Riscoprire Härtel: Un Nuovo Sguardo all’Iniezione di Glicerolo per la Nevralgia del Trigemino
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi affascina molto nel campo della neurochirurgia e della terapia del dolore: la nevralgia del trigemino. Chi ne soffre sa quanto possa essere invalidante, con quelle scosse elettriche improvvise al volto. Fortunatamente, esistono diverse opzioni terapeutiche, e tra queste ci sono le tecniche percutanee, procedure minimamente invasive che mirano a “calmare” il nervo trigemino. Una di queste è l’iniezione percutanea transovale di glicerolo (GI), introdotta nel 1981 e ancora oggi utilizzata.
Però, c’è un “ma”. Nonostante sia una tecnica diffusa, i risultati possono essere piuttosto variabili rispetto ad altre procedure percutanee. Molti neurochirurghi affermano di seguire la tecnica originale descritta da un pioniere, un certo Härtel, più di un secolo fa. Eppure, sembra che nel tempo siano nate tante piccole variazioni sul tema. E se fossero proprio queste differenze a spiegare i problemi tecnici che a volte si incontrano e i risultati non sempre ottimali? È una domanda che mi sono posto spesso, e recentemente uno studio basato su immagini moderne ha cercato di fare chiarezza, tornando alle origini per capire meglio.
Chi era Härtel e cosa ha inventato?
Facciamo un salto indietro nel tempo, al 1912. Fritz Härtel, un chirurgo tedesco, fu il primo a descrivere in modo sistematico un percorso affidabile per raggiungere il ganglio trigeminale (il “centro di controllo” del nervo) passando attraverso un piccolo foro alla base del cranio chiamato forame ovale (FO). Prima di lui, si tentava un approccio laterale, sotto l’arco zigomatico, ma non sempre si riusciva a raggiungere il bersaglio.
Härtel, studiando cadaveri, capì che il forame ovale non era solo un buco, ma quasi un piccolo canale nell’osso sfenoide. Definì un “asse trigeminale sicuro” per evitare di danneggiare strutture delicate come l’arteria carotide interna. Il suo punto d’ingresso preferito sulla guancia (l’Einstichpunkt) si trovava, nel 40% dei casi, all’altezza del secondo molare superiore, circa 3 cm dietro l’angolo della bocca e 8 mm sopra il piano orizzontale. Da lì, mirava la punta dell’ago verso due punti di riferimento esterni: la pupilla dello stesso lato (vista frontalmente) e il tubercolo articolare dell’arco zigomatico (vista lateralmente). Usava una tecnica a mano libera, senza l’aiuto della fluoroscopia (i raggi X in tempo reale che usiamo oggi), e riusciva a penetrare il forame nel 94% dei casi! Il suo obiettivo era iniettare alcol nel ganglio per ottenere un’anestesia completa del trigemino, considerato all’epoca un risultato ottimale per trattare la nevralgia. Impressionante per i tempi, vero?
L’arrivo del Glicerolo e le prime Modifiche
Passano decenni, e nel 1981 lo svedese Håkanson introduce l’uso del glicerolo al posto dell’alcol. Il glicerolo è meno aggressivo e mira a danneggiare selettivamente le fibre nervose responsabili del dolore, preservando per quanto possibile la sensibilità normale. Håkanson dichiarò di usare la tecnica “come descritta originariamente da Härtel”, ma con una differenza fondamentale: utilizzava la fluoroscopia per guidare l’ago. E non solo: mirava specificamente alla parte mediale (interna) del forame ovale per raggiungere il cavo di Meckel, una piccola “sacca” che contiene il liquido cerebrospinale e le radici del nervo trigemino, confermando il corretto posizionamento con la fuoriuscita di questo liquido e poi con una cisternografia (un’iniezione di mezzo di contrasto). Quindi, pur richiamandosi a Härtel, Håkanson introdusse già delle modifiche significative mirate a raggiungere uno spazio specifico (il cavo di Meckel) piuttosto che il centro del ganglio.
Il Problema della Variabilità: Perché i Risultati Cambiano?
Nonostante l’intento di seguire Härtel (o la versione modificata di Håkanson), come accennavo all’inizio, i risultati dell’iniezione di glicerolo pubblicati in letteratura sono stati storicamente più incostanti rispetto ad altre tecniche come la termorizotomia a radiofrequenza o la compressione con palloncino. Come mai? Alcuni autori hanno suggerito che molti chirurghi, nel tempo, abbiano sviluppato delle “proprie versioni” della tecnica, magari modificando leggermente il punto d’ingresso, l’angolazione dell’ago o i riferimenti usati. Questa variabilità tecnica potrebbe essere la chiave per spiegare perché a volte la procedura non va a buon fine o l’efficacia è minore del previsto.
Sappiamo anche che la procedura non è esente da difficoltà tecniche. Uno studio del 2002 riportava difficoltà in quasi metà delle procedure, necessità di riposizionare l’ago nel 40% dei casi (spesso per un posizionamento troppo basso, sotto il forame) e interruzione della procedura nell’8% dei casi. Certo, oggi si possono usare tecnologie sofisticate come la neuronavigazione o la stereotassi per aumentare la precisione, ma sono costose e richiedono più tempo. L’ideale sarebbe mantenere la procedura semplice, ma tecnicamente impeccabile, per renderla meno dolorosa, più sicura ed efficiente, minimizzando anche l’esposizione ai raggi X.
Riscoprire Härtel con la Tecnologia Moderna: Lo Studio con CT e MRI
Ed è qui che entra in gioco lo studio recente che ha riacceso il mio interesse. I ricercatori si sono chiesti: possiamo usare le moderne tecniche di imaging come la Tomografia Computerizzata (CT) e la Risonanza Magnetica (MRI) per rivisitare la tecnica di Härtel e identificare, con la precisione attuale, il punto d’ingresso e la traiettoria *davvero* ottimali per raggiungere il cavo di Meckel attraverso il forame ovale?
Hanno preso le immagini CT e MRI di 11 pazienti che dovevano essere trattati per nevralgia del trigemino. Utilizzando un software specifico (3D Slicer), hanno “fuso” le immagini CT (che mostrano bene le ossa) e MRI (che mostrano meglio i tessuti molli, come il nervo e il cavo di Meckel). Hanno poi segmentato, cioè evidenziato digitalmente, il cavo di Meckel su ciascun lato. A questo punto, hanno iniziato a simulare al computer diverse traiettorie, come se stessero inserendo un ago virtuale dalla guancia verso il forame ovale e il cavo di Meckel. Hanno cercato i punti d’ingresso più alti e più bassi sulla guancia da cui era *possibile* accedere al cavo di Meckel, e poi hanno definito un intervallo di punti d’ingresso “facili” (easy hits), quelli da cui si poteva raggiungere agevolmente il cavo passando per almeno metà del forame ovale, preferibilmente nella sua parte mediale. Hanno anche simulato l’asse trigeminale originale di Härtel (dal centro dell’impronta trigeminale sull’osso petroso, attraverso il centro del forame, fino alla guancia) per confrontarlo con i loro risultati.
La Sorpresa: Il Punto d’Ingresso Ideale è Più Basso!
E qui arriva la parte interessante. Lo studio ha confermato che non esiste un singolo punto d’ingresso “magico” valido per tutti, come già Härtel aveva notato. L’anatomia varia. Tuttavia, la simulazione ha identificato un’area *ottimale* per il punto d’ingresso: circa 2 mm sotto il piano orizzontale passante per l’angolo della bocca, e lateralmente, appena davanti al bordo anteriore della mandibola (circa 3 cm dall’angolo della bocca). Sorprendentemente, questo punto è circa 10 mm più in basso rispetto al punto preferito da Härtel (che era 8 mm *sopra* il piano orizzontale).
Perché questo punto più basso funziona meglio? Dalle simulazioni è emerso che, partendo da questo livello (-2 mm), il cavo di Meckel era facilmente accessibile attraverso la parte mediale del forame ovale nella maggioranza dei casi (17 su 22 lati studiati, il 77%). Negli altri 5 casi, era comunque raggiungibile mantenendo l’ago il più medialmente possibile o spostando leggermente il punto d’ingresso (tra +5 mm e -8 mm).
Al contrario, partendo da punti più alti (come quello di Härtel, o anche solo a +5 mm sopra il piano orizzontale), in molti casi il forame ovale appariva nelle simulazioni come una fessura stretta, rendendo l’accesso più difficile. Partendo invece da punti molto più bassi (sotto i -7 mm), il forame si apriva bene, ma il bordo posteriore del forame stesso iniziava a nascondere il cavo di Meckel. Quindi, sembra esserci davvero un “sweet spot” leggermente più basso di quanto si pensasse seguendo Härtel alla lettera.
Perché questa Differenza con Härtel?
Come si spiega questa discrepanza di ben 10 mm rispetto al punto indicato da Härtel? Ci sono diverse ipotesi plausibili:
- Obiettivo diverso: Härtel mirava al centro del ganglio trigeminale nell’impronta sull’osso petroso. Per raggiungere il cavo di Meckel attraverso la parte mediale del forame (come fa la tecnica moderna con glicerolo), serve una traiettoria leggermente più ripida e mediale, che “esce” sulla guancia in un punto più basso. Le simulazioni dello studio lo confermano: simulando l’asse di Härtel, questo usciva sulla guancia in media 2.4 mm *sopra* il piano orizzontale, molto più in alto del punto ottimale identificato per raggiungere il cavo di Meckel.
- Differenze tra cadaveri e viventi: Härtel lavorava su cadaveri. È possibile che alcuni dei suoi campioni fossero di persone anziane o malnutrite (cachettiche), con guance incavate. Questo potrebbe aver “alzato” artificialmente il punto d’ingresso rispetto a individui viventi con tessuti molli normali.
- Movimento dei tessuti molli: Questa è una considerazione clinica importante. Quando si inserisce l’ago in un paziente sveglio, i tessuti molli della guancia (pelle, grasso, muscoli) non sono rigidi come in un cadavere. È probabile che la punta dell’ago, una volta inserita, tenda a spostarsi leggermente verso l’alto a causa della tensione dei tessuti o delle contrazioni muscolari involontarie. Lo studio suggerisce che, per compensare questo effetto, nella pratica clinica il punto d’ingresso ottimale potrebbe essere anche un po’ più basso dei -2 mm identificati dalla simulazione statica (infatti, l’esperienza clinica degli autori dello studio suggerisce che abbassare il punto a -10 mm ha migliorato ulteriormente i tassi di successo).
Implicazioni Pratiche: Come Migliorare la Tecnica Oggi?
Cosa ci portiamo a casa da tutto questo? Secondo me, questo studio, pur basato su un numero limitato di pazienti, offre spunti preziosi per affinare la tecnica dell’iniezione transovale di glicerolo e renderla più standardizzata e affidabile. Le raccomandazioni che emergono sono:
- Scegliere un punto d’ingresso ottimale: Basandosi sulle simulazioni, un punto appena sotto il piano orizzontale dell’angolo della bocca (circa -2 mm) e subito davanti alla mandibola sembra ideale. Nella pratica, potrebbe essere utile scendere ancora di qualche millimetro (fino a -10 mm) per compensare lo spostamento dei tessuti molli.
- Guidare l’ago con la fluoroscopia nella parte mediale del forame ovale: Questo è cruciale per centrare il cavo di Meckel, che è il vero bersaglio del glicerolo.
- Minimizzare il movimento dei tessuti molli della guancia: Bisogna fare attenzione a come si tiene e si inserisce l’ago per evitare spostamenti indesiderati.
- Considerare la simulazione 3D preoperatoria nei casi difficili: Se ci sono variazioni anatomiche o anomalie del forame ovale (che non sono rare), pianificare la traiettoria al computer prima della procedura può essere di grande aiuto.
In conclusione, è affascinante vedere come, a più di cento anni di distanza, la tecnica pionieristica di Härtel sia ancora la base per trattamenti moderni. Ma è altrettanto importante non darla per scontata e usare gli strumenti che abbiamo oggi, come l’imaging avanzato e le simulazioni, per comprenderla meglio e ottimizzarla. Rivisitare questi approcci classici con occhi nuovi può davvero fare la differenza nel migliorare la precisione, la sicurezza e, soprattutto, i risultati per i pazienti che lottano contro il dolore lancinante della nevralgia del trigemino.
Fonte: Springer