Illustrazione concettuale del trapianto di neuroni dopaminergici nel cervello umano per combattere il Parkinson, vista dettagliata con focus sulle cellule nervose all'interno dello striato, stile fotorealistico con illuminazione drammatica che evidenzia le connessioni sinaptiche, lente macro 85mm, alta definizione.

Parkinson: Il Sogno Infranto del Trapianto Fetale? Le Lezioni Cruciali dello Studio TransEuro

Amici lettori, oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, a tratti complesso ma pieno di speranza e lezioni importanti, nel mondo della ricerca sul Parkinson. Parliamo di una malattia neurodegenerativa che conosciamo bene, purtroppo, e della continua lotta per trovare terapie efficaci. Una delle strade più intriganti, per decenni, è stata quella del trapianto cellulare: l’idea, quasi fantascientifica ma logicamente potente, di rimpiazzare i neuroni dopaminergici persi nel cervello dei pazienti.

La Promessa e la Sfida del Trapianto di Tessuto Fetale

Sapete, il cuore del problema nel Parkinson è la perdita di quei neuroni nella substantia nigra che producono dopamina, un neurotrasmettitore fondamentale per il controllo del movimento. Le terapie farmacologiche, come la levodopa, funzionano bene all’inizio, mimando l’azione della dopamina, ma col tempo perdono efficacia e possono causare effetti collaterali pesanti, come le discinesie (movimenti involontari). Da qui nasce l’idea: perché non provare a sostituire direttamente le cellule mancanti?

L’approccio più esplorato, fin dagli anni ’80, è stato il trapianto di tessuto mesencefalico ventrale fetale umano (hfVM), prelevato dopo interruzioni volontarie di gravidanza. Questo tessuto contiene i precursori dei neuroni dopaminergici. I primi studi “in aperto” (dove tutti sapevano chi riceveva il trattamento) diedero risultati incoraggianti: alcuni pazienti mostrarono benefici clinici duraturi, con un ripristino quasi normale dei livelli di dopamina visibile alle scansioni PET e prove di sopravvivenza a lungo termine delle cellule trapiantate. Sembrava un sogno che si avverava.

Tuttavia, come spesso accade nella scienza, il percorso non è stato lineare. Studi successivi, più rigorosi, in doppio cieco e controllati con placebo (né i pazienti né i medici sapevano chi riceveva il trapianto vero o una procedura fittizia), non riuscirono a confermare questi benefici in modo consistente. Anzi, emersero effetti collaterali preoccupanti, in particolare le discinesie indotte dal trapianto (GIDs), a volte così gravi da richiedere interventi di stimolazione cerebrale profonda. Aggiungeteci qualche caso enigmatico (normalizzazione della dopamina alla PET senza miglioramento clinico) e la scoperta di patologia tipica del Parkinson (corpi di Lewy) in alcune cellule trapiantate dopo anni, e capirete perché molti iniziarono a dubitare della fattibilità di questa terapia.

TransEuro: Un Nuovo Capitolo (o Quasi?)

Nonostante le difficoltà, l’idea di base restava valida e alcuni pazienti avevano effettivamente avuto benefici straordinari. Così, nel 2010, con fondi dell’Unione Europea, è partito il progetto TransEuro. L’obiettivo? Capire se, ottimizzando l’approccio, si potesse rendere il trapianto di hfVM una strategia terapeutica concreta e affidabile per persone con Parkinson in stadio moderato.

Ci siamo posti domande cruciali:

  • È possibile ottenere abbastanza tessuto fetale in modo regolare per programmare i trapianti?
  • Possiamo ripristinare in modo consistente i livelli di dopamina nel putamen (un’area chiave del cervello colpita dal Parkinson) a livelli quasi normali?
  • Ci saranno differenze nei risultati tra centri diversi, magari legate alle tecniche chirurgiche?
  • Vedremo miglioramenti clinici importanti quando la dopamina viene ripristinata?
  • Possiamo evitare le fastidiose GIDs selezionando meglio i pazienti e usando una dissezione più precisa del tessuto per ridurre le cellule serotoninergiche (sospettate di contribuire alle GIDs)?

Neuroni dopaminergici danneggiati nel cervello di un paziente con Parkinson, immagine macro con lente da 90mm, alta definizione, illuminazione controllata per evidenziare la degenerazione cellulare.

Lo studio TransEuro era “in aperto”, coinvolgendo due centri chirurgici principali, Cambridge (Regno Unito) e Lund (Svezia). Abbiamo usato lo stesso protocollo per preparare il tessuto, ma, per ragioni regolatorie, dispositivi di impianto leggermente diversi. Tra il 2015 e il 2018, siamo riusciti a trapiantare solo 11 pazienti. Dieci hanno ricevuto trapianti bilaterali sequenziali (usando tessuto da tre feti per lato del cervello), mentre uno ha ricevuto un solo trapianto unilaterale. Tutti sono stati seguiti per 3 anni, con 12 mesi di immunosoppressione per evitare il rigetto. L’esito primario che cercavamo era un miglioramento nel punteggio motorio della scala UPDRS (la bibbia per valutare il Parkinson) misurato “in OFF”, cioè senza farmaci. Abbiamo anche confrontato i risultati con un gruppo di controllo di 16 pazienti dello studio osservazionale TransEuro, che non hanno ricevuto trapianti ma sono stati seguiti allo stesso modo.

I Risultati: Luci e Ombre sul Percorso

Ebbene, i risultati a 3 anni, guardando all’endpoint primario, non hanno mostrato un beneficio clinico evidente per il gruppo trapiantato nel suo complesso, né rispetto ai loro valori iniziali né rispetto al gruppo di controllo. Una doccia fredda? In parte sì, ma scavando più a fondo emergono sfumature importanti.

Le scansioni PET con [18F]FDOPA, che misurano l’attività dopaminergica, hanno mostrato un trend di miglioramento a 18 mesi in sette degli otto pazienti con dati completi. Tuttavia, solo un paziente ha raggiunto livelli di dopamina quasi normali nel putamen. Questo paziente, guarda caso, è stato anche quello con il miglioramento clinico più significativo. Questo suggerisce una correlazione tra la sopravvivenza delle cellule trapiantate e il beneficio clinico, ma l’efficacia generale nel ripristinare la dopamina è stata deludente.

Abbiamo notato anche differenze tra i due centri. I tre pazienti operati a Lund, usando il dispositivo chirurgico originale “Rehncrona-Legradi” (R-L), sembravano avere una risposta clinica leggermente migliore rispetto agli otto pazienti operati a Cambridge, dove si usavano copie modificate dello stesso strumento (TRN3 e TRN4). È difficile trarre conclusioni definitive con numeri così piccoli, ma fa pensare all’importanza critica del dispositivo di impianto o forse ad altre variabili come l’esperienza del chirurgo o lievi differenze nei pazienti selezionati (quelli di Lund erano forse in uno stadio leggermente meno avanzato).

E le GIDs? Non abbiamo visto casi gravi, ma tre pazienti (il 27%) hanno sviluppato discinesie lievi, non disabilitanti, nello stato “OFF”. Le analisi PET con [11C]DASB hanno mostrato un aumento dell’innervazione da serotonina nel putamen dei pazienti trapiantati, confermando il legame sospettato tra queste cellule “contaminanti” e le GIDs. Nonostante i tentativi di dissezione più precisa, non siamo riusciti a eliminarle completamente.

Ricercatore in laboratorio che esamina campioni di tessuto cerebrale fetale al microscopio, fotografia ritratto con lente prime da 35mm, profondità di campo ridotta per focalizzare sul ricercatore, toni duotone blu e grigio per un'atmosfera clinica.

Non tutto però è stato negativo. Guardando agli esiti secondari, i pazienti trapiantati hanno mostrato, a 36 mesi, una riduzione della dose equivalente di Levodopa necessaria e una diminuzione del tempo trascorso in stato “OFF” rispetto ai controlli. Piccoli segnali, forse, ma che suggeriscono un potenziale impatto positivo sulla traiettoria della malattia in alcuni individui, difficilmente spiegabile solo con l’effetto placebo, anche perché è emerso lentamente nel tempo.

Non possiamo ignorare gli eventi avversi. Ci sono stati due casi di emorragia intracerebrale post-operatoria (fortunatamente senza conseguenze neurologiche a lungo termine), problemi legati all’immunosoppressione in due pazienti (una colite e un sarcoma di Kaposi, entrambi risolti modificando la terapia) e, in un caso, un errore nel posizionamento dei trapianti. Sebbene nessun evento sia stato permanentemente disabilitante, il tasso di complicanze non è trascurabile.

Perché il Tessuto Fetale Non È la Risposta (e Cosa Abbiamo Imparato)

La conclusione principale dello studio TransEuro è piuttosto netta: nonostante gli sforzi per ottimizzare la procedura, il trapianto di tessuto fetale hfVM non è una strategia terapeutica clinicamente fattibile per il Parkinson su larga scala. I motivi sono chiari:

1. Scarsità e imprevedibilità del tessuto: È stato estremamente difficile ottenere tessuto fetale sufficiente e nei tempi giusti. Molti interventi programmati sono stati cancellati, limitando drasticamente il numero di partecipanti.
2. Variabilità intrinseca: Anche con protocolli standardizzati, l’età gestazionale dei donatori variava, così come potenzialmente la qualità del tessuto (influenzata forse dal tipo di interruzione di gravidanza o dal tempo di conservazione). Questo rende impossibile garantire una “dose” cellulare standard e controllarne la qualità prima del trapianto. Questa variabilità spiega probabilmente perché i risultati di TransEuro siano stati meno brillanti rispetto ad alcuni studi precedenti, dove forse, casualmente, si erano usate preparazioni cellulari migliori.
3. Efficacia limitata nel ripristino della dopamina: Nella maggior parte dei pazienti, il trapianto non è riuscito a riportare i livelli di dopamina a valori vicini alla normalità, condizione ritenuta necessaria per un beneficio clinico robusto.
4. Persistenza delle GIDs: Non siamo riusciti a eliminare il rischio di discinesie indotte dal trapianto, probabilmente a causa della contaminazione da cellule serotoninergiche impossibile da evitare con questo tipo di tessuto.
5. Importanza dei dettagli tecnici: Le differenze tra i centri suggeriscono che anche il dispositivo chirurgico e altri aspetti procedurali possono influenzare significativamente l’esito.

Scansione PET del cervello che mostra i livelli di dopamina, immagine wide-angle con lente da 20mm, colori vivaci per indicare l'attività neuronale, messa a fuoco nitida sulle aree del putamen.

Verso il Futuro: La Speranza nelle Cellule Staminali

Allora, tutto inutile? Assolutamente no! TransEuro, pur non raggiungendo l’obiettivo primario, ci ha fornito informazioni preziosissime. Ci ha mostrato i limiti invalicabili dell’approccio basato sul tessuto fetale e, per contrasto, ha illuminato la strada verso il futuro: le cellule staminali pluripotenti (umane).

Quando TransEuro è stato progettato (nel lontano 2008!), i protocolli per generare neuroni dopaminergici autentici da cellule staminali non erano ancora maturi. Oggi, invece, la ricerca ha fatto passi da gigante. Possiamo coltivare cellule staminali in laboratorio, differenziarle in precursori di neuroni dopaminergici in modo controllato, produrle in grandi quantità (“lotti”), standardizzarle e sottoporle a rigorosi controlli di qualità prima del trapianto. Questo supera i problemi principali del tessuto fetale: la scarsità, la variabilità e l’impossibilità di QC. Inoltre, si può mirare a produrre popolazioni cellulari pure, prive di contaminanti serotoninergici, riducendo potenzialmente il rischio di GIDs.

Le lezioni apprese da TransEuro sono fondamentali per i nuovi trial clinici con cellule staminali che stanno iniziando ora (come lo studio STEM-PD, a cui partecipano anche i centri di TransEuro). Sappiamo che servono:

  • Lunghi periodi di osservazione dei pazienti prima del trapianto.
  • L’uso di imaging PET per monitorare la sopravvivenza delle cellule e l’innervazione.
  • Gruppi di controllo “natural history” contemporanei.
  • Attenzione critica alla dose cellulare, al dispositivo di impianto e forse alla selezione di pazienti in stadi più precoci della malattia.
  • Monitoraggio attento degli eventi avversi.

Coltura di cellule staminali pluripotenti in una piastra di Petri, vista macro con lente da 100mm, alta definizione, illuminazione laterale per creare contrasto, focus preciso sulle colonie cellulari.

In conclusione, TransEuro è stato uno studio difficile ma incredibilmente formativo. Ha chiuso un capitolo, quello del trapianto fetale come terapia di routine per il Parkinson, ma ne ha aperto uno nuovo, molto più promettente, basato sulle cellule staminali. La strada è ancora lunga e richiederà rigore e cautela, ma grazie a studi come TransEuro, la affrontiamo con una consapevolezza e strumenti migliori. La speranza di una terapia rigenerativa per il Parkinson è più viva che mai, anche se ha cambiato volto.

Fonte: Springer

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