Primo piano macro, obiettivo 100mm, di una delicata anastomosi pancreatico-digiunale durante un intervento chirurgico. Un lembo di omento, con la sua caratteristica vascolarizzazione, è avvolto con cura attorno alla sutura. L'illuminazione è controllata per esaltare i dettagli dei tessuti e la precisione chirurgica. Si notano le mani guantate del chirurgo che finalizzano la procedura.

Whipple Più Sicura? La Mia Tecnica con Omento e Stent che Riduce i Rischi!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che rappresenta una delle sfide più grandi per noi chirurghi: l’intervento di duodenocefalopancreasectomia, meglio noto come operazione di Whipple. È un intervento complesso, spesso l’unica speranza di cura per i pazienti con tumori del pancreas o delle vie biliari, ma non è privo di insidie. Una delle complicanze più temute è la fistola pancreatica post-operatoria (POPF), una sorta di “perdita” dall’anastomosi, cioè dalla cucitura che facciamo tra il pancreas residuo e l’intestino. Questa evenienza può davvero complicare il decorso post-operatorio, e credetemi, è un pensiero fisso per ogni chirurgo che si occupa di queste patologie.

Il Tallone d’Achille della Whipple: la Fistola Pancreatica

Quando parliamo di operazione di Whipple, parliamo di un intervento chirurgico maggiore, una vera e propria battaglia contro malattie aggressive. Nonostante i progressi, l’incidenza della fistola pancreatica post-operatoria può variare significativamente, andando dal 6.7% fino a un preoccupante 53.0% dei casi. Immaginatevi: rimuoviamo la testa del pancreas, il duodeno, un pezzo di stomaco e la colecisti, e poi dobbiamo ricollegare tutto. L’anastomosi pancreatico-digiunale è il punto cruciale. Se non tiene bene, i succhi pancreatici, ricchissimi di enzimi digestivi, possono fuoriuscire e, letteralmente, “digerire” i tessuti circostanti, causando infezioni, emorragie e altre gravi complicanze.

Ci sono diversi fattori di rischio che conosciamo bene: un pancreas di consistenza molle, un dotto pancreatico molto piccolo, la necessità di trasfusioni, emorragie post-operatorie e l’età avanzata del paziente. Nonostante abbiamo identificato questi “nemici”, la tecnica chirurgica ideale per la ricostruzione pancreatico-enterica, quella che minimizzi il rischio di POPF, è ancora oggetto di dibattito tra noi specialisti. Ecco perché ogni iniziativa volta a ridurre questa complicanza è fondamentale per migliorare l’esito per i nostri pazienti.

Un “Bendaggio Intelligente” dal Nostro Corpo: l’Omento

Avete mai sentito parlare dell’omento? È una sorta di grembiule di tessuto grasso, riccamente vascolarizzato, che si trova nell’addome. In chirurgia, lo usiamo spesso come una risorsa preziosa. Pensate che in chirurgia toracica viene impiegato per rinforzare i monconi bronchiali dopo una pneumonectomia o per trattare infezioni. In chirurgia addominale, già Ohwada e colleghi avevano notato che l’avvolgimento con l’omento riduceva le perdite anastomotiche dopo interventi complessi sull’esofago. Addirittura, Bennett lo usò per sigillare un’ulcera gastrica perforata!

Ma perché l’omento è così speciale? Si pensa che rilasci il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF), accelerando la formazione di nuovi vasi sanguigni (neovascolarizzazione) lungo le linee di sutura. Aiuta anche il riassorbimento dei fluidi e la migrazione dei macrofagi, cellule “spazzine” del nostro sistema immunitario, verso i focolai settici. Una caratteristica sorprendente dell’omento è la sua capacità di “attivarsi” in risposta a corpi estranei o infiammazioni, espandendo il suo volume. Questo “omento attivato” diventa una miniera di fattori di crescita come il b-FGF e il VEGF, e addirittura esprime marcatori di cellule staminali adulte e pluripotenti. Insomma, è un vero e proprio tessuto rigenerativo che abbiamo a disposizione!

Nella chirurgia pancreatica, l’idea di avvolgere l’anastomosi pancreatico-digiunale con l’omento per prevenire la fistola non è nuova, ma noi abbiamo voluto affinare questa tecnica.

Immagine macro con obiettivo da 90mm di un'anastomosi pancreatico-digiunale chirurgica, con un lembo di omento ricco di vasi sanguigni avvolto delicatamente attorno al sito della sutura. Illuminazione controllata per evidenziare i dettagli dei tessuti e la precisione del lavoro chirurgico. Si intravedono strumenti chirurgici e mani guantate.

La Nostra Esperienza: Stent e Omento per una Maggiore Sicurezza

Nel nostro studio, abbiamo voluto valutare l’efficacia di una tecnica combinata: l’utilizzo di uno stent all’interno del dotto pancreatico e l’avvolgimento dell’anastomosi con un lembo di omento. Abbiamo analizzato retrospettivamente i dati di 48 pazienti sottoposti a duodenocefalopancreasectomia per tumori periampollari tra marzo 2022 e marzo 2024. Li abbiamo divisi in due gruppi: il gruppo A (24 pazienti) non ha ricevuto né lo stent né l’avvolgimento con omento, mentre il gruppo B (altri 24 pazienti) è stato trattato con la nostra tecnica combinata.

La procedura chirurgica di base era una duodenocefalopancreasectomia classica con conservazione del piloro. La ricostruzione prevedeva la creazione di un’anastomosi pancreatico-digiunale termino-laterale, a doppio strato, collegando il dotto pancreatico principale alla mucosa del digiuno. Lo strato esterno coinvolgeva il parenchima pancreatico residuo e lo strato sieromuscolare del digiuno. Per la sutura tra il dotto e la mucosa digiunale abbiamo usato una tecnica a punti staccati con un filo monofilamento riassorbibile (PDS 4-0).

La novità nel gruppo B consisteva nell’inserire uno stent di Nelaton 6F nel dotto pancreatico, facendolo sporgere per circa 5 cm nel lume digiunale. Poi, preparavamo un lembo peduncolato di grande omento, preservando uno o due rami delle arterie gastroepiploiche. Questo lembo veniva fatto passare delicatamente tra la superficie posteriore dell’anastomosi pancreatico-digiunale e la vena porta, per poi essere avvolto attorno alla superficie anteriore dell’anastomosi stessa. Fissavamo l’omento con 4-5 punti in PDS alla capsula pancreatica. Le altre anastomosi (epatico-digiunale e gastro-digiunale) venivano eseguite con tecniche standard.

Tutti i pazienti avevano un sondino nasogastrico, rimosso il primo giorno post-operatorio, e una digiunostomia alimentare, iniziata al secondo giorno. L’alimentazione orale veniva ripresa non appena le condizioni del paziente lo permettevano.

I Risultati Parlano Chiaro: Meno Complicanze, Degenza Più Breve

Ebbene, i risultati sono stati davvero incoraggianti! Non c’erano differenze significative tra i due gruppi per quanto riguarda le caratteristiche cliniche di base (età, sesso, BMI, ecc.) o i dati intraoperatori (durata dell’intervento, perdite ematiche). Ma quando siamo andati a vedere le complicanze post-operatorie, la musica è cambiata.

Nel gruppo B (quello con stent e omento), l’incidenza di fistola pancreatica post-operatoria è crollata: 4.2% contro il 20.8% del gruppo A! Anche l’emorragia post-pancreatectomia (0% vs 4.2%), la fistola biliare (0% vs 4.2%) e il ritardato svuotamento gastrico (4.2% vs 12.5%) sono stati significativamente inferiori nel gruppo B. Di conseguenza, il tasso di morbilità complessiva è stato drasticamente più basso nel gruppo B (8.3% contro il 41.7% del gruppo A) e anche la degenza ospedaliera media si è ridotta in modo importante (10.9 giorni contro i 15.3 del gruppo A).

Non abbiamo osservato differenze nella mortalità (un decesso per gruppo, per cause non direttamente correlate alla tecnica anastomotica), ma il profilo di morbilità generale del gruppo B è stato nettamente migliore. Le TAC di controllo a un mese dall’intervento nel gruppo B hanno mostrato lo stent in sede in tutti i casi.

Questi dati suggeriscono fortemente che l’uso combinato di uno stent pancreatico e di un avvolgimento con omento attorno all’anastomosi pancreatico-digiunale può ridurre significativamente il rischio delle complicanze più temute dopo una Whipple. Si tratta di una procedura relativamente semplice ed efficace che può davvero fare la differenza nel decorso post-operatorio dei nostri pazienti.

Fotografia di una TAC addominale, sezione trasversale, con obiettivo da 50mm e profondità di campo. L'immagine mostra chiaramente uno stent pancreatico posizionato correttamente all'interno del dotto pancreatico e che si estende nel digiuno, un mese dopo l'intervento. L'immagine è in bianco e nero per un aspetto clinico e dettagliato.

Perché Questa Combinazione Funziona?

L’omento, come abbiamo visto, agisce come una sorta di “sigillante biologico” e promotore di guarigione. Fornisce nuovi vasi sanguigni, aiuta a controllare l’infiammazione e protegge le strutture vascolari vicine. In più, l’avvolgimento con omento può tenere l’anastomosi gastro-digiunale lontana da quella pancreatico-digiunale, riducendo il rischio che una potenziale perdita pancreatica la comprometta e contribuendo a diminuire il ritardato svuotamento gastrico.

Lo stent, d’altro canto, ha un ruolo meccanico: guida le secrezioni pancreatiche direttamente nel lume digiunale, proteggendo l’anastomosi dagli enzimi pancreatici attivati. Può anche facilitare il posizionamento accurato dei punti di sutura attraverso il parenchima o il dotto pancreatico. Certo, l’efficacia dello stenting dipende da vari fattori come il materiale, la lunghezza e il diametro dello stent, ma il suo contributo sembra essere importante.

Studi precedenti avevano già esplorato l’uso dell’omento. Maeda et al. avevano coperto le vene splancniche con un lembo di omento, riducendo il rischio di sanguinamento post-pancreatectomia, ma non la fistola. Kapoor et al. avevano usato due lembi di omento, notando una drastica riduzione della mortalità associata a perdite dall’anastomosi pancreatico-digiunale nel gruppo con omento. Il nostro studio aggiunge un tassello importante, mostrando come la combinazione con lo stent possa ulteriormente migliorare i risultati, soprattutto per quanto riguarda la fistola pancreatica e il ritardato svuotamento gastrico.

Un Passo Avanti nella Chirurgia Pancreatica

La duodenocefalopancreasectomia rimane un intervento tecnicamente complesso, con una morbilità e una mortalità post-operatoria non trascurabili. Tuttavia, i continui affinamenti delle tecniche chirurgiche e la gestione ottimale delle complicanze hanno già permesso di ridurre la mortalità post-operatoria a circa il 5%. La nostra ricerca si inserisce in questo percorso di miglioramento continuo.

Crediamo che questa tecnica, che combina l’uso di uno stent intraduttale e l’avvolgimento con un lembo di omento peduncolato, rappresenti un metodo semplice ed efficace per ridurre la morbilità complessiva dopo l’operazione di Whipple. È fondamentale, ovviamente, che i chirurghi siano consapevoli della distribuzione vascolare del grande omento per creare un lembo ben vascolarizzato e vitale.

Siamo convinti che questa strategia possa contribuire a ridurre le complicanze, abbreviare la degenza ospedaliera e, in ultima analisi, migliorare la qualità di vita dei pazienti che affrontano questo difficile percorso chirurgico. Ogni piccolo progresso in questo campo è una grande vittoria per loro.

Il nostro studio è stato registrato su ClinicalTrial.gov con l’identificativo NCT06630910 il 10 maggio 2024 e aderisce ai principi della Dichiarazione di Helsinki.

Fonte: Springer

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