Visualizzazione concettuale del gene TP53 con evidenziati gli esoni e gli introni, e il processo di splicing in corso. Elementi grafici che simboleggiano varianti genetiche e il loro impatto. Macro lens, 90mm, high detail, precise focusing, illuminazione che mette in risalto la complessità molecolare.

TP53 Sotto la Lente: Svelati i Segreti dello Splicing e il Loro Impatto sul Cancro!

Amici della scienza, preparatevi per un viaggio affascinante nel cuore delle nostre cellule, alla scoperta di uno dei geni più studiati e cruciali per la nostra salute: il TP53. Molti lo conoscono come il “guardiano del genoma”, e a buona ragione! Ma cosa succede quando questo guardiano ha dei… piccoli intoppi nel suo manuale di istruzioni? Oggi vi racconto cosa abbiamo scoperto analizzando ben 161 diverse modifiche nella sequenza di TP53, concentrandoci su un processo fondamentale chiamato splicing.

Cos’è lo Splicing e Perché TP53 è Così Speciale?

Immaginate il DNA come un lunghissimo libro di ricette. Ogni ricetta (gene) ha delle parti utili (esoni) e delle parti che vanno scartate (introni). Lo splicing è come un abile chef che taglia via gli introni e cuce insieme gli esoni per creare l’RNA messaggero (mRNA) maturo, pronto per essere tradotto in una proteina. Un lavoro di precisione millimetrica! Se lo splicing va storto, la proteina prodotta può essere difettosa o non funzionante, con conseguenze a volte drammatiche.

Il gene TP53 è particolarmente interessante perché produce una proteina, la p53, che gioca un ruolo chiave nel prevenire la formazione dei tumori. Controlla la divisione cellulare, ripara il DNA danneggiato e, se il danno è troppo grave, induce la cellula al suicidio programmato (apoptosi). Capirete quindi quanto sia importante che lo splicing di TP53 funzioni alla perfezione. Alterazioni in questo processo sono associate a una maggiore suscettibilità al cancro, allo sviluppo e alla progressione tumorale.

La Nostra Indagine con i Minigeni: Un Laboratorio in Miniatura

Per studiare l’impatto delle varianti genetiche sullo splicing di TP53, abbiamo utilizzato una tecnica ingegnosa: i minigeni. In pratica, abbiamo costruito una versione “compatta” del gene TP53, inserendo gli esoni dal 2 al 9 (chiamato mgTP53_2-9) in un vettore speciale. Questo ci ha permesso di testare, in cellule coltivate in laboratorio (nello specifico, cellule di cancro al seno SKBR3), come diverse modifiche genetiche – sia delezioni di piccoli frammenti di DNA sia variazioni di singole “lettere” del codice genetico (SNV) – influenzassero il processo di splicing. Ci siamo concentrati in particolare sugli esoni 3 e 6 e sugli introni immediatamente successivi, perché sospettavamo fossero ricchi di elementi regolatori dello splicing (SRE).

Gli SRE sono sequenze brevi nel DNA che agiscono come segnali stradali per la macchina dello splicing, dicendole dove tagliare e cucire. Possono essere potenziatori (ESE/ISE) o silenziatori (ESS/ISS) dello splicing, a seconda che promuovano o inibiscano l’inclusione di un esone.

Delezioni e SNV: Non Tutte le Modifiche Sono Uguali

Una delle prime cose che abbiamo notato è stata la differenza di impatto tra le delezioni e le SNV. Le SNV che disturbavano gli SRE avevano generalmente un impatto debole sullo splicing, causando al massimo un 26% di “salto” dell’esone (exon skipping). Questo probabilmente perché ci sono molti SRE e la “macchina” dello splicing ha meccanismi di riserva.

Le delezioni, invece, soprattutto quelle che coinvolgevano più SRE contemporaneamente, avevano effetti molto più profondi. Per esempio, abbiamo identificato quattro intervalli ricchi di SRE (c.573_598, c.618_641, c.653_669 e c.672+14_672+36) la cui rimozione alterava significativamente lo splicing. Una delezione specifica, la c.655_670del, che si sovrapponeva a uno di questi intervalli e che era stata segnalata in ambito diagnostico, induceva la produzione di un trascritto anomalo, seppur mantenendo il corretto quadro di lettura per la proteina.

Un altro risultato eclatante ha riguardato l’introne 6. Questo introne contiene delle sequenze ricche di guanina (G-runs) che sembrano cruciali. La delezione di almeno quattro di queste G-runs portava a un’espressione del 100% di trascritti aberranti! Questo ci dice che queste sequenze sono fondamentali per il corretto riconoscimento dell’esone 6.

Un modello 3D altamente dettagliato del gene TP53, con esoni colorati diversamente e introni rappresentati come filamenti flessibili. Attorno, molecole stilizzate di fattori di splicing (RBPs) che interagiscono con specifiche sequenze SRE evidenziate. Macro lens, 100mm, illuminazione controllata per enfatizzare la complessità molecolare, high detail.

Abbiamo anche studiato l’esone 3, un “microesone” di soli 22 nucleotidi. Ci si aspetterebbe che esoni così piccoli necessitino di una regolazione molto precisa. Sorprendentemente, le SNV nell’esone 3 (al di fuori dei siti di splicing canonici) avevano un impatto minimo o nullo, tranne una, la c.82G>T, che causava un 10% di salto dell’esone 3. Sembra che l’esone 3 sia piuttosto robusto, forse grazie a siti di splicing accettore e donatore molto forti.

Questione di Spazio: La Distanza Conta!

Un altro aspetto intrigante emerso dalla nostra ricerca è il ruolo del cosiddetto “vincolo spaziale”. Nello splicing, è importante la distanza tra il sito donatore (alla fine di un esone) e un punto specifico nell’introne chiamato “branch point” (BP). Abbiamo osservato che se questa distanza, a seguito di delezioni nell’introne 3, diventava inferiore a circa 50 nucleotidi, lo splicing andava completamente in tilt. Al contrario, una distanza superiore a 75 nucleotidi sembrava garantire un basso rischio di anomalie. Questo conferma che non solo le sequenze specifiche, ma anche l’architettura tridimensionale dell’RNA e le distanze tra i vari elementi giocano un ruolo cruciale.

Per l’introne 3, abbiamo anche testato se le strutture G-quadruplex (particolari conformazioni del DNA/RNA ricche di guanine) fossero essenziali. Esperimenti precedenti avevano suggerito un loro ruolo. Tuttavia, nel nostro sistema, la delezione di queste strutture o addirittura la sostituzione dell’intero introne 3 con una sequenza diversa (dall’introne 21 del gene ATM, privo di G-runs) non ha indotto i problemi di splicing attesi (come la ritenzione dell’introne 2), suggerendo che, almeno nelle cellule SKBR3 e con il nostro costrutto, queste strutture potrebbero non essere indispensabili per lo splicing di questa regione.

Identikit dei “Registi” dello Splicing: Le Proteine RBP

Grazie a strumenti bioinformatici come DeepCLIP, abbiamo cercato di identificare quali proteine leganti l’RNA (RBP), o fattori di splicing, potessero essere coinvolte. Per l’esone 3, sembra che TRA2β giochi un ruolo, seppur minore. Per l’esone 6 e l’introne 6, la situazione è più complessa: proteine come SRSF9, SRSF10, TRA2α, hnRNP A1, hnRNP H2 e TIA1 sembrano essere attori chiave. Ad esempio, le varianti che abbiamo testato spesso alteravano i siti di legame per queste proteine. La perdita di legame di proteine “potenziatrici” o la creazione di siti per proteine “repressive” (come U2AF2, PTBP1) potrebbe spiegare gli effetti osservati sullo splicing.

In particolare, per l’introne 6, TIA1, che si lega subito a valle del debole sito donatore dell’esone 6, e le proteine hnRNP A1 e H2, che si legano alle G-runs, sembrano promuovere l’attività del sito donatore corretto e prevenire l’uso di siti donatori criptici (nascosti) all’interno dell’introne.

Visualizzazione artistica del processo di splicing dell'RNA all'interno di un nucleo cellulare. Filamenti di pre-mRNA vengono processati da complessi proteici (spliceosomi) che rimuovono gli introni (segmenti scuri) e uniscono gli esoni (segmenti luminosi). Macro, 60mm, high detail, precise focusing, illuminazione drammatica che evidenzia le interazioni molecolari.

Previsioni al Computer: Utili, Ma Non Infallibili

Ci siamo anche chiesti quanto fossero bravi gli strumenti computazionali a predire l’impatto sullo splicing delle varianti che abbiamo testato. Abbiamo usato SpliceAI, considerato uno dei migliori. SpliceAI è stato bravo a identificare le varianti con un impatto forte (quelle che causavano più del 20% di trascritti anomali), specialmente se si usava una soglia di punteggio ≥0.2. Tuttavia, ha avuto qualche difficoltà con varianti dall’effetto più lieve, generando sia falsi positivi che falsi negativi. Un altro strumento, HEXplorer, specifico per gli SRE, ha mostrato una buona sensibilità nel rilevare SNV che disturbano gli SRE, ma con un alto tasso di falsi positivi. Questo ci ricorda che, sebbene gli strumenti bioinformatici siano preziosissimi, la validazione sperimentale in laboratorio rimane fondamentale, soprattutto per le varianti di significato incerto.

Implicazioni Cliniche e Prospettive Future

Ma perché tutto questo è importante? I nostri risultati hanno diverse implicazioni. Innanzitutto, possono aiutare a classificare meglio le varianti genetiche di TP53 trovate nei pazienti. Ad esempio, una variante (c.655_670del) considerata patogenetica perché si pensava causasse uno sfasamento del codice di lettura, in realtà abbiamo dimostrato che altera lo splicing, portando alla perdita di 7 amminoacidi in un dominio clinicamente rilevante della proteina p53. Al contrario, una variante sinonima (c.96G>A) classificata come di significato incerto, non ha mostrato alcun impatto sullo splicing nel nostro saggio, suggerendo che potrebbe essere benigna.

Comprendere come le delezioni e le SNV, specialmente quelle al di fuori dei classici siti di splicing, possano alterare la funzione di TP53 è cruciale per identificare nuove varianti germinali che predispongono a sindromi ereditarie come quella di Li-Fraumeni, o varianti somatiche che contribuiscono allo sviluppo dei tumori. Abbiamo dimostrato che le delezioni introniche al di fuori dei siti di consenso possono avere conseguenze gravi e dovrebbero essere sempre considerate per saggi di splicing, indipendentemente dalle predizioni bioinformatiche, soprattutto se supportate da dati clinici.

Certo, il nostro studio ha utilizzato un sistema di minigene in una specifica linea cellulare (SKBR3), e anche se abbiamo verificato la riproducibilità in altre due linee cellulari (HeLa e U2OS), è possibile che in contesti cellulari diversi o in vivo le cose siano ancora più complesse. Ad esempio, non abbiamo potuto analizzare l’effetto sulla produzione di alcune isoforme specifiche di p53 generate da promotori interni al gene.

In conclusione, il nostro lavoro ha fornito dati di splicing per 27 delezioni e 134 SNV nel gene TP53, facendo luce sul ruolo degli SRE, dei vincoli spaziali e dei fattori di splicing. Abbiamo evidenziato come le G-runs nell’introne 6 siano fondamentali e come le delezioni che accorciano troppo la distanza tra donatore e branch point possano mandare in tilt lo splicing. C’è ancora tanto da scoprire, ma ogni passo avanti ci aiuta a capire meglio questo “guardiano” e a trovare nuove strategie contro il cancro. E questo, per noi ricercatori, è la sfida più affascinante!

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Fonte: Springer

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