tasso di Recidiva: Bassissimo! Durante il follow-up (effettuato con visita clinica e un’ecografia dinamica standardizzata chiamata DAWUS), sono state riscontrate solo 2 recidive (il 2%). Un risultato eccellente, paragonabile o addirittura migliore di quelli riportati per tecniche più invasive come il TAR in alcune casistiche.
- Complicanze Postoperatorie (SSO): Qui il quadro è un po’ più sfumato. Il tasso generale di “Surgical Site Occurrence” (SSO), cioè eventi avversi legati al sito chirurgico, è stato del 33%. Sembra alto, ma bisogna guardare dentro questo numero: la maggioranza (54.5%) erano sieromi (raccolte di liquido sieroso), spesso piccoli e clinicamente poco rilevanti, individuati grazie ai controlli ecografici di routine. Le infezioni del sito chirurgico (SSI) sono state il 9%.
- IFT vs IFT+TAR: Questo è un punto cruciale. Confrontando i pazienti che hanno ricevuto solo IFT (+RSR) con quelli che hanno avuto anche il TAR, è emersa una differenza significativa: il gruppo con TAR ha avuto un tasso di SSO molto più alto (50% vs 26.4%) e anche più sieromi (32.1% vs 12.5%). Anche la necessità di re-intervenire per una complicanza è stata maggiore nel gruppo TAR. Questo suggerisce che, quando possibile, evitare il TAR e affidarsi all’IFT potrebbe ridurre la morbilità legata alla ferita.
Cosa Ci Portiamo a Casa?
Questo studio multicentrico tedesco ci offre i primi dati a lungo termine sull’IFT e sono decisamente promettenti. La tecnica sembra permettere di ottenere alti tassi di chiusura della parete addominale e bassissimi tassi di recidiva, anche in pazienti complessi con ernie voluminose. È uno strumento semplice da usare (i chirurghi dello studio si sono sentiti a loro agio dopo solo un paio di casi supervisionati) e potenzialmente meno invasivo rispetto a una separazione dei componenti estesa come il TAR, soprattutto in termini di complicanze della ferita.
Certo, non è la panacea per tutti i mali. Ogni paziente è un caso a sé e richiede un approccio “sartoriale”. L’algoritmo terapeutico per le ernie complesse dovrebbe considerare tutte le opzioni: BTA preoperatoria, preparazione Rives-Stoppa, l’uso di lembi peritoneali se necessario, l’IFT come strumento per facilitare la chiusura, e riservare le tecniche di separazione dei componenti (come il TAR) o il bridging solo quando strettamente necessario (ad esempio, per difetti laterali concomitanti o impossibilità di chiudere altrimenti).
Un altro punto interessante sollevato dallo studio riguarda le reti. Spesso si pensa che con il TAR sia necessario usare reti enormi per garantire la tenuta. Questo studio, insieme ad altre evidenze biomeccaniche, sembra suggerire che ripristinare l’integrità della linea mediana (cosa che l’IFT aiuta a fare) potrebbe essere più importante delle dimensioni della rete stessa, almeno nei casi senza difetti laterali. La rete usata nella stragrande maggioranza dei casi (DynaMesh®-CICAT) ha dimostrato buone proprietà biomeccaniche che potrebbero giustificare un overlap (sovrapposizione) non eccessivo.
Infine, un accenno alla qualità della vita (QoL). È stata misurata usando il questionario specifico HerQles. I punteggi postoperatori erano buoni (media 68.5 su 100), compatibili con quelli di altre casistiche, anche se mancano i dati preoperatori per valutare il miglioramento effettivo.
Prossimi Passi
Questo studio è un passo importante, ma la ricerca non si ferma. Serviranno follow-up ancora più lunghi per confermare i bassi tassi di recidiva nel tempo. Saranno fondamentali studi comparativi randomizzati che mettano a confronto diretto l’IFT con altre tecniche, come il TAR, per capire meglio vantaggi, svantaggi e indicazioni specifiche di ciascuna. Bisognerà anche validare ulteriormente l’ecografia dinamica (DAWUS) come strumento di follow-up affidabile, magari confrontandola con la TC o la RMN.
In conclusione, la trazione fasciale intraoperatoria (IFT) si sta affermando come un’opzione valida e molto interessante nell’arsenale del chirurgo che affronta le complesse sfide della ricostruzione della parete addominale. Sembra offrire un ottimo equilibrio tra efficacia (alta chiusura, bassa recidiva) e minore invasività rispetto ad altre tecniche, specialmente per quanto riguarda le complicanze della ferita. Un’evoluzione da tenere d’occhio!
Fonte: Springer