Macro lens, 60-105mm, high detail, precise focusing, controlled lighting. Un'immagine ravvicinata e altamente dettagliata di colonie batteriche di Thomasclavelia ramosa in una piastra di Petri, con uno sfondo sfocato che suggerisce una struttura di cellule epatiche o molecole di alcol, a simboleggiare il legame tra il batterio e il cancro al fegato alcol-correlato.

Un Batterio Sospetto nel Fegato: Thomasclavelia ramosa e il Cancro Alcol-Correlato

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di una scoperta che, secondo me, potrebbe aprire scenari davvero interessanti nella lotta contro una brutta bestia: il carcinoma epatocellulare (HCC), soprattutto quello legato all’abuso di alcol. Sapete, il fegato è un organo incredibile, ma l’alcol può metterlo a dura prova, portando a malattie come la malattia epatica alcolica (ALD) che, a sua volta, aumenta il rischio di cancro. Ma c’è di più, e la risposta potrebbe nascondersi… nel nostro intestino!

Il Mistero del Microbiota Intestinale e il Fegato

Da tempo sospettiamo che ci sia un filo diretto tra l’intestino e il fegato, quello che chiamiamo “asse intestino-fegato”. E i protagonisti di questo dialogo sono miliardi di microrganismi che popolano il nostro intestino: il famoso microbiota intestinale. Quando questo equilibrio si altera (parliamo di disbiosi), possono iniziare i problemi. Pensate che anche dopo aver smesso di bere, il rischio di sviluppare problemi al fegato può persistere per anni. Come mai? Forse proprio a causa di una disbiosi intestinale “testarda” che continua a fare danni.

Studi precedenti avevano già suggerito che il microbiota di chi soffre di dipendenza da alcol o di ALD è diverso da quello delle persone sane. Ma nessuno, prima d’ora, aveva usato una tecnica super affascinante chiamata culturomica microbica per studiare la disbiosi in pazienti con ALD e HCC alcol-correlato. Perché è importante? Perché la culturomica ci permette non solo di identificare i batteri presenti, ma anche di coltivarli, di vederli “vivi e vegeti” e di studiare ceppi specifici che potrebbero essere i veri “cattivi” della storia.

La Nostra Indagine: Culturomica e Sequenziamento a Confronto

Così, ci siamo messi al lavoro! Abbiamo coinvolto 59 persone: 16 con ALD senza cancro (ALD-NoHCC), 19 con ALD e cancro al fegato (ALD-HCC) e 24 persone sane come gruppo di controllo. Abbiamo analizzato campioni fecali di tutti i partecipanti usando due armi potenti: il sequenziamento dell’RNA ribosomiale 16S (una specie di “codice a barre” per identificare i batteri) e, per un sottogruppo selezionato, la culturomica microbica.

La culturomica è un lavoraccio, ve lo assicuro! Richiede circa 6 settimane per campione, ma ne vale la pena perché è l’unico modo per essere certi che i microbi che troviamo siano vitali e attivi. Abbiamo isolato e identificato ben 32.088 colonie batteriche! Un vero e proprio “zoo” microscopico.

E il Vincitore (o meglio, il Sospettato Numero Uno) è…

I risultati sono stati sorprendenti. Grazie alla culturomica, un batterio in particolare ha attirato la nostra attenzione: Thomasclavelia ramosa. Pensate, lo abbiamo trovato nel 100% dei campioni dei pazienti con ALD (sia con che senza cancro), ma solo nel 20% dei controlli sani! Una differenza enorme. Anche il sequenziamento del 16S ha confermato questo dato, mostrando un aumento significativo di T. ramosa nel gruppo ALD-HCC rispetto ai controlli.

Ma non è tutto. Il sequenziamento ha anche evidenziato che un altro batterio, Gemmiger formicilis, era aumentato nel gruppo ALD-HCC, mentre Mediterraneibacter gnavus (precedentemente noto come Ruminococcus gnavus) era più abbondante nei pazienti con ALD ma senza cancro. È interessante notare che la culturomica ha anche pescato un altro batterio arricchito nei pazienti ALD, Enterocloster bolteae, un “vecchio amico” che avevamo già trovato in altre malattie epatiche. Questa volta, però, il sequenziamento 16S non l’aveva notato, a riprova di come i due metodi siano complementari.

Macro lens, 60mm, high detail, precise focusing, controlled lighting. Un'immagine concettuale che rappresenta l'asse intestino-fegato, con una stilizzazione di batteri che viaggiano da un intestino astratto a un fegato, con sottili accenni all'influenza dell'alcol sullo sfondo.

Insomma, Thomasclavelia ramosa è emerso come il candidato più forte, identificato da entrambe le tecniche e specificamente associato al gruppo con cancro al fegato (ALD-HCC). Questo batterio non è un nome nuovo nel mondo della ricerca. È un patogeno umano noto per causare infezioni anche gravi e, più di recente, è stato collegato al cancro del colon-retto e, udite udite, anche all’HCC in uno studio cinese del 2023!

Perché T. ramosa Potrebbe Essere un “Oncobionte”?

Cosa rende T. ramosa così sospetto? Studi recenti hanno dimostrato che questo batterio possiede proprietà genotossiche, cioè è in grado di danneggiare il DNA delle nostre cellule. E non solo: in modelli animali, ha dimostrato di promuovere la crescita tumorale. A differenza di altri batteri genotossici come alcuni ceppi di Escherichia coli (che producono una tossina chiamata colibactina), il meccanismo d’azione di T. ramosa è ancora in parte misterioso, ma sappiamo che danneggia il DNA attraverso vie indipendenti dalla colibactina e da altre tossine note come le indolimine (prodotte ad esempio da Morganella morganii).

È affascinante notare come T. ramosa e Gemmiger formicilis (l’altro batterio che il sequenziamento ha associato all’HCC nel nostro studio) siano stati trovati arricchiti anche nelle malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD), condizioni che, guarda caso, aumentano il rischio di cancro al colon. Questa coerenza con altri studi rafforza i nostri risultati.

Limiti e Punti di Forza del Nostro Studio

Certo, il nostro studio ha dei limiti, come il numero relativamente piccolo di partecipanti. Tuttavia, la “firma” di T. ramosa è emersa in modo così netto (con un punteggio statistico chiamato LDA score molto alto) che suggerisce una differenza davvero grande tra i gruppi, il che è un punto a favore della forza dell’associazione. Inoltre, la coerenza con studi precedenti e la plausibilità biologica (le sue proprietà genotossiche) sono altri mattoncini che costruiscono un caso solido.

La vera forza, a mio avviso, sta nell’aver usato la culturomica. Questa tecnica ci ha permesso di dire con certezza: “Sì, T. ramosa non solo c’è, ma è vivo e vegeto nell’intestino di questi pazienti”. E questo fa una bella differenza rispetto al solo sequenziamento, che ti dice chi c’è ma non se è metabolicamente attivo o semplicemente di passaggio.

Cosa Ci Aspetta?

Questi risultati, insieme alla letteratura scientifica più recente, ci fanno pensare che Thomasclavelia ramosa possa essere un attore chiave nel processo che porta dall’abuso di alcol al cancro al fegato. Potrebbe essere uno di quei commensali intestinali che l’alcolismo favorisce e che, una volta preso il sopravvento, contribuisce attivamente alla carcinogenesi epatica grazie alle sue capacità di danneggiare il DNA e promuovere i tumori.

Ovviamente, servono studi più ampi, magari con tecniche di culturomica automatizzata e sequenziamento ancora più profondo, per confermare questi risultati e per capire meglio il ruolo di T. ramosa e di eventuali altri “complici” microbici. Ma la strada è tracciata, e credo che studiare questi “oncobionti” intestinali possa aprirci nuove prospettive per la prevenzione e, chissà, magari anche per il trattamento del carcinoma epatocellulare alcol-correlato.

Insomma, la prossima volta che pensate al vostro fegato, ricordatevi che anche i piccoli abitanti del vostro intestino potrebbero avere voce in capitolo sulla sua salute!

Fonte: Springer

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