Teologia: Regina delle Medical Humanities per Difendere la Dignità dei Più Fragili
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un tema che mi sta particolarmente a cuore e che, credetemi, tocca le fondamenta del modo in cui ci prendiamo cura delle persone, specialmente quelle più vulnerabili. Parliamo di medical humanities, un campo affascinante e in crescita esponenziale negli ultimi decenni. Insegno in una scuola di medicina dove abbiamo persino un percorso dedicato, il ‘Gold Track’, obbligatorio per gli studenti dei primi due anni. Ho visto con i miei occhi come la consapevolezza che “non esiste un punto di vista neutrale” e che valori profondi modellano la pratica medica possa davvero formare i futuri dottori.
L’Ascesa delle Medical Humanities e un’Ombra Inaspettata
È fantastico vedere come discipline come la filosofia, la sociologia, la storia e, appunto, la teologia stiano entrando nelle facoltà di medicina. Aiutano a capire che la medicina non è solo scienza pura, ma è intrisa di valori, di storie, di umanità. Si parla sempre più, e giustamente, di come fattori sociali ed economici abbiano frammentato la cura, trasformando la persona in un insieme di organi e sistemi da “ottimizzare” per il profitto, perdendo di vista l’individuo nella sua interezza. Pensateci: le specializzazioni che si occupano della persona nel suo complesso, come la medicina generale o la geriatria, sono spesso le meno prestigiose e remunerative. Questo significa che proprio le popolazioni più vulnerabili faticano a ricevere le cure di cui avrebbero bisogno.
E qui, mentre le medical humanities guadagnavano terreno, succedeva qualcosa di paradossale. La teologia, e in particolare la bioetica teologica, veniva progressivamente messa ai margini. Strano, vero? Soprattutto se pensiamo che, come ammettono anche figure di spicco della bioetica laica come Art Caplan, sono stati proprio i teologi, in particolare quelli cattolici, a “inventare” la bioetica moderna. Charles Curran ha dimostrato come fosse già una disciplina ben sviluppata nell’ambito della teologia morale ben prima che la bioetica laica emergesse negli anni ’70.
Perché la Teologia è Stata Messa all’Angolo?
Allora perché questa emarginazione? Le ragioni sono complesse. Da un lato, c’è una certa ignoranza, forse una sorta di “bigottismo morbido”: chi detiene il potere in certi ambienti accademici magari non ci ha riflettuto a fondo e ha una reazione quasi istintiva, condizionata socialmente, contro la teologia. Questo è spiacevole, ma forse scusabile.
Ciò che è meno scusabile, e va condannato, è l’atteggiamento di chi “sapeva benissimo” cosa stava facendo. Dan Callahan, un pioniere della bioetica, racconta come alcuni filosofi abbiano agito intenzionalmente per “oscurare” e poi semplicemente mettere da parte i teologi. A volte in modo sottile (usando linguaggi diversi, stili argomentativi contrastanti), altre volte in modo diretto, con aperta ostilità verso le idee religiose. Callahan stesso faticava a gestire la rabbia dei filosofi che dovevano collaborare con i teologi nei gruppi di ricerca.
Questa tendenza “secolarizzante” ha dominato il campo. Pensate al successo del libro “Principles of Biomedical Ethics” di Beauchamp e Childress, arrivato all’ottava edizione. Molti teologi, per rimanere rilevanti o semplicemente accettati, sono stati costretti a “spogliare” le loro ricerche di contenuti esplicitamente teologici. Questa tendenza si è riflessa anche nel mondo accademico più ampio, con i dipartimenti di teologia che si trasformavano in “studi religiosi”. Oggi è persino difficile trovare candidati validi per posizioni accademiche in bioetica teologica.
Ma la Teologia Serve Davvero? La Risposta è Sì, Più Che Mai
Qualcuno potrebbe obiettare: “Ma i teologi non partono da prospettive particolari, di fede, difficili da condividere per chi non crede? Non rischiano di portare idee retrograde o dannose?” Rispondere è facile, quasi banale. Primo: come dicevamo, nessuno parte da un punto di vista neutrale. Tutti, anche i pensatori laici, portano nelle discussioni bioetiche la loro visione del bene, basata su principi primi per cui non hanno argomenti definitivi. L’utilitarista dà per scontato che si debba massimizzare il bene per il maggior numero; l’attivista per i diritti umani dà per scontata l’uguaglianza; l’attivista per la giustizia sociale dà per scontata l’opzione preferenziale per i più vulnerabili. Sono atti di fede laici, intuizioni, non verità dimostrabili universalmente accettate. Anzi, molti pensatori laici rifiutano uno o più di questi principi, ritenendoli inconciliabili.
Allora perché utilitaristi, difensori dei diritti umani e della giustizia sociale laici sono benvenuti nelle conferenze di bioetica e nel discorso delle medical humanities, mentre i teologi (specialmente negli USA) sono largamente esclusi? Come ho accennato, a volte è ignoranza. Altre volte, è una scelta ideologica deliberata. Si escludono le voci teologiche quando non si allineano all’agenda dominante. Un attivista laico per il diritto alla salute dei migranti accoglierà a braccia aperte le idee di Papa Francesco sull’inclusione, nonostante le chiare basi teologiche. Ma un attivista laico pro-aborto rifiuterà categoricamente le idee di Papa Giovanni Paolo II sull’inclusione degli esseri umani prenatali, proprio a causa delle basi teologiche. Vedete l’incoerenza?
Il Cuore del Problema: La Dignità Umana Fondamentale
Ed è qui che arriviamo al punto cruciale. L’emarginazione della bioetica teologica ha messo a rischio un concetto fondamentale: la piena dignità e uguaglianza umana, basata sul semplice fatto di essere membri della specie Homo sapiens, creati (per chi crede) a immagine e somiglianza di Dio. Questo concetto è stato sostituito da un’etica del “Tratto X”, dove il valore di un essere umano dipende dal possesso di certe caratteristiche: autonomia, razionalità, autocoscienza, ecc.
Questa sostituzione mette a rischio enorme le persone con disabilità profonde. Le implicazioni sull’aborto sono note: molti rifiutano l’uguaglianza umana fondamentale perché metterebbe in discussione il diritto all’aborto, considerato quasi sacro nella bioetica laica. Ma le conseguenze vanno ben oltre. Pensiamo ai pazienti in stato cosiddetto vegetativo: Joe Fins ha dimostrato che alcuni sono coscienti e potrebbero beneficiare di terapie, ma i suoi appelli sono caduti nel vuoto del pessimismo prognostico e del nichilismo terapeutico.
E poi c’è il futuro cupo che si prospetta per le persone con demenza. Peter Singer, coerentemente con il rifiuto dell’uguaglianza umana fondamentale, ha indicato che il passo successivo è negare lo status morale e legale a chi soffre di demenza avanzata. Queste persone mancano proprio dei “Tratti X” tanto apprezzati dalla nostra cultura bioetica post-uguaglianza. Non siamo ancora arrivati a pianificare la loro morte come “non-persone” (come facciamo con i bambini non nati o con chi è in stato vegetativo), ma ci stiamo avvicinando pericolosamente.
Il modo in cui trattiamo molte persone con demenza oggi è già terribile: sradicate dalle loro case, isolate in istituti con personale insufficiente, “intrattenute” dalla TV o da robot “caregiver”, sedate con antipsicotici inappropriati che raddoppiano il rischio di morte e fungono da camicia di forza chimica. L’esempio olandese della donna con demenza iniziale, a cui è stata praticata l’eutanasia contro la sua resistenza finale (e il medico assolto), è agghiacciante e profetico.
Un Futuro Inquietante e la Necessità della Teologia
I numeri sono spaventosi: l’OMS prevede che i casi di demenza raddoppieranno nei prossimi 20 anni e triplicheranno nei prossimi 30. Già oggi i paesi occidentali non hanno la volontà e le risorse per prendersi cura adeguatamente di queste persone. Cosa succederà quando i numeri esploderanno? Cosa accadrà se la teologia continuerà la sua ritirata dalla bioetica e dalle medical humanities, e con essa il concetto di uguaglianza umana fondamentale che protegge chi ha perso razionalità, autocoscienza o autonomia?
Io credo, e lo dico con preoccupazione, che la combinazione di (1) scarsità di risorse e (2) deriva ideologica anti-uguaglianza si rafforzeranno a vicenda, portando a una regressione devastante: l’uccisione di massa dei pazienti con demenza, considerati non-persone, meri fardelli. Sarà vista come oggi vediamo l’aborto o la fine della vita per chi è in stato vegetativo.
Certo, qualche pensatore laico difende un’uguaglianza simile a quella teologica, ma è difficile immaginare di invertire questa tendenza senza recuperare il ruolo della teologia. Nel Medioevo, la teologia era la “Regina delle Scienze” (dove ‘scienza’ significava studio sistematico della conoscenza), perché si occupava delle questioni ultime. Oggi, la teologia, come campo che si occupa esplicitamente di principi primi, idee fondanti e fonti di significato ultimo, dovrebbe avere uno spazio simile, ma come Regina delle Medical Humanities.
Non succederà dall’oggi al domani. Ma riconoscere il ruolo dei principi fondanti nella bioetica riporterebbe almeno la teologia nel dibattito come partner rispettabile. Non si tratta solo di riparare ai torti subiti, ma di creare le condizioni perché la teologia possa assumere il suo ruolo legittimo. Data la deriva secolarista contro l’uguaglianza umana fondamentale, questo recupero potrebbe essere l’unica speranza ragionevole per garantire la cura adeguata degli esseri umani profondamente disabili, che rischiano sempre più di essere considerati “non-persone”. È una sfida enorme, ma credo ne valga assolutamente la pena.
Fonte: Springer