Topi ‘Resistenti’ al Fentanyl? Una Scoperta Inaspettata nel Cervello Accende Nuove Speranze
Ciao a tutti! Oggi voglio raccontarvi una storia affascinante che arriva direttamente dai laboratori di ricerca, una di quelle scoperte quasi casuali che però aprono porte incredibili sulla comprensione di meccanismi complessi come la dipendenza da oppioidi, in particolare dal temutissimo fentanyl. Come sapete, il fentanyl è un oppioide sintetico potentissimo che sta causando una vera e propria epidemia, con decine di migliaia di morti per overdose ogni anno. Capire come agisce sul cervello è fondamentale, ma, credetemi, è un puzzle complicatissimo.
Noi ricercatori usiamo spesso modelli animali, come i topi, per studiare queste dinamiche. In particolare, ci concentriamo su un’area del cervello chiamata Nucleus Accumbens (NAc), una sorta di “centro di controllo” per la ricompensa, il piacere e, purtroppo, anche per la dipendenza. All’interno del NAc ci sono diversi tipi di neuroni, ma due attori principali sono quelli che esprimono i recettori per la dopamina di tipo 1 (li chiameremo neuroni D1-MSN) e quelli che esprimono i recettori di tipo 2 (D2-MSN). Si pensa che i D1-MSN siano più legati alla promozione della ricompensa e del comportamento di ricerca della droga.
Il Mistero dei Topi Drd1-cre
Per studiare specificamente il ruolo dei neuroni D1-MSN nella dipendenza da fentanyl, abbiamo utilizzato una linea particolare di topi geneticamente modificati, chiamati Drd1-cre120Mxu. Questi topi sono “progettati” in modo che possiamo attivare o disattivare geni specificamente nei neuroni D1. L’idea era vedere come la manipolazione di questi neuroni influenzasse la ricerca compulsiva di fentanyl (il “craving”) dopo un periodo di autosomministrazione.
E qui arriva la sorpresa, il colpo di scena! Ci aspettavamo magari risposte accentuate o diminuite a seconda delle nostre manipolazioni, ma abbiamo scoperto qualcosa di ancora più strano *prima* ancora di iniziare a manipolarli. Questi topi Drd1-cre, pur imparando ad autosomministrarsi fentanyl per via endovenosa in modo del tutto simile ai topi normali (wildtype), mostravano una ricerca di fentanyl significativamente ridotta quando la droga non era più disponibile (in gergo tecnico, durante i test di “seeking” in estinzione). Era come se, pur apprezzando l’effetto iniziale della sostanza, non sviluppassero quella spinta compulsiva a cercarla di nuovo tipica della dipendenza.
Abbiamo fatto altre prove: questi topi mostravano anche una preferenza ridotta per l’ambiente associato al fentanyl (un test chiamato “conditioned place preference” o CPP), anche se, paradossalmente, il fentanyl li rendeva *più* attivi fisicamente (iperlocomozione) rispetto ai topi normali. Per essere sicuri che non fosse un problema generale con le ricompense, li abbiamo testati con lo zucchero (saccarosio). Risultato? Nessuna differenza! Si autosomministravano e cercavano lo zucchero esattamente come i topi normali. Quindi, il fenomeno sembrava specifico per le droghe d’abuso (abbiamo visto una ridotta assunzione e ricerca anche per la cocaina in dati precedenti).

Cosa C’è di Diverso nel Loro Cervello?
A questo punto la domanda era ovvia: cosa rende questi topi Drd1-cre così particolari? Siamo andati a vedere l’espressione dei geni nel loro Nucleus Accumbens, ancora prima che incontrassero il fentanyl (in topi “naïve”). E voilà: abbiamo trovato livelli più alti del gene Drd1 (quello che codifica per il recettore D1) rispetto ai topi normali. Non era un aumento del numero di neuroni D1, ma proprio un’espressione più elevata del gene in quei neuroni. Abbiamo anche notato un’alterazione in un altro marcatore dei D1-MSN (Chrm4) nei maschi.
Questa maggiore espressione del recettore D1 si traduceva in una maggiore sensibilità? Abbiamo testato somministrando un farmaco che attiva specificamente i recettori D1 (l’agonista SKF-38393). Bingo! I topi Drd1-cre hanno mostrato una risposta comportamentale (locomozione potenziata, movimenti stereotipati come saltelli) significativamente maggiore rispetto ai topi normali, suggerendo proprio una sensibilità aumentata a livello di questi recettori. È interessante notare, però, che in un ambiente nuovo, senza farmaci, questi topi erano *meno* attivi dei normali, un po’ come se fossero più “cauti” o avessero un’attività motoria di base differente.
Il Fentanyl Cambia le Carte in Tavola (Ma Diversamente)
Ok, questi topi sono diversi già in partenza. Ma cosa succede dopo l’esposizione al fentanyl e un periodo di astinenza (14 giorni nel nostro caso)? Le differenze si accentuano o cambiano? Siamo andati a rivedere l’espressione genica nel NAc dei topi che avevano avuto accesso al fentanyl.
I risultati sono stati pazzeschi! Nei topi Drd1-cre, l’espressione del gene Drd1 rimaneva elevata, mentre nei topi normali, dopo l’esperienza con il fentanyl, tendeva a diminuire. Ma non solo: sono emerse tantissime altre differenze che non c’erano nei topi naïve. Ad esempio:
- Il gene Tac1 (che produce la Sostanza P, un neuropeptide importante nella dipendenza) era diminuito nei Drd1-cre dopo fentanyl, mentre nei normali aumentava.
- Il gene Penk (che produce le encefaline, oppioidi endogeni) era anch’esso diminuito nei Drd1-cre, mentre aumentava nettamente nei normali.
- Altri geni legati ai neuroni D2-MSN (Adora2a, Gpr6) mostravano un aumento nei Drd1-cre dopo fentanyl.
- Anche l’espressione dei recettori per gli oppioidi era diversa: i Drd1-cre mostravano una minore riduzione di Oprm1 (recettore mu, il bersaglio principale del fentanyl) e Oprl1, e addirittura un aumento di Oprd1 (recettore delta).
- Infine, geni cruciali per la plasticità cerebrale e la comunicazione tra neuroni, come Ntrk2 (recettore TrkB per il BDNF) e i geni per le subunità del recettore NMDA (Grin2a, Grin2b), mostravano una forte riduzione nei topi normali dopo fentanyl (come ci si aspetta), ma questa riduzione era quasi assente o molto attenuata nei topi Drd1-cre!

Queste differenze nell’espressione genica dopo l’esperienza con il fentanyl sono davvero notevoli e suggeriscono che il cervello di questi topi Drd1-cre reagisce all’astinenza in modo completamente diverso, forse preservando meccanismi di plasticità che nei topi normali vengono alterati e che contribuiscono al craving.
Manipolare il Cervello: Conferme e Sorprese
Per capire se questa alterata funzione dei neuroni D1 fosse direttamente la causa della ridotta ricerca di fentanyl, abbiamo provato a “correggere” o esacerbare il fenomeno usando la chemogenetica. Si tratta di una tecnica fichissima che ci permette di attivare (stimolare) o inibire specifici neuroni usando un farmaco innocuo (nel nostro caso, il DCZ) che agisce solo su recettori artificiali (chiamati DREADDs) che abbiamo fatto esprimere selettivamente nei neuroni D1-MSN del NAc.
Nei topi Drd1-cre, né l’attivazione né l’inibizione dei loro neuroni D1-MSN ha cambiato significativamente il loro (già basso) comportamento di ricerca del fentanyl. Questo potrebbe essere dovuto a un “effetto pavimento”: la loro ricerca è già così bassa che è difficile ridurla ulteriormente, e forse l’inibizione non è sufficiente a superare tutti gli altri cambiamenti molecolari che abbiamo visto.
Ma la vera conferma è arrivata facendo l’esperimento inverso sui topi normali (wildtype). Abbiamo usato una strategia per attivare specificamente i neuroni D1-MSN del NAc che proiettano a un’altra area chiave, il mesencefalo ventrale. Ebbene, l’attivazione di questi neuroni nei topi normali ha ridotto significativamente la loro ricerca di fentanyl, rendendoli simili ai topi Drd1-cre! Questo è un risultato potentissimo: suggerisce che un’attività “anomala” o forse iperattiva dei neuroni D1-MSN (o di un loro specifico circuito) potrebbe effettivamente contrastare il craving da fentanyl. È un po’ controintuitivo rispetto al ruolo classico “pro-ricompensa” dei D1, ma dimostra quanto siano complessi questi circuiti. Potrebbe dipendere da dove proiettano questi neuroni e dagli effetti a cascata che innescano (ad esempio, influenzando l’inibizione nel Globo Pallido ventrale).
Cosa Significa Tutto Questo?
Questa ricerca, nata quasi per caso da un’osservazione inaspettata su una linea di topi che usiamo comunemente, ci dice tante cose. Primo, ci ricorda quanto sia importante caratterizzare a fondo i modelli animali che utilizziamo, perché possono avere peculiarità inattese. Secondo, e più importante, ci mostra che la via dei neuroni D1 nel NAc è ancora più complessa di quanto pensassimo riguardo alla dipendenza da fentanyl.
L’avere topi che, pur assumendo fentanyl, mostrano una ridotta tendenza a ricaderci, è estremamente interessante. Questi topi Drd1-cre120Mxu potrebbero rappresentare un modello di resilienza alla dipendenza, o almeno a una delle sue componenti chiave (il craving). Le differenze genetiche che abbiamo osservato (Drd1, Tac1, Penk, Ntrk2, Grin2b…) nel NAc di questi topi, sia a riposo che dopo l’esposizione al fentanyl, diventano potenziali bersagli molecolari da esplorare. Potrebbero essere la chiave per capire perché alcune persone sono più vulnerabili alla dipendenza mentre altre sembrano più protette? Potrebbero ispirare nuove strategie terapeutiche?
È come se il cervello di questi topi mantenesse un equilibrio diverso, forse preservando una certa plasticità o attivando circuiti “protettivi” che normalmente vengono sopraffatti dalla droga. L’idea che un’eccessiva attivazione dei D1-MSN possa *ridurre* il craving, come suggerito dall’esperimento sui topi wildtype, è particolarmente intrigante e merita ulteriori indagini.
Insomma, questa scoperta “serendipitosa” ci ha fornito nuovi indizi preziosi sulla neurobiologia della dipendenza da fentanyl e ha aperto nuove strade di ricerca. Chissà che studiando questi topi “resistenti” non si possa un giorno trovare un modo per aiutare chi lotta contro questa terribile dipendenza. Il viaggio nella comprensione del cervello è pieno di sorprese, ed è proprio questo a renderlo così affascinante!
Fonte: Springer
