Test BRCA nel Cancro Ovarico: Stiamo Davvero Facendo il Massimo? Lezioni dai Dati Reali
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta molto a cuore e che riguarda da vicino tantissime donne: il cancro ovarico epiteliale (EOC) e l’importanza dei test genetici, in particolare per i geni BRCA1 e BRCA2. Perché sono così cruciali? Beh, identificare varianti patogenetiche (quelle che possono causare problemi, per intenderci) in questi geni, sia a livello *germline* (ereditarie, presenti in tutte le cellule) sia a livello *somatico* (presenti solo nel tumore), è fondamentale per due motivi principali: capire se una paziente può beneficiare di terapie mirate come gli inibitori di PARP (poli-(ADP-ribosio)-polimerasi) e identificare una predisposizione genetica al cancro, che ha implicazioni enormi non solo per la paziente ma anche per la sua famiglia.
Nei Paesi Bassi, dove è stato condotto lo studio che voglio raccontarvi, hanno cambiato approccio qualche anno fa. Prima si partiva spesso dal test germline, ma dal 2016 hanno implementato un percorso “tumor-first”: si analizza prima il DNA del tumore. Se si trova una variante BRCA1/2 o se c’è una storia familiare sospetta, allora si procede con il test germline sulla paziente. L’idea alla base è ottima: essere più efficienti e inclusivi, identificando subito sia le pazienti eleggibili per i PARP inibitori sia quelle che necessitano di approfondimenti genetici. Sembra un sistema più equo, no? Perché si basa sul tumore, non su una valutazione iniziale della paziente che potrebbe essere influenzata da altri fattori.
Ma funziona davvero così bene nella pratica quotidiana?
Ecco, è proprio quello che ci siamo chiesti. Abbiamo deciso di andare a vedere cosa è successo nei primi quattro anni di applicazione di questo approccio “tumor-first” in due grandi regioni dei Paesi Bassi. Abbiamo raccolto i dati di tutte le pazienti con diagnosi di EOC dal Registro Tumori Olandese e li abbiamo incrociati con i dati dei test genetici provenienti dagli ospedali. L’obiettivo primario era capire: quante pazienti hanno effettivamente *completato* l’intero percorso di test raccomandato? Completare il percorso significa avere un test tumorale negativo (nessuna variante trovata) oppure, in caso di test tumorale positivo o non eseguito, essere state inviate a una consulenza genetica per il test germline (anche se poi magari la paziente ha rifiutato il test, l’importante è che l’invio sia stato fatto). Abbiamo incluso anche i casi in cui i figli della paziente sono stati inviati al test perché non era possibile testare la madre.
I risultati, pubblicati su *Journal of Community Genetics* (trovate il link alla fine!), ci danno un quadro con luci e ombre. Su un totale di 1085 pazienti che avrebbero dovuto fare il test, complessivamente il 69,8% ha completato il percorso. Non male, potreste pensare, ma significa anche che quasi una paziente su tre è rimasta fuori dal giro raccomandato. La buona notizia è che c’è stato un miglioramento nel tempo: se nel primo anno la percentuale era del 63,6%, nel quarto anno si è arrivati al 74,4%. Un passo avanti, certo, ma c’è ancora strada da fare.

Le Disparità Nascoste: Chi Resta Indietro?
Qui arriva la parte che fa riflettere di più. Analizzando i dati più a fondo, abbiamo scoperto che non tutte le pazienti hanno le stesse probabilità di completare il percorso. Ci sono dei fattori che fanno una differenza significativa. Quali?
- Età: Le pazienti più anziane hanno meno probabilità di completare il percorso.
- Anno della Diagnosi: Chi ha ricevuto la diagnosi nel terzo o quarto anno dall’implementazione del nuovo sistema ha avuto più probabilità di essere testata rispetto a chi è stata diagnosticata all’inizio. Questo suggerisce un miglioramento del sistema nel tempo, ma evidenzia le difficoltà iniziali.
- Tipo e Stadio del Tumore: Le pazienti con carcinoma sieroso ad alto grado o endometrioide ad alto grado e quelle con malattia in stadio avanzato (FIGO III/IV) hanno maggiori probabilità di completare il test rispetto a quelle con istotipi diversi o malattia in stadio iniziale (FIGO I/II).
- Stato Socioeconomico (SES): Le pazienti con uno stato socioeconomico medio o alto hanno quasi il doppio delle probabilità di completare il percorso rispetto a quelle con SES basso. Questo è un dato preoccupante, perché in teoria un sistema basato sul test del tumore dovrebbe ridurre le barriere economiche.
- Trattamenti Ricevuti: Le pazienti che hanno subito un intervento chirurgico o hanno ricevuto chemioterapia hanno probabilità enormemente maggiori (rispettivamente 9 volte e 4 volte di più!) di completare il percorso rispetto a chi non ha ricevuto questi trattamenti.
Questi risultati ci dicono chiaramente che, nonostante le buone intenzioni, l’approccio “tumor-first”, così come implementato, non ha eliminato le disuguaglianze nell’accesso ai test genetici.
Perché Succede Questo? E Cosa Possiamo Fare?
Le ragioni dietro queste disparità possono essere diverse. Forse i medici sono più propensi a richiedere il test per pazienti più giovani o con tipi di tumore storicamente più associati a mutazioni BRCA (come il sieroso ad alto grado)? Eppure le linee guida dicono di testare *tutte* le pazienti con EOC, perché le mutazioni possono esserci anche in altri casi e l’età media alla diagnosi per le portatrici di BRCA2 non è poi così diversa da quella dei casi sporadici.
Il fatto che le pazienti con malattia avanzata siano testate di più potrebbe essere legato all’indicazione per i PARP inibitori, che spesso riguarda proprio questi stadi. Ma non dobbiamo dimenticare l’altro scopo fondamentale del test: identificare la predisposizione genetica per proteggere i familiari! Testare anche le pazienti in stadio iniziale è cruciale per questo.

La correlazione con lo stato socioeconomico è un campanello d’allarme. Forse le pazienti con SES più basso ricevono complessivamente trattamenti meno aggressivi, come suggerito da altri studi, e questo si riflette anche sull’accesso ai test? È un’ipotesi su cui riflettere.
E poi c’è la questione dei trattamenti: chi non fa chirurgia (magari perché la malattia è troppo avanzata o le condizioni generali non lo permettono) ha meno probabilità di avere tessuto tumorale disponibile per il test. E chi non fa chemio potrebbe avere una malattia a progressione rapidissima, che non lascia il tempo materiale per organizzare e completare il percorso di testing. In questi casi, diventa ancora più vitale che i medici pensino subito all’invio per un test germline (su sangue), anche se la prognosi è infausta, proprio per le implicazioni familiari. A volte, purtroppo, le pazienti vengono inviate alla consulenza genetica ma non fanno in tempo a fare il test germline perché le condizioni peggiorano rapidamente. Questo sottolinea l’importanza della *tempestività*.
Una possibile soluzione per accelerare i tempi, soprattutto per le pazienti con prognosi peggiore, potrebbe essere integrare il test germline direttamente nel percorso oncologico (“mainstream germline testing”), facendolo gestire dagli oncologi ginecologi stessi, con consulenza genetica post-test solo per chi risulta portatrice o ha storie familiari particolari.
Il Messaggio Chiave
Questo studio, basato su dati reali, ci insegna che implementare una nuova strategia sulla carta non basta. Bisogna monitorare attentamente cosa succede nella pratica clinica e identificare chi rischia di rimanere indietro. Nel caso del test BRCA1/2 per il cancro ovarico, è evidente che dobbiamo fare di più per garantire che *tutte* le pazienti eleggibili ricevano il test raccomandato, indipendentemente dall’età, dallo stato socioeconomico, dal tipo o stadio del tumore, o dai trattamenti che ricevono.
Serve una maggiore aderenza alle linee guida, una maggiore consapevolezza dell’importanza del test anche per le implicazioni familiari, e forse un ripensamento dei percorsi per renderli più rapidi ed efficienti. È fondamentale anche ricordarsi di offrire il test ai familiari se la paziente non può essere testata. Solo così potremo sfruttare appieno le potenzialità della genetica per migliorare le cure delle pazienti oggi e ridurre l’incidenza e la mortalità dei tumori ereditari domani.

Fonte: Springer
