Test del Salto Verticale Continuo: L’arma segreta (e semplice) per misurare la resistenza alla fatica nei runner
Ciao a tutti, appassionati di corsa e performance! Oggi voglio parlarvi di una cosa che mi sta molto a cuore, perché tocca da vicino chiunque si cimenti con le lunghe distanze, dalla mezza maratona alle ultra: la resistenza alla fatica muscolare. Sappiamo bene quanto sia cruciale riuscire a mantenere il ritmo e l’efficienza quando le gambe iniziano a farsi pesanti, vero? Gestire la fatica accumulata è la sfida numero uno per chi corre a lungo.
Per anni, noi addetti ai lavori abbiamo usato test come il famoso Wingate Anaerobic Test (WAnT) o i test isocinetici (ISO FAT) per capire quanto i muscoli di un atleta potessero resistere allo sforzo prolungato. Strumenti validissimi, per carità, ma diciamocelo: spesso sono complessi, richiedono attrezzature costose da laboratorio e non sono proprio alla portata di tutti o facili da implementare regolarmente sul campo.
E se vi dicessi che forse c’è un’alternativa molto più semplice, pratica e altrettanto affidabile? Tenetevi forte, perché sto per parlarvi del Continuous Vertical Jump Test (CVJT), il test del salto verticale continuo. Uno studio recente, pubblicato su Springer, ha messo proprio questo test sotto la lente d’ingrandimento, confrontandolo con i “mostri sacri” WAnT e ISO FAT su un gruppo di runner amatoriali di endurance. L’obiettivo? Capire se il CVJT potesse essere un degno sostituto per valutare la nostra capacità di resistere alla fatica muscolare, sia a riposo che dopo aver corso una mezza maratona (HM) o addirittura un’ultra maratona (UM). E indovinate un po’? I risultati sono stati davvero affascinanti!
Cos’è successo nello studio?
Allora, immaginatevi 22 runner maschi, gente tosta abituata a macinare chilometri (età media sui 35 anni), che si sono messi a disposizione della scienza. Questi ragazzi sono stati sottoposti a una serie di test, intervallati da 24 ore di recupero, nell’arco di 7 settimane. Hanno fatto:
- Misurazioni antropometriche (altezza, peso, ecc.)
- Il test Wingate (WAnT) su cicloergometro
- Il test di fatica isocinetico (ISO FAT) con un dinamometro
- Il test del salto verticale continuo (CVJT)
La cosa interessante è che il CVJT è stato eseguito sia in condizioni di “freschezza” (baseline), sia subito dopo aver completato una mezza maratona e, a distanza di 6 settimane, un’ultra maratona. L’idea era proprio vedere come la fatica indotta dalla corsa influenzasse la performance nel test del salto e se questa performance fosse paragonabile a quella misurata con gli altri due metodi.
Per il CVJT, in pratica, i runner dovevano eseguire serie di 30 salti verticali massimali consecutivi, partendo da una posizione con le ginocchia a 90°, a un ritmo controllato (12 salti al minuto). L’altezza cumulativa dei salti veniva poi usata per calcolare il lavoro totale (Total Work – TW), un parametro che ci dice quanta “energia” i muscoli sono riusciti a produrre durante il test. Questo TW del CVJT è stato poi confrontato con il TW misurato durante il WAnT e l’ISO FAT.
I Risultati Chiave: Salta, Salta, Salta!
E qui viene il bello! Cosa hanno scoperto i ricercatori?
- Forte Correlazione: Il lavoro totale (TW) misurato con il CVJT (sia prima che dopo le gare) era altamente correlato con quello misurato tramite WAnT e ISO FAT. Parliamo di coefficienti di correlazione (ICC) superiori a 0.80, che in gergo statistico significa “questi test stanno misurando qualcosa di molto, molto simile”. In pratica, se andavi bene in uno, tendenzialmente andavi bene anche negli altri.
- Affidabilità Top: Il CVJT si è dimostrato un test molto affidabile e riproducibile. Le misurazioni erano consistenti.
- Nessuna Differenza Enorme (ma attenzione): Statisticamente, non sono emerse differenze significative nel lavoro totale medio misurato tra i tre test (WAnT, ISO FAT, CVJT baseline, CVJT post-HM, CVJT post-UM). Questo suggerisce che, in termini di quantità totale di lavoro prodotto, i test danno risultati comparabili. Tuttavia, l’analisi più fine (Bland-Altman) ha mostrato delle differenze “moderate” (Hedge’s g tra 0.35 e 0.43). Cosa significa? Che pur essendo simili, non sono perfettamente identici. C’è un certo grado di variabilità tra i metodi, ma i ricercatori suggeriscono che questa variabilità rientra in limiti accettabili per poter considerare i test intercambiabili a fini pratici, specialmente per monitorare i cambiamenti nella performance.
- Legame con la Performance in Gara: Interessante notare che il lavoro totale misurato con il CVJT dopo le gare era inversamente correlato con la velocità di corsa e il tempo di gara. In parole povere: chi correva più veloce (e quindi finiva prima) tendeva ad avere un lavoro totale post-gara più alto nel CVJT. Questo potrebbe indicare una maggiore resistenza alla fatica o una migliore capacità di recupero/mantenimento della forza esplosiva anche dopo uno sforzo prolungato.
- Effetto Gara sul Salto? Non così marcato: Sorprendentemente, lo studio non ha trovato un calo significativo nell’altezza media o cumulativa del salto nel CVJT dopo la mezza maratona o l’ultra maratona rispetto al baseline. Questo potrebbe sembrare strano, ma ci torniamo tra poco parlando dei limiti.
Perché il CVJT è una figata (per noi runner)?
Alla luce di questi risultati, perché dovremmo entusiasmarci per il CVJT? Beh, i vantaggi sono evidenti:
- Praticità: È molto più semplice da eseguire rispetto al WAnT o all’ISO FAT. Non servono cicloergometri speciali o dinamometri isocinetici costosi. Basta una pedana per il salto verticale (ne esistono anche di portatili) o metodi alternativi per misurare l’altezza del salto.
- Rapidità: Il test è relativamente veloce da somministrare.
- Applicabilità sul Campo: Può essere facilmente integrato nella routine di allenamento, anche fuori dal laboratorio.
- Monitoraggio Facilitato: Permette a coach e atleti di monitorare la resistenza alla fatica muscolare e gli adattamenti all’allenamento in modo più frequente e accessibile durante la stagione.
Pensateci: poter avere un indicatore affidabile della resistenza alla fatica, facile da misurare, ci permette di modulare meglio i carichi di lavoro, capire come stiamo rispondendo all’allenamento e magari prevenire sovraccarichi o infortuni. È uno strumento in più nella nostra cassetta degli attrezzi per ottimizzare la preparazione.
Occhio però: Limiti e Prospettive Future
Come ogni studio, anche questo ha i suoi limiti, ed è giusto esserne consapevoli.
- Popolazione: Lo studio è stato condotto su runner amatoriali maschi. I risultati potrebbero essere diversi su atleti élite o su donne.
- Sensibilità del CVJT alla Fatica da Endurance: Il fatto che il CVJT non abbia mostrato un calo significativo post-gara è un punto da approfondire. Potrebbe essere che questo tipo di test, focalizzato sulla potenza esplosiva in un movimento diverso dalla corsa, non catturi tutti gli aspetti della fatica specifica indotta da ore di corsa (come quella neuromuscolare più sottile o quella cardiovascolare). Oppure, i runner amatoriali potrebbero avere strategie di pacing o livelli di fatica diversi dagli élite.
- Differenze Intrinseche tra i Test: WAnT, ISO FAT e CVJT, pur misurando il “lavoro totale”, coinvolgono pattern di movimento, tipi di contrazione e durate diverse. È logico aspettarsi qualche differenza.
- Accuratezza WAnT: Gli stessi autori menzionano potenziali limitazioni nel metodo di calcolo del lavoro totale del WAnT utilizzato.
Quindi, cosa ci portiamo a casa? Il CVJT è uno strumento promettente e valido per darci un’idea della nostra resistenza alla fatica muscolare, ed è un’ottima alternativa pratica ai test più complessi. Tuttavia, probabilmente non dovrebbe essere l’unico strumento utilizzato. Per avere un quadro completo della fatica e dello stato di forma di un runner di endurance, è saggio integrarlo con altri metodi di monitoraggio (come la variabilità della frequenza cardiaca, la percezione dello sforzo, i test specifici sulla corsa, ecc.).
La ricerca futura dovrebbe sicuramente esplorare l’uso del CVJT su atleti di élite e in diverse discipline di endurance per confermarne ulteriormente l’utilità e magari affinarne l’interpretazione.
In conclusione, amici runner, la prossima volta che pensate a come valutare la vostra capacità di tenere duro chilometro dopo chilometro, ricordatevi del test del salto verticale continuo. Potrebbe essere quell’alleato semplice ed efficace che stavate cercando per monitorare i vostri progressi e allenarvi in modo più intelligente. Non sostituisce completamente i test da laboratorio più sofisticati, ma offre un’ottima approssimazione, facilmente accessibile. E voi, lo avete mai provato? Fatemi sapere cosa ne pensate!
Fonte: Springer