Test DFT dopo Impianto ICD e Insufficienza Renale Cronica: Serve Davvero?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che tocca la vita di molte persone: i defibrillatori impiantabili (ICD) e un test specifico, chiamato test della soglia di defibrillazione (DFT), soprattutto quando entra in gioco l’insufficienza renale cronica (CKD).
Per anni, dopo aver impiantato un ICD – quel dispositivo salvavita che interviene in caso di aritmie pericolose – era prassi comune eseguire il test DFT. In pratica, si induceva volutamente una fibrillazione ventricolare (in ambiente controllato, ovviamente!) per verificare a quale livello minimo di energia il dispositivo fosse in grado di “resettare” il cuore. Sembrava logico, no? Assicurarsi che la “macchina” funzionasse a dovere fin da subito.
Il Cambiamento di Rotta: Perché il Test DFT Non è Più di Routine?
Poi, però, sono arrivati studi importanti, come il SIMPLE e il NORDIC ICD, che hanno un po’ rimescolato le carte. Hanno dimostrato che, nella maggior parte dei pazienti, eseguire questo test di routine non migliorava l’efficacia degli shock futuri né riduceva il rischio di morte per aritmia. Anzi, aggiungeva un piccolo rischio di complicanze legate alla procedura stessa e aumentava i costi. Di conseguenza, le linee guida internazionali hanno fatto marcia indietro: niente più test DFT di routine per tutti.
Ma, come spesso accade in medicina, c’è un “ma”. Questi grandi studi avevano escluso sistematicamente una categoria di pazienti piuttosto vulnerabile: quelli con insufficienza renale cronica grave, specialmente chi è in dialisi. E qui sorge spontanea la domanda, che mi sono posto anch’io: per loro, che hanno caratteristiche fisiologiche diverse e spesso problematiche cardiache complesse, questo test potrebbe ancora essere utile o addirittura necessario? Le linee guida attuali, purtroppo, non ci danno una risposta chiara su questo punto specifico.
Lo Studio Che Fa Luce: DFT e Rene, Qual è il Legame?
Ed è proprio qui che entra in gioco uno studio retrospettivo molto interessante di cui voglio parlarvi. I ricercatori si sono chiesti esattamente questo:
- C’è una relazione tra la funzione renale (misurata con l’eGFR, la velocità di filtrazione glomerulare stimata) e l’esito del test DFT eseguito durante l’impianto?
- Il test DFT è sicuro per i pazienti con insufficienza renale da moderata ad avanzata?
Per rispondere, hanno analizzato i dati di 451 pazienti (età 55-80 anni) che avevano ricevuto il loro primo ICD transvenoso tra il 2007 e il 2018 presso il Leiden University Medical Center. Tutti questi pazienti avevano eseguito il test DFT durante l’impianto.
I pazienti sono stati divisi in tre gruppi in base alla loro funzione renale:
- Gruppo 1: Funzione renale normale o lievemente ridotta (CKD stadio 1-2, eGFR > 60 ml/min/1.73 m²) – 294 pazienti.
- Gruppo 2: Insufficienza renale moderata (CKD stadio 3-4, eGFR 15-59 ml/min/1.73 m²) – 90 pazienti.
- Gruppo 3: Insufficienza renale grave o terminale (CKD stadio 5, eGFR < 15 ml/min/1.73 m² o in dialisi) - 67 pazienti.
Pensate che in totale, in questi 451 pazienti, la fibrillazione ventricolare è stata indotta ben 827 volte per eseguire i test! La maggior parte dei pazienti ha fatto uno o due tentativi di test.
Risultati Sorprendenti: La Funzione Renale Non Sembra Influenzare l’Efficacia del DFT
Ebbene, sapete cosa è emerso analizzando tutti questi dati? Non è stata trovata alcuna differenza significativa nelle percentuali di successo della defibrillazione tra i tre gruppi di pazienti, anche tenendo conto dei diversi livelli di energia utilizzati. In altre parole, avere una funzione renale compromessa, anche gravemente, non sembrava rendere più difficile per l’ICD interrompere l’aritmia indotta durante il test.
Certo, c’è stata una piccola differenza nei livelli medi di energia necessari per il successo: leggermente più alti nel gruppo con CKD più grave (Gruppo 3: 19.5 J contro circa 17.5 J negli altri due gruppi). Ma questa differenza è stata considerata clinicamente poco rilevante nella pratica quotidiana.
Anche l’efficacia del primo shock erogato è risultata simile tra i gruppi (circa 83-88%). E il cosiddetto “margine di sicurezza della defibrillazione” (DSM), cioè la differenza tra l’energia minima efficace e la massima erogabile dal dispositivo? Solo in 10 pazienti su 451 (il 2.2%) questo margine è risultato inadeguato (< 10 Joule), una percentuale in linea con la letteratura generale. È vero, si è notata una tendenza (statisticamente non significativa, p=0.067) verso un margine inadeguato più frequente nei gruppi con peggiore funzione renale (4.4% nel gruppo 2 e 4.5% nel gruppo 3, contro 1.0% nel gruppo 1), ma non abbastanza da trarre conclusioni definitive.
Ma È Sicuro Fare il Test DFT in Chi Ha Problemi Renali?
Passiamo alla sicurezza, un aspetto cruciale. Eseguire il test DFT comporta l’induzione di un’aritmia potenzialmente letale e richiede sedazione. È comprensibile temere rischi maggiori in pazienti già fragili come quelli con CKD avanzata.
Lo studio ha rilevato che complicanze legate al test DFT si sono verificate in 15 pazienti (3.3% del totale). La buona notizia è che la maggior parte erano eventi non gravi:
- Ipossiemia (bassi livelli di ossigeno nel sangue) dovuta a ipoventilazione post-sedazione (9 pazienti, 2.0%).
- Fibrillazione o flutter atriale (5 pazienti, 1.1%).
- Un solo caso (0.2%) di scompenso cardiaco acuto.
Importante sottolineare che non ci sono state differenze significative nel tasso di complicanze tra i tre gruppi (3.0% nel gruppo 1, 3.3% nel gruppo 2, 4.5% nel gruppo 3, p=0.324). E, cosa fondamentale, non si sono verificati decessi legati alla procedura.
Inoltre, solo in 6 pazienti (1.3%) i risultati anomali del test DFT hanno portato a una revisione immediata del sistema ICD (ad esempio, riposizionamento dell’elettrocatetere). Questo suggerisce che, anche quando si fa il test, raramente si scoprono problemi così gravi da richiedere un intervento immediato, confermando ulteriormente l’utilità limitata del test di routine.
Un Caso Particolare: Gli Impianti a Destra nei Pazienti in Dialisi
Un aspetto interessante riguarda i pazienti in dialisi (la maggior parte del Gruppo 3). Spesso, per preservare l’accesso vascolare per la dialisi sul braccio sinistro, l’ICD viene impiantato sul lato destro del torace. Si pensa che questa posizione possa richiedere soglie di defibrillazione più alte.
Nello studio, ben il 70% dei pazienti del Gruppo 3 aveva un impianto a destra. I ricercatori hanno confrontato specificamente i risultati del DFT tra impianti destri e sinistri all’interno di questo gruppo. Nonostante i numeri non fossero enormi (47 impianti a destra vs 20 a sinistra nel Gruppo 3), non sono emerse differenze significative nelle caratteristiche del test DFT tra le due posizioni. Questo è un dato notevole, anche se da confermare su campioni più ampi.
Cosa Portiamo a Casa da Questo Studio?
Quindi, cosa ci dice tutto questo? Beh, per me le conclusioni sono piuttosto chiare e rassicuranti:
- La funzione renale, anche se gravemente compromessa, non sembra influenzare significativamente il successo della defibrillazione durante il test DFT. Non c’è una correlazione dimostrata tra CKD e un aumento della soglia di defibrillazione o un tasso più alto di margine di sicurezza inadeguato.
- Il test DFT sembra essere fattibile e ragionevolmente sicuro anche nei pazienti con insufficienza renale moderata o avanzata, con un basso rischio di complicanze gravi, quando viene ritenuto clinicamente necessario.
- Di conseguenza, il test DFT non è richiesto di routine nemmeno nei pazienti con CKD (avanzata).
Questo non significa che il test non debba mai essere fatto. Ci possono essere situazioni particolari (impianti sottocutanei, impianti a destra se il medico ha dubbi specifici, sostituzione del solo generatore) in cui il medico può decidere di eseguirlo. Ma l’idea di farlo “a tappeto” su tutti, inclusi i pazienti con problemi renali, sembra ormai superata.
In pratica, i benefici del test (identificare precocemente rare disfunzioni del sistema) sembrano essere bassi e non superano i piccoli ma reali rischi e costi associati, anche in questa popolazione più fragile. Possiamo quindi considerare sicuro omettere il test DFT nella maggior parte dei pazienti con insufficienza renale cronica, inclusi quelli in dialisi o con impianto a destra.
Una bella notizia, che semplifica la procedura di impianto e riduce potenziali rischi per pazienti già complessi. Che ne pensate?
Fonte: Springer