Il Grande Terremoto del 1514 in Anatolia: Un Gigante Sismico o un Fantasma Storico?
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, quasi un’indagine storica e scientifica, su un evento che per anni ha tenuto banco tra geologi e sismologi: il presunto, enorme terremoto del 1513 o 1514 lungo la Zona di Faglia Est Anatolica (EAFZ), in Turchia. Un evento che, se confermato con i parametri che gli sono stati attribuiti, avrebbe implicazioni enormi per capire quanto sia “carica” oggi quella faglia. Ma, come vedremo, la storia di questo sisma è molto più intricata e, oserei dire, traballante di quanto si pensi.
L’ipotesi che ha fatto scuola
Per decenni, gran parte della letteratura scientifica ha dato per assodato questo mega-terremoto, spesso localizzato nel segmento di Pazarcik della faglia. Pensate che dopo i tragici eventi del febbraio 2023, molti media lo hanno subito indicato come il “predecessore” più probabile del sisma principale di quella sequenza. L’idea di un terremoto di magnitudo intorno a 7.4 in quell’area e in quel periodo si è cementata grazie soprattutto agli studi di N.N. Ambraseys nel 1989.
Ma da dove salta fuori questa storia? Tutto parte da lontano, da una menzione in uno studio geologico del 1882 di Abich, che a sua volta citava fonti ancora più antiche, tra cui una storia veneziana del XVI secolo attribuita a Barbaro. Questa menzionava un terremoto nel 1514 “in Cilicia e Melitene (Malatya)”. Da lì, l’informazione è rimbalzata di catalogo in catalogo.
Fu Ambraseys, però, a scavare più a fondo. Consultando la fonte citata (Barbaro), scoprì che parlava di tre città – Malatya, Tarso e Adana – descritte come “quasi totalmente distrutte”. Ora, il punto cruciale è che Malatya si trova a oltre 300 km a nord-est dalle altre due! Ambraseys ragionò: un terremoto capace di causare distruzione simile su una distanza così vasta doveva essere per forza potentissimo (stimò Ms 7.4) e localizzato più o meno a metà strada, vicino all’attuale Maraş (Kahramanmaraş). Suggerì anche che potesse essere avvenuto nel 1513, collegandolo forse a una scossa sentita al Cairo il 28 marzo 1513.
Tuttavia, e questo è fondamentale, lo stesso Ambraseys mise le mani avanti, avvertendo che senza ulteriori dettagli, il resoconto era insufficiente per stabilire con precisione data e area colpita. Un avvertimento, purtroppo, spesso ignorato.
La fonte primaria: una lettera da Damasco
Successivamente, Ambraseys e Finkel (1995) trovarono un’altra fonte, ancora più antica: una lettera scritta da un certo Andrea Alpago, medico e informatore veneziano a Damasco, datata 10 marzo 1514. Questa lettera è quasi certamente la fonte originale da cui poi attinse Barbaro. E cosa dice Alpago? Poche righe alla fine di un rapporto più lungo:
“Si dice per lettere venute come tre terre del Sultano, cioè Tarsia, Adana e Mallatia, poste sul confino del Turco, sono state som[m]erse e ruinate per terremoti, di modo che non vi è rimasto anima viva. Di questo intenderemo meglio il vero, et ne daremo avviso.”
Tradotto: “Si dice, da lettere ricevute, che tre città del Sultano [Mamelucco], cioè Tarso, Adana e Malatya, situate al confine con il Turco [Ottomano], sono state sommerse e rovinate da terremoti, tanto che non vi è rimasta anima viva. Di questo capiremo meglio la verità e ne daremo notizia.”
Alpago è considerato un testimone affidabile, ma qui è chiarissimo: sta riportando voci (“si dice”), non fatti verificati direttamente. Promette aggiornamenti che, però, non arriveranno mai nelle lettere successive. Il linguaggio (“sommerse e ruinate”) suggerisce danni gravissimi, ma va preso con le pinze, data la distanza e la natura indiretta dell’informazione.

Alla ricerca di conferme: un silenzio assordante
Se un terremoto di magnitudo 7.4 avesse davvero colpito quella regione, ci aspetteremmo di trovarne traccia in altre fonti contemporanee, giusto? Ebbene, qui iniziano i veri problemi per l’ipotesi del mega-sisma. Abbiamo setacciato cronache arabe (come quelle di Ibn Iyās dal Cairo o Ibn Ṭūlūn da Damasco), resoconti di viaggiatori occidentali, diari dettagliatissimi delle campagne militari ottomane che attraversarono proprio quelle zone tra il 1514 e il 1517.
Pensate: nel 1514, l’esercito ottomano guidato da Selim I marciò attraverso l’Anatolia settentrionale, non lontano dalla presunta zona epicentrale. Nel 1515 invase il Dulkadir (stato vassallo mamelucco che includeva Malatya e Maraş), stabilendo quartieri a Elbistan. Nel 1516, l’avanguardia ottomana si fermò di nuovo a Elbistan per riorganizzarsi e rifornirsi (difficile farlo in una città devastata!). Poi, Selim I raggiunse Elbistan, proseguì per Malatya (attraversando l’area epicentrale ipotizzata!) e marciò verso Aleppo.
Eppure, in nessuna di queste fonti – che descrivono guerre, spostamenti di truppe, approvvigionamenti – si trova il minimo accenno a un terremoto devastante, a città distrutte, a difficoltà logistiche causate da macerie, frane o strade interrotte. Un silenzio davvero strano per un evento che avrebbe dovuto “radere al suolo” un’area così vasta.
Le pietre non parlano (di questo terremoto)
Ok, le fonti scritte tacciono. Ma magari l’archeologia o la storia dell’architettura possono aiutarci? Abbiamo cercato prove di danni o restauri riconducibili a un terremoto del 1513/1514 in edifici monumentali costruiti prima di quella data nelle città citate (Tarso, Adana, Malatya) e nelle aree circostanti (Maraş, Elbistan, Antakya, Aleppo).
Il risultato? Ancora una volta, un buco nell’acqua.
- A Tarso, la Grande Moschea fu completata nel 1579 sul sito di una più antica; il santuario del profeta Daniele fu restaurato in quegli anni, ma senza legami con terremoti.
- Ad Adana, edifici come l’Agca Mescid (1409) e la Sala Ramazanoglu (1495) esistevano ancora nel 1998 (quando furono danneggiati da un altro sisma); la Ulu Cami fu iniziata nel 1513 e finita nel 1541, senza menzioni di interruzioni dovute a catastrofi.
- A Malatya Vecchia (Battalgazi), la Ulu Cami del XIII secolo fu riparata più volte, ma non risulta per danni da terremoti nel 1514.
- A Maraş, la Grande Moschea (1442-1454) fu rinnovata nel 1501; l’ultimo sovrano Dulkadir (morto nel 1515) fece costruire diversi edifici proprio in quegli anni.
- Anche ad Antakya e Aleppo, monumenti pre-1514 furono rinnovati successivamente, ma non per danni legati a questo presunto sisma.
Insomma, nessuna cicatrice architettonica sembra confermare la catastrofe descritta da Alpago.

Cosa resta dell’ipotesi? Scenari alternativi
A conti fatti, l’ipotesi di un singolo, enorme terremoto (M~7.4) nel 1513/1514 sulla faglia di Pazarcik si basa su fondamenta incredibilmente fragili: poche righe di seconda mano in una lettera. La totale assenza di conferme da altre fonti storiche e architettoniche, nonostante le circostanze (guerre, movimenti di eserciti) che avrebbero dovuto favorire la documentazione di un evento così impattante, è un campanello d’allarme fortissimo.
Il pattern di danno descritto (distruzione uguale a Tarso/Adana e a Malatya, a 300 km di distanza) è, francamente, poco credibile per un M 7.4. Richiederebbe forse una magnitudo ancora maggiore (>8), rendendo il silenzio delle altre fonti ancora più inspiegabile.
Quindi, cosa potrebbe essere successo davvero? Le possibilità sono diverse:
- L’informazione riportata da Alpago era semplicemente esagerata.
- Ci fu un errore nel nome di una delle città? Magari “Malatya” era un refuso per Maraş, o un luogo meno importante e più vicino alle altre due? Questo ridimensionerebbe drasticamente la magnitudo necessaria.
- Forse, come suggerito originariamente da Pinar e Lahn nel 1952 e ripreso recentemente dall’AFAD turca, non si trattò di un unico evento, ma di due (o più) terremoti distinti e più piccoli? Dopotutto, Alpago usa il plurale “terremoti”. Uno potrebbe aver colpito l’area di Tarso/Adana, l’altro quella di Malatya o dintorni. Questa ipotesi spiegherebbe meglio la mancanza di danni catastrofici intermedi e il silenzio delle fonti su un singolo mega-evento.

Conclusioni (provvisorie) di un’indagine aperta
Allo stato attuale delle conoscenze, sembra quasi impossibile assegnare parametri sismologici affidabili (magnitudo, epicentro, data precisa) all’evento (o agli eventi) del 1513/1514 menzionato da Alpago. L’ipotesi del singolo mega-terremoto sulla faglia di Pazarcik, per quanto radicata, poggia su basi troppo deboli.
Questo non significa che non sia successo nulla, ma che la narrazione del “grande predecessore” del sisma del 2023 va presa con estrema cautela. È un classico esempio di come un’informazione storica singola e incerta possa trasformarsi, nel tempo, in una “verità” scientifica quasi indiscussa, soprattutto se supportata da un’autorità come Ambraseys (che però, ricordiamolo, era stato prudente).
Servirebbero nuove ricerche, magari indagini storiche e architettoniche molto mirate a livello locale, per provare a sciogliere questo affascinante rompicapo. Fino ad allora, il “grande terremoto” del 1514 rimane più un fantasma storico che una certezza sismologica. E ci ricorda quanto sia importante essere critici anche di fronte a ciò che sembra consolidato nella scienza.
Fonte: Springer
