Iodoforo: Quando il Disinfettante Diventa un Pericolo Nascosto in Sala Operatoria
Amici, parliamoci chiaro: quando pensiamo ai disinfettanti, immaginiamo subito degli alleati preziosi nella lotta contro batteri e infezioni. Lo iodoforo, ad esempio, è uno di quei prodotti che vediamo spessissimo in ambito medico: per preparare la pelle prima di un intervento, per trattare le ustioni, per disinfettare le mucose. Insomma, un vero cavallo di battaglia. Ma, come spesso accade, anche le cose più comuni possono nascondere insidie inaspettate. E oggi voglio raccontarvi una storia che ci ricorda proprio questo: un caso che ha dell’incredibile e che ci mette in guardia su un potenziale rischio legato all’uso dello iodoforo, specialmente in procedure un po’ particolari.
Un Disinfettante Comune, un Pericolo Inaspettato
Lo iodoforo, per chi non lo sapesse, è una soluzione disinfettante composta da iodio complessato con un surfattante. È super efficace contro batteri, funghi e persino alcuni virus. Per questo motivo, il suo impiego è diffusissimo: dalla preparazione della cute prima di un’operazione, alla disinfezione del sito di un’iniezione, fino all’utilizzo nel tratto genitourinario. Tuttavia, non è tutto oro quello che luccica. La letteratura scientifica, infatti, sta iniziando a documentare alcuni eventi avversi seri, come insufficienza renale acuta indotta da iodio, ipertiroidismo da iodio e, appunto, tossicità sistemica da iodio.
Quello che però mancava, fino a poco tempo fa, era la descrizione di un caso di tossicità da iodio in seguito all’irrigazione delle vescicole seminali durante una procedura chiamata vesiculoscopia seminale transuretrale (TUSV). Ed è proprio di questo che voglio parlarvi.
Un Intervento di Routine e l’Imprevisto: Il Caso Clinico
Immaginate un signore di 70 anni, con una storia di ematospermia (presenza di sangue nello sperma) resistente ai trattamenti da circa un anno. Viene programmato per una TUSV, un esame endoscopico che permette di visualizzare ed eventualmente trattare problemi all’interno delle vescicole seminali. A parte un eczema, la sua storia clinica era tranquilla, e gli esami preoperatori non mostravano anomalie significative.
L’anestesia combinata spinale-epidurale procede senza intoppi. I parametri vitali del paziente sono stabili. L’urologo inizia la procedura: identifica l’apertura dell’otricolo prostatico, vi entra e, guidato da un filo guida, penetra nella cavità della vescicola seminale. Tutto sembra filare liscio come l’olio. Fino a quando il chirurgo non decide di irrigare la vescicola seminale con 200 ml di soluzione di iodoforo diluita con soluzione fisiologica (in rapporto 1:1), il tutto nel giro di pochi minuti.
Pochissimi minuti dopo l’irrigazione, ecco il primo campanello d’allarme: ipotensione. Viene subito somministrata efedrina per risolvere il problema. Ma la situazione peggiora rapidamente: compaiono vomito, letargia e confusione. Un’emogasanalisi arteriosa (EGA) rivela un pH di 7.40, ma con un livello di lattato già a 6.1 mmol/L. Si inizia subito un’espansione volemica con soluzione fisiologica. Venti minuti dopo, un nuovo EGA mostra un quadro di acidosi lattica conclamata: pH 7.34, lattato a 8.2 mmol/L. Si somministra bicarbonato di sodio per contrastare l’acidosi.
Ma il paziente continua a peggiorare, con vomito improvviso e forte agitazione. A questo punto, viene trasferito d’urgenza in Terapia Intensiva (ICU).
Allarme Rosso in Terapia Intensiva
Appena arrivato in ICU, i risultati degli esami sono drammatici: l’EGA mostra un pH di 6.94, un livello di lattato superiore al massimo misurabile (oltre 20 mmol/L!), un eccesso di basi (BE) di -22.79 mmol/L e un gap anionico di 30.3 mmol/L. Gli esami del sangue rivelano anche un aumento della creatinina sierica (113.3 µmol/L), una funzione epatica compromessa (AST 226.8 U/L, ALT 118.5 U/L) e un livello di lattato deidrogenasi (LDH) di 633 U/L. Nel giro di poche ore, il paziente sviluppa un’acidosi lattica gravissima e un’insufficienza epatica e renale. Si rende necessaria l’intubazione e la ventilazione meccanica.
A tre ore dall’ammissione in ICU, si inizia la dialisi continua veno-venosa (CVVH) per correggere la severa acidosi lattica e l’insufficienza renale acuta. Fortunatamente, dopo 44 ore di terapia con CVVH, l’acidosi migliora significativamente (pH 7.37, lattato 2.5 mmol/L). La CVVH viene interrotta il sesto giorno e il paziente viene svezzato dal ventilatore il settimo giorno. Con le cure di supporto, le condizioni cliniche del paziente migliorano progressivamente, tanto da essere dimesso dall’ospedale il ventiduesimo giorno dopo il trasferimento in ICU. A sei mesi di follow-up, il paziente stava bene.
Ma Come è Possibile? Il Meccanismo d’Azione e le Implicazioni
Ripercorrendo l’accaduto, la causa più probabile di questo tracollo clinico è stata la tossicità da iodio dovuta a un massiccio assorbimento del disinfettante dal campo operatorio. Purtroppo, non sono stati eseguiti test specifici per misurare la concentrazione di iodio nel siero del paziente, ma il quadro clinico e la tempistica degli eventi erano fortemente suggestivi.
La vesiculoscopia seminale è una tecnica eccellente per diagnosticare e trattare le patologie delle vescicole seminali, ed è ampiamente utilizzata in andrologia per la sua efficacia e le scarse complicanze. Le vescicole seminali hanno una struttura interna simile a un nido d’ape. Durante la procedura, se si osserva sanguinamento, è necessario irrigare abbondantemente fino a quando il campo non è pulito. Le soluzioni di irrigazione comunemente usate includono antibiotici, soluzione fisiologica e, appunto, soluzioni di iodoforo.
Nonostante l’ampio uso dello iodoforo, l’assorbimento sistemico dello iodio può portare a reazioni avverse gravi, persino fatali. Il nostro paziente ha manifestato i sintomi classici: ipotensione transitoria, vomito, confusione e un’acidosi lattica estremamente severa. Esistono altri casi in letteratura di tossicità da iodio dovuta a irrigazione con iodoforo, ma nessuno di questi era avvenuto durante una vesiculoscopia seminale transuretrale.
Il meccanismo preciso con cui l’assorbimento di iodio causi acidosi non è del tutto chiarito. Sono state proposte alcune ipotesi:
- Lo iodio libero si lega al bicarbonato, causandone il consumo.
- Il pH molto diverso dello iodoforo rispetto a quello del corpo umano provoca acidosi.
- L’escrezione acida da parte dei reni è compromessa a causa della tossicità dello iodio.
Altri studi suggeriscono che l’acidosi lattica rifletta un effetto tossico dello iodio/ioduro che interferisce con la produzione di ATP attraverso il metabolismo ossidativo.
L’assorbimento dello iodio dipende dal sito e dall’area di applicazione: l’assorbimento attraverso le mucose è elevato, così come attraverso le ferite. Durante la vesiculoscopia, è necessario irrigare ripetutamente per rimuovere materiale infiammatorio. Sebbene non ci sia un’apertura sinusale per un assorbimento diretto, la procedura può causare sanguinamento e danneggiare il passaggio seminale. Inoltre, lo spazio operativo nelle vescicole seminali è limitato e chiuso, e la loro struttura a nido d’ape, con molteplici piccole cavità irregolari, può favorire l’assorbimento di una maggiore quantità di soluzione di lavaggio.
Quando lo iodoforo viene assorbito in grandi quantità, può portare a un’acidosi metabolica refrattaria con gap anionico elevato e acidosi lattica, a causa dell’alta concentrazione sierica di iodio. L’acidosi lattica di tipo B2 è associata all’uso di farmaci o tossine, e questo sembra essere il caso del nostro paziente.
Cosa Impariamo da Questo Caso?
Questo caso clinico, amici, è un vero e proprio monito. Anche se non sono stati misurati i livelli di iodio, la combinazione dei sintomi (ipotensione, nausea, vomito, confusione, acidosi metabolica più grave del previsto, ipernatriemia, disfunzione epatica, insufficienza renale e anomalie tiroidee) dopo la somministrazione di iodoforo dovrebbe far scattare un campanello d’allarme e portare alla sua immediata sospensione. Alcuni autori suggeriscono che un aumento della concentrazione di iodio nelle urine e la presenza di cilindri pigmentati nei tubuli renali (visibili con una biopsia renale) possano essere utili per la diagnosi.
Le limitazioni di questo studio includono, come detto, la mancata misurazione dello iodio sierico. Tuttavia, la presentazione clinica e la tempistica sono state decisive per l’inferenza diagnostica. In futuro, per pazienti che mostrano anomalie metaboliche inspiegabili o disfunzioni d’organo dopo l’uso di iodofori, un test dello iodio sierico dovrebbe essere considerato.
Un Monito per il Futuro: Precauzioni e Trattamento
Questo caso sottolinea che eventi avversi gravi possono essere collegati all’uso interno di iodoforo. Pertanto, è necessaria estrema cautela quando si utilizza una soluzione di iodoforo per irrigare le vescicole seminali, poiché un assorbimento eccessivo di iodio può portare a livelli sierici tossici e a tossicità sistemica.
Cosa fare, quindi? I medici dovrebbero considerare di:
- Diminuire l’altezza dell’irrigazione.
- Ridurre la velocità di irrigazione.
- Utilizzare un lavaggio a bassa pressione per rimuovere eventuali coaguli dalle vescicole seminali durante la TUSV.
Inoltre, l’inizio tempestivo della CVVH in presenza di acidosi lattica indotta da iodoforo può migliorare la clearance delle concentrazioni sieriche di iodio, mitigando potenzialmente il danno progressivo e le complicanze associate.
Insomma, una storia a lieto fine, ma che ci insegna tantissimo sull’importanza della vigilanza e sulla necessità di non dare mai nulla per scontato, nemmeno l’uso di un “semplice” disinfettante.
Fonte: Springer