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Cancro al Seno: La Sorpresa della Terapia Neoadiuvante – Quando il Tumore Cambia Faccia!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di veramente affascinante e cruciale nel mondo dell’oncologia, in particolare del cancro al seno. Parliamo di terapia neoadiuvante. Magari ne avete sentito parlare: è quella chemioterapica (o a volte ormonale o mirata) che facciamo *prima* dell’intervento chirurgico. L’idea è semplice e potente: ridurre le dimensioni del tumore, rendere operabili casi che non lo sarebbero, e magari permettere un intervento meno invasivo, come la chirurgia conservativa del seno. E non solo: ci dà anche un’idea preziosa di come il tumore risponde ai farmaci.

Ma c’è un aspetto che forse non è così noto e che, come ricercatori e clinici, ci tiene sempre all’erta: cosa succede *davvero* alle cellule tumorali che sopravvivono a questo trattamento pre-operatorio? Cambiano? E se sì, come? Questa è la domanda al centro di uno studio recente che mi ha molto colpito.

Capire il “Passaporto” del Tumore: I Sottotipi Molecolari

Prima di tuffarci nei risultati, facciamo un passo indietro. Non tutti i tumori al seno sono uguali. Li classifichiamo in base a delle “etichette” molecolari, dei biomarcatori che troviamo sulle cellule tumorali. I più famosi sono i recettori per gli estrogeni (ER), per il progesterone (PR) e il recettore 2 per il fattore di crescita epidermico umano (HER2). A questi si aggiunge spesso l’indice di proliferazione Ki-67. In base alla presenza o assenza di questi marcatori, distinguiamo diversi sottotipi:

  • Luminal A (ER+, PR+, HER2-, Ki-67 basso)
  • Luminal B HER2- (ER+, PR+/-, HER2-, Ki-67 alto)
  • Luminal B HER2+ (ER+, PR+/-, HER2+, qualsiasi Ki-67)
  • HER2+ (ER-, PR-, HER2+)
  • Triplo Negativo (TNBC) (ER-, PR-, HER2-)

Questa classificazione non è un esercizio accademico! È fondamentale perché ci guida nelle scelte terapeutiche. Un tumore Luminal risponderà probabilmente alla terapia ormonale, uno HER2+ ai farmaci anti-HER2, mentre per i Tripli Negativi la chemioterapia è spesso l’arma principale.

La Grande Domanda: La Terapia Neoadiuvante Può Cambiare il Sottotipo?

Ed eccoci al punto cruciale. La terapia neoadiuvante (NAC) mette sotto pressione le cellule tumorali. Alcune muoiono (e questo è l’obiettivo!), ma quelle che restano? Potrebbero essere diverse da quelle iniziali? Potrebbe cambiare il loro “passaporto” molecolare? E se sì, che impatto ha sulle cure successive?

Per rispondere, abbiamo condotto uno studio retrospettivo, andando a rivedere i dati di 316 pazienti trattate con NAC presso l’Ospedale Zhongnan dell’Università di Wuhan tra il 2017 e il 2024. Di queste, circa il 27% (84 pazienti) ha avuto una risposta patologica completa (pCR), il che significa che nel tessuto asportato chirurgicamente non c’erano più cellule tumorali invasive. Ottima notizia per loro, perché sappiamo che la pCR è associata a una prognosi migliore!

Ma cosa è successo alle altre 232 pazienti, quelle che avevano ancora malattia residua dopo la NAC? Abbiamo confrontato i biomarcatori (ER, PR, HER2, Ki-67) misurati sulla biopsia iniziale (prima della NAC) con quelli misurati sul pezzo chirurgico (dopo la NAC).

Fotografia di un laboratorio di patologia, un tecnico in camice bianco osserva attentamente un vetrino colorato al microscopio, sullo sfondo si intravedono altri strumenti di analisi come centrifughe e macchinari per l'immunoistochimica (IHC), luce da laboratorio chiara e focalizzata sull'area di lavoro, obiettivo 50mm, profondità di campo media per mantenere a fuoco sia il tecnico che parte dello sfondo.

I Risultati Sorprendenti: Sì, il Tumore Può Cambiare Faccia!

Ecco la sorpresa, o forse la conferma di un sospetto: in ben 85 pazienti su 232 (il 36.6%), il sottotipo molecolare del tumore residuo era diverso da quello iniziale! Più di un terzo delle pazienti con malattia residua ha visto cambiare le caratteristiche biologiche del proprio cancro.

Ma non è finita qui. La cosa ancora più importante è che per 45 di queste pazienti (il 19.3% del totale delle non-pCR, o il 53% di quelle con conversione), questo cambiamento ha avuto un impatto diretto sulla terapia adiuvante, cioè quella da fare dopo l’intervento. Immaginate: magari una paziente era inizialmente HER2+ e stava ricevendo una terapia mirata, ma dopo la NAC il tumore residuo è diventato HER2-. Continuare con la terapia anti-HER2 sarebbe inutile e potenzialmente tossico. Viceversa, un tumore che diventa positivo ai recettori ormonali dopo la NAC potrebbe beneficiare della terapia endocrina, che magari non era stata pianificata inizialmente.

Abbiamo visto diverse “rotte” di conversione:

  • Un terzo dei Luminal B HER2- è diventato Luminal A (spesso per un calo del Ki-67).
  • Circa il 22% dei Luminal B HER2+ è diventato Luminal B HER2-.
  • Circa il 15% dei Luminal B HER2+ è diventato HER2+ puro.
  • Quasi il 20% degli HER2+ è diventato Triplo Negativo.
  • Anche alcuni Tripli Negativi sono diventati Luminal B HER2- o HER2+.

Questi cambiamenti non sono casuali e sottolineano la plasticità del tumore sotto la pressione terapeutica.

Chi è Più a Rischio di Questo Cambiamento?

Ci siamo chiesti: c’è un “identikit” della paziente il cui tumore è più propenso a cambiare sottotipo dopo la NAC? L’analisi statistica ha fatto emergere alcuni fattori significativi:

  • Stato dei recettori ormonali (HR) prima della NAC: I tumori HR-positivi (Luminal) all’inizio avevano una probabilità molto più alta di cambiare sottotipo rispetto a quelli HR-negativi.
  • Risposta alla terapia: Le pazienti che avevano ottenuto una risposta parziale (PR) alla NAC (cioè una riduzione significativa ma non completa del tumore) avevano una probabilità maggiore di conversione rispetto a chi aveva avuto una risposta minore o progressione.
  • Tipo di intervento chirurgico: Chi ha potuto fare una chirurgia conservativa del seno dopo la NAC mostrava più frequentemente un cambio di sottotipo.

Quest’ultimo punto è interessante. Potrebbe suggerire che i tumori che rispondono meglio alla NAC, permettendo una chirurgia meno estesa, siano anche quelli biologicamente più “dinamici” e suscettibili a questi cambiamenti indotti dalla terapia. È come se la chemioterapia agisse da “selezione naturale”: elimina le cellule più sensibili, ma quelle che sopravvivono possono avere caratteristiche diverse, magari quelle che le hanno rese resistenti o semplicemente diverse da quelle che dominavano all’inizio. Anche la semplice eterogeneità del tumore (cioè la presenza di cellule diverse fin dall’inizio) e il fatto che la biopsia iniziale prenda solo un piccolo campione potrebbero giocare un ruolo, ma i nostri dati suggeriscono che l’effetto della terapia sia preponderante.

Un medico oncologo donna discute i risultati di un test mostrati su un tablet con una paziente seduta di fronte a lei in uno studio medico luminoso e accogliente. Il medico indica un grafico sullo schermo, le espressioni sono serie ma empatiche. Obiettivo 35mm, luce naturale che entra da una finestra laterale, duotone blu e grigio per un'atmosfera calma e professionale.

Perché Tutto Questo è Fondamentale nella Pratica Clinica?

Ve lo dico senza mezzi termini: questi risultati urlano l’importanza di ri-testare sempre i biomarcatori sul pezzo chirurgico dopo la terapia neoadiuvante, specialmente nelle pazienti che non hanno ottenuto una risposta completa. Non possiamo dare per scontato che il tumore residuo sia uguale a quello di partenza.

Ignorare questa possibilità significa rischiare di:

  • Dare terapie adiuvanti inutili (es. anti-HER2 a un tumore diventato HER2-).
  • Omettere terapie potenzialmente salvavita (es. terapia ormonale per un tumore diventato HR+).

Nel nostro studio, quasi 1 paziente su 5 con malattia residua ha avuto bisogno di un cambio di terapia adiuvante proprio a causa della conversione del sottotipo. È un numero troppo alto per essere ignorato.

Certo, lo studio ha dei limiti: è retrospettivo e condotto in un unico centro, quindi serviranno conferme su casistiche più ampie e diverse. Ma il messaggio è forte e chiaro.

Guardando al Futuro

La strada è quella della personalizzazione sempre più spinta. Capire i meccanismi esatti che guidano queste conversioni di sottotipo potrebbe aprirci nuove porte terapeutiche. Magari potremmo addirittura prevedere chi cambierà e come, adattando le strategie fin dall’inizio. Tecniche come le biopsie liquide o analisi genomiche più sofisticate sul tumore residuo ci aiuteranno a caratterizzare meglio la malattia che rimane dopo la NAC e a identificare chi è ancora ad alto rischio nonostante una buona risposta iniziale.

In conclusione, la terapia neoadiuvante è un’arma potente, ma dobbiamo essere consapevoli che può indurre cambiamenti significativi nel nemico che stiamo combattendo. La vigilanza, attraverso il ri-test dei biomarcatori dopo la NAC, è la nostra migliore alleata per assicurare a ogni paziente la terapia più giusta nel suo percorso di cura. È un passo fondamentale verso una medicina davvero di precisione.

Fonte: Springer

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