Infliximab e Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali: Ogni Quanto Controllare? La Risposta Che (Forse) Cercavi!
Ciao a tutti! Se siete qui, probabilmente avete a che fare, direttamente o indirettamente, con le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI), come il Morbo di Crohn o la Colite Ulcerosa. E magari conoscete anche l’Infliximab (IFX), uno di quei farmaci biologici che hanno davvero cambiato la vita a molti di noi, aiutandoci a tenere a bada l’infiammazione e a ritrovare un po’ di normalità.
Ma c’è un “ma”, come spesso accade. L’Infliximab è un po’ una primadonna: per funzionare al meglio, deve essere presente nel nostro corpo alla giusta concentrazione. Né troppo poco, altrimenti non fa effetto o smette di farlo (il cosiddetto fallimento farmacocinetico o PK failure), né (idealmente) troppo, anche se il problema principale è quasi sempre averne troppo poco.
Il Dilemma del Monitoraggio: Reattivo vs Proattivo
Qui entra in gioco il famoso Monitoraggio Terapeutico del Farmaco (TDM). In pratica, si misura quanto Infliximab abbiamo nel sangue (il livello “di valle” o trough level, TL) poco prima della successiva infusione.
Tradizionalmente, si usa un approccio “reattivo”: misuriamo i livelli solo se le cose iniziano ad andare male, se i sintomi ritornano o peggiorano (perdita di risposta secondaria, LOR). Questo ci aiuta a capire *perché* il farmaco non funziona più (livelli bassi? anticorpi contro il farmaco?) e a decidere come procedere.
Ultimamente, però, si fa strada un’idea diversa: il TDM proattivo. Significa controllare i livelli regolarmente, anche quando stiamo bene, per assicurarci che siano sempre nel range giusto (di solito, si punta a un TL ≥ 3 µg/mL) e, se necessario, aggiustare la dose o la frequenza delle infusioni *prima* che i problemi si presentino. Diversi studi suggeriscono che questo approccio possa migliorare l’efficacia a lungo termine del trattamento e ridurre le ricadute.
Bello, no? Sì, ma c’è un piccolo intoppo. Fare prelievi e analisi di continuo può essere scomodo per noi pazienti, per non parlare dei costi per il sistema sanitario. E poi, se sto bene e i miei livelli sono stabili, ha davvero senso controllarli ogni due per tre? Le linee guida attuali, infatti, sono ancora un po’ caute nel raccomandare il TDM proattivo come standard per tutti, proprio per la mancanza di prove definitive sulla sua superiorità rispetto alla gestione abituale e per le questioni di costi e compliance.
La Domanda da un Milione di Dollari: Qual è l’Intervallo Giusto?
Ed eccoci al punto cruciale: se il TDM proattivo può essere utile, ma farlo troppo spesso è problematico, qual è la frequenza ideale? Ogni quanto dovremmo controllare i livelli di Infliximab quando siamo in remissione e la terapia sembra funzionare bene?
Per rispondere a questa domanda, un gruppo di ricercatori ha condotto uno studio prospettico molto interessante (pubblicato su Springer, trovate il link alla fine!). Hanno seguito per circa 18 mesi un gruppo di 103 pazienti con IBD (la maggior parte con Crohn, 10 con Colite Ulcerosa) che erano in remissione clinica stabile grazie alla terapia di mantenimento con Infliximab ogni 8 settimane. Tutti i partecipanti avevano un livello di IFX TL ≥ 3 µg/mL all’inizio dello studio, dopo un’eventuale ottimizzazione iniziale della dose.
L’obiettivo era semplice: misurare i livelli di Infliximab prima di *ogni* infusione e vedere quanto tempo passava prima che si verificasse una “ricaduta farmacocinetica” (PK relapse), definita come due misurazioni consecutive con TL < 3 µg/mL.

Cosa Abbiamo Imparato dallo Studio?
I risultati sono stati illuminanti. Vediamoli insieme:
- Non tutti mantengono i livelli ottimali per sempre: Circa il 18.5% dei pazienti (19 su 103) ha avuto una ricaduta farmacocinetica durante il follow-up.
- Il livello di partenza conta: Chi partiva con livelli “appena sufficienti” (tra 3 e 5 µg/mL) aveva un rischio maggiore di scendere sotto la soglia (26.7% di ricadute) rispetto a chi partiva con livelli più alti (≥ 5 µg/mL), dove solo il 7% ha avuto una ricaduta. Questo suggerisce che avere un “cuscinetto” in più aiuta a mantenere i livelli stabili più a lungo.
- La “durata” dei livelli terapeutici: Usando un’analisi statistica specifica (Kaplan-Meier), i ricercatori hanno calcolato per quanto tempo una certa percentuale di pazienti riusciva a mantenere i livelli sopra la soglia critica senza ricadute PK. E qui arriva il dato forse più utile per noi:
- Il 90% dei pazienti manteneva livelli terapeutici per almeno 10.3 mesi.
- L’85% dei pazienti manteneva livelli terapeutici per almeno 13.3 mesi.
- L’80% dei pazienti manteneva livelli terapeutici per almeno 14.3 mesi.
- Differenze basate sul livello iniziale: Se guardiamo i due gruppi separatamente, chi partiva con livelli tra 3-5 µg/mL manteneva l’85% di persistenza per circa 10.3 mesi. Chi partiva con livelli ≥ 5 µg/mL, invece, raggiungeva ben 20.2 mesi per la stessa soglia dell’85%!
- Ricaduta farmacocinetica non significa automaticamente ricaduta clinica: È importante notare che, anche se i livelli scendevano (PK relapse), non tutti i pazienti sviluppavano subito sintomi o infiammazione (PK failure). Anzi, il tasso di fallimento farmacocinetico (cioè ricaduta clinica/biochimica *dopo* la ricaduta PK) era basso (circa 7% in 24 mesi) e simile nei due gruppi, probabilmente perché una volta identificato il calo dei livelli, si poteva intervenire ottimizzando la dose.
Allora, la Risposta è… Controllo Annuale?
Basandosi su questi dati, lo studio suggerisce una conclusione molto pratica: per i pazienti con IBD in remissione clinica stabile sotto terapia di mantenimento con Infliximab, un controllo annuale (ogni 12 mesi) dei livelli del farmaco (IFX TL) potrebbe essere un buon compromesso.
Perché? Perché permette di identificare quel 15% circa di pazienti i cui livelli potrebbero scendere sotto la soglia terapeutica nell’arco di un anno (visto che l’85% li mantiene per circa 13.3 mesi), consentendo un intervento precoce per aggiustare la terapia prima che si verifichi una vera ricaduta clinica.
Questo approccio annuale bilancia l’esigenza di monitorare l’efficacia del farmaco con la necessità di ridurre i disagi per i pazienti e i costi per il sistema sanitario legati a controlli troppo frequenti.

Ovviamente, per quei pazienti che partono già con livelli più alti (≥ 5 µg/mL), l’intervallo potrebbe potenzialmente essere anche più lungo, forse fino a 20 mesi, ma un controllo annuale sembra comunque una strategia sicura e ragionevole per la maggior parte dei pazienti stabili.
Mettere le Cose in Prospettiva
Questi risultati si inseriscono in un dibattito scientifico ancora aperto. Alcuni studi precedenti, come TAXIT e TAILORIX, non avevano dimostrato una chiara superiorità del TDM proattivo rispetto a quello reattivo o all’ottimizzazione basata solo sui sintomi, specialmente in pazienti già in terapia da tempo o all’inizio del trattamento. Altri studi più recenti, come PRECISION, PAILOT (su Adalimumab) e NOR-DRUM, e diverse meta-analisi, sembrano invece pendere a favore del TDM proattivo, associandolo a migliori risultati a lungo termine, minor rischio di fallimento terapeutico e meno ospedalizzazioni.
Lo studio che stiamo discutendo aggiunge un tassello importante, non tanto dicendo SE fare il TDM proattivo, ma suggerendo QUANDO farlo in modo ottimale nei pazienti stabili. L’idea è quella di usare il TDM non solo per reagire ai problemi, ma per *prevenirli*, identificando precocemente chi è a rischio di perdere risposta e intervenendo per mantenere l’efficacia dell’Infliximab il più a lungo possibile.
Anche la questione della costo-efficacia è complessa. Alcune analisi suggeriscono che il TDM proattivo sia vantaggioso, altre indicano costi incrementali elevati rispetto al TDM reattivo. Ottimizzare la frequenza dei controlli, come suggerito da questo studio (ad esempio, annualmente), potrebbe rendere il TDM proattivo più sostenibile economicamente.
Qualche Precisazione (Limitazioni dello Studio)
Come ogni studio scientifico, anche questo ha delle limitazioni che è giusto menzionare:
- La maggior parte dei partecipanti aveva il Morbo di Crohn; i risultati potrebbero non essere identici per la Colite Ulcerosa, dove la gestione dei livelli potrebbe essere diversa.
- La soglia terapeutica usata era ≥ 3 µg/mL, che è comunemente accettata ma potrebbe essere discussa o personalizzata.
- I risultati si applicano a pazienti stabili e in remissione clinica. Chi ha una malattia più attiva, chi è all’inizio della terapia (fase di induzione), o chi ha condizioni particolari (es. colite acuta severa) potrebbe aver bisogno di controlli più frequenti.
- Il follow-up di 18.5 mesi è buono, ma un periodo più lungo potrebbe rivelare dinamiche a lunghissimo termine.

In Conclusione: Un Passo Avanti Verso la Personalizzazione
Nonostante le limitazioni, questo studio ci offre un’indicazione pratica preziosa: per molti di noi che convivono con le MICI e sono in remissione stabile con Infliximab, un controllo annuale dei livelli del farmaco sembra essere una strategia sensata ed efficace per bilanciare monitoraggio, efficacia, comodità e costi.
È un passo avanti verso una gestione più personalizzata e proattiva della terapia, che mira a mantenere i benefici del farmaco nel tempo, riducendo il rischio di ricadute e la necessità di interventi più drastici. Certo, serviranno ulteriori studi per confermare questi risultati su larga scala e in diverse popolazioni di pazienti, ma la direzione sembra tracciata.
Parliamone con il nostro gastroenterologo: un controllo annuale potrebbe essere la strategia giusta anche per noi?
Fonte: Springer
