Visualizzazione astratta di molecole di farmaci biologici che interagiscono con cellule immunitarie stilizzate, su uno sfondo che sfuma da un grafico di dati scientifici a un ritratto sfocato di un paziente anziano. Illuminazione drammatica, colori blu e arancio duotone, profondità di campo.

Artrite Reumatoide: Terapie Mirate alla Prova del Mondo Reale – 5 Anni di Storie dal Giappone

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta molto a cuore e che riguarda tantissime persone: l’artrite reumatoide (AR). È una di quelle condizioni toste, un’avversaria autoimmune sistemica che, se non tenuta a bada, può portare a distruzione articolare, disabilità e persino ridurre l’aspettativa di vita. Ma non temete, la ricerca non si ferma mai!

Negli ultimi 20 anni, abbiamo assistito a un’evoluzione pazzesca nelle terapie. Ricordo quando in Giappone, nel 2003, è arrivato l’infliximab, il primo di una lunga serie di farmaci biologici e sintetici mirati (li chiamiamo b/tsDMARDs). Oggi ne abbiamo a disposizione ben 14, più diversi biosimilari. Questo arsenale, unito alla strategia “treat-to-target” (T2T), cioè mirare a obiettivi terapeutici precisi come la remissione, ha permesso a circa metà dei pazienti di raggiungere questo traguardo. Un risultato incredibile, no?

Un panorama che cambia: pazienti più anziani, più sfide

Però, c’è un “ma”. Il mondo sta invecchiando, e il Giappone è un po’ l’apripista, essendo diventato una “società super-anziana” già nel 2007 (oltre il 21% della popolazione over 65). E questo cambia tutto, anche per l’artrite reumatoide. Se una volta pensavamo all’AR come a una malattia che colpiva soprattutto donne tra i 30 e i 50 anni, oggi la realtà è diversa. L’età media dei pazienti si è alzata, complice l’aumento dell’aspettativa di vita e l’insorgenza della malattia in età più avanzata.

Questo significa che noi medici ci troviamo a gestire pazienti più anziani, che spesso portano con sé un bagaglio di altre condizioni, le famose comorbilità: malattie polmonari, storia di tumori, osteoporosi, problemi renali, infezioni pregresse. Gestire l’AR in questo contesto è una sfida complessa.

Proprio per capire come stiamo affrontando questa sfida nel mondo reale, voglio raccontarvi i risultati di uno studio pazzesco, basato sul registro FIRST, uno dei più “vecchi” al mondo nel suo genere, che segue pazienti con AR trattati con b/tsDMARDs in Giappone. Abbiamo analizzato i dati di 5130 trattamenti su un periodo di follow-up di 5 anni, per un totale di oltre 16.000 anni-persona. Un lavoro enorme!

Cosa abbiamo scoperto? L’evoluzione in 20 anni

I dati ci mostrano un quadro affascinante. L’età media dei pazienti all’inizio della terapia mirata è passata da circa 52 anni nel 2003 a oltre 64 anni nel 2023. E, come previsto, sono aumentate le comorbilità: la percentuale di pazienti con malattie polmonari è schizzata dall’11% al 36%, e quella con storia di tumori dal 2% al 13%! Anche la funzionalità renale (eGFR) è mediamente diminuita.

Nonostante questo quadro più complesso, c’è una buona notizia: abbiamo iniziato a usare i b/tsDMARDs prima nel corso della malattia (il tempo medio dall’esordio all’inizio della terapia mirata si è quasi dimezzato) e in pazienti con un’attività di malattia più bassa rispetto al passato. Questo significa che queste terapie potentissime sono diventate più accessibili e utilizzate più precocemente.

Un altro cambiamento interessante riguarda i farmaci di supporto. L’uso del metotrexato (MTX), un farmaco “base” per l’AR, è diminuito in termini di percentuale di pazienti che lo usano (dal 100% all’inizio al 67% oggi), ma la dose media è aumentata (grazie anche all’aumento del dosaggio massimo approvato in Giappone nel 2011). L’uso dei glucocorticoidi (il cortisone, per intenderci) è crollato drasticamente, dal 67% a circa il 21%. E questo è un bene, visti i potenziali effetti collaterali del cortisone a lungo termine. Inoltre, è aumentato l’uso di profilassi per prevenire infezioni opportunistiche come la polmonite da Pneumocystis (PCP) e quella da pneumococco.

Ritratto fotografico di una donna anziana giapponese (70 anni) con un sorriso gentile ma pensieroso, che guarda fuori da una finestra in una clinica moderna. Luce naturale morbida che entra dalla finestra, profondità di campo ridotta che sfoca lo sfondo della stanza. Obiettivo prime 35mm, stile filmico leggermente desaturato, bianco e nero.

Sicurezza ed efficacia: passi avanti, ma la strada è lunga

Parliamo di sicurezza. Nonostante l’aumento dell’età e delle comorbilità, le interruzioni della terapia a causa di eventi avversi sono diminuite nel tempo! In particolare, le infezioni che portavano a sospendere il farmaco sono calate significativamente (da 2.1 a 0.7 per 100 anni-persona). Questo è un risultato importantissimo, frutto probabilmente di una migliore gestione del rischio, delle profilassi e forse anche di una maggiore esperienza con questi farmaci.

E l’efficacia? Anche qui, buone notizie, ma con qualche sfumatura. I tassi di remissione sono migliorati nel tempo, soprattutto nei pazienti che iniziavano per la prima volta un b/tsDMARD (i cosiddetti “naïve”). Tuttavia, nei pazienti che avevano già provato altri farmaci biologici o mirati in passato, i tassi di remissione sono rimasti più o meno stabili.

Un dato interessante riguarda la “persistenza” in terapia, cioè per quanto tempo i pazienti continuano ad assumere lo stesso farmaco. Abbiamo diviso lo studio in 4 “ere”, basate sull’introduzione di nuove classi di farmaci (Era TNF, Era IL-6, Era CTLA4, Era JAK). La persistenza in terapia (escludendo le interruzioni per remissione o altri motivi non legati al farmaco) è leggermente diminuita fino all’Era 3 per poi recuperare nell’Era 4 (quella dei JAK inibitori). La causa più comune di interruzione è stata l’inefficacia, che è aumentata fino all’Era 3 per poi migliorare nell’Era 4.

Il puzzle della persistenza: classi di farmaci a confronto

Qui le cose si fanno intriganti. Analizzando le diverse classi di farmaci nell’Era 4 (la più recente), abbiamo notato differenze significative:

  • Gli inibitori del TNF (TNFi): Hanno mostrato tassi di remissione più alti, specialmente nei primi mesi, ma una persistenza in terapia più bassa. Sembra che vengano interrotti più frequentemente se non raggiungono l’obiettivo (aderendo alla strategia T2T). Sono usati più spesso in pazienti più giovani e con MTX.
  • Gli inibitori del recettore dell’IL-6 (IL-6Ri) e l’abatacept (CTLA4-Ig): Hanno mostrato tassi di remissione leggermente inferiori ma una persistenza in terapia più alta, che è migliorata nel tempo. Sono usati più spesso in pazienti più anziani, con più comorbilità (es. malattie polmonari per CTLA4-Ig) e spesso senza MTX (funzionano bene anche in monoterapia).
  • Gli inibitori delle Janus chinasi (JAKi): Usati spesso come seconda linea o successive, in pazienti relativamente più giovani.

Questo suggerisce che per alcune classi di farmaci, come IL-6Ri e CTLA4-Ig, la decisione di continuare la terapia potrebbe essere influenzata da altri fattori oltre alla pura efficacia misurata dagli indici di attività, forse perché rappresentano l’opzione migliore (o l’unica) per pazienti più complessi, rendendo difficile l’applicazione rigida del T2T. C’è un paradosso interessante con CTLA4-Ig: nonostante tassi di remissione più bassi, specialmente negli anziani, questi pazienti tendono a continuare la terapia.

Fotografia macro di fiale di farmaci biologici (TNFi, IL-6Ri, CTLA4-Ig, JAKi) disposte su un bancone di laboratorio sterile con etichette visibili. Illuminazione controllata e precisa, messa a fuoco nitida sui dettagli delle fiale e del liquido colorato all'interno. Obiettivo macro 100mm, alta definizione, sfondo leggermente sfocato.

La sfida della funzionalità fisica: il bisogno insoddisfatto

Ed eccoci a un punto cruciale: la disabilità fisica. L’obiettivo finale non è solo spegnere l’infiammazione, ma permettere alle persone di vivere una vita piena e attiva. Abbiamo misurato la funzionalità usando l’indice HAQ-DI (Health Assessment Questionnaire Disability Index). Negli ultimi 20 anni, il punteggio HAQ-DI all’inizio della terapia è diminuito in tutte le fasce d’età, segno che iniziamo a trattare pazienti con meno disabilità accumulata.

Anche il miglioramento dell’HAQ-DI e la percentuale di pazienti che raggiungono la “normalizzazione” (HAQ-DI ≤ 0.5) sono complessivamente migliorati. Tuttavia, e questo è il punto dolente, il miglioramento è stato modesto in generale, e soprattutto nei pazienti più anziani (75 anni e oltre), i guadagni funzionali rimangono limitati. C’è ancora un divario significativo tra i pazienti più giovani e quelli più anziani in termini di recupero funzionale. Questo è un bisogno medico ancora insoddisfatto molto importante.

Cosa ci portiamo a casa?

Questo viaggio lungo 20 anni nel mondo reale dell’AR in Giappone ci dice molto. Abbiamo fatto passi da gigante nella gestione della malattia, migliorando sicurezza ed efficacia delle terapie mirate anche in una popolazione sempre più anziana e complessa. Abbiamo imparato a gestire meglio i rischi, a usare le profilassi, a ridurre il cortisone.

Ma non possiamo sederci sugli allori. Restano sfide importanti:

  • Non tutti i pazienti raggiungono gli obiettivi T2T, specialmente quelli con trattamenti precedenti o con profili di rischio complessi.
  • Il recupero della funzionalità fisica, soprattutto negli anziani, è ancora insufficiente.

Cosa fare? Sicuramente c’è bisogno di nuovi farmaci con meccanismi d’azione diversi. Ma non solo. Serve un approccio comprensivo:

  • Intervenire precocemente e aggressivamente nei pazienti a rischio di non recuperare la funzionalità.
  • Utilizzare la medicina di precisione per non perdere la “finestra di opportunità”.
  • Integrare interventi non farmacologici: gestione delle comorbilità (depressione, fibromialgia), esercizio fisico mirato (resistance training), terapia dietetica, supporto psicologico per aumentare l’autoefficacia.
  • Gestire l’osteoporosi per prevenire fratture invalidanti.

Insomma, la gestione dell’artrite reumatoide è un work in progress continuo. I dati del registro FIRST ci danno indicazioni preziose, confermando i progressi ma anche illuminando le aree dove dobbiamo ancora lavorare sodo, specialmente per garantire una buona qualità di vita ai nostri pazienti che invecchiano. È una sfida che dobbiamo affrontare tutti insieme: medici, ricercatori e pazienti.

Primo piano sulle mani di una persona anziana (circa 75 anni) che tengono un bastone da passeggio, con articolazioni leggermente gonfie tipiche dell'artrite. Luce naturale da finestra laterale, profondità di campo che mette a fuoco le mani e sfoca lo sfondo di un parco. Obiettivo 50mm, realismo documentaristico, colori caldi.

Fonte: Springer

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