Svezia, Culla della Contraccezione: Come Nascque un Modello Globale tra Scienza e Aiuti
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi indietro nel tempo, a metà del XX secolo, un periodo in cui il mondo tremava all’idea della sovrappopolazione. Sembra strano, vero? Ma allora era un’ansia palpabile, quasi un’ossessione. E in questo scenario globale, un tema delicato come il controllo delle nascite smise di essere solo una questione legata al sesso e divenne, quasi dall’oggi al domani, una faccenda di sopravvivenza globale, legata alla fame nel mondo.
Immaginatevi la scena: alcune nazioni viste come bisognose d’aiuto, altre politicamente troppo “sensibili” all’argomento, altre ancora considerate capaci finanziariamente. E poi c’era lei, la Svezia. Un paese che, per una serie di motivi affascinanti, venne identificato come il luogo ideale per sviluppare le tecnologie contraccettive del futuro. Ma come ha fatto la Svezia, un paese senza problemi interni di sovrappopolazione, a diventare protagonista in questo campo, legando la ricerca sulla riproduzione agli aiuti internazionali? È una storia intrigante che mescola scienza, politica, etica e immagine nazionale.
L’Allarme Globale: Sovrappopolazione e la Corsa alle Soluzioni
Negli anni ’50 e ’60, l’idea che il pianeta fosse sovraffollato prese piede in molte istituzioni potenti. Figure influenti, fondazioni private americane, persino l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), iniziarono a vedere la crescita demografica come un problema serissimo che richiedeva soluzioni immediate. All’inizio, parlare di controllo delle nascite era un tabù. Molti paesi vedevano la contraccezione come qualcosa contro natura, immorale, quasi un suicidio collettivo. Ci furono minacce di boicottaggio all’OMS se avesse osato promuovere programmi di pianificazione familiare su larga scala.
Ma la Svezia, già nel 1958, ruppe gli indugi, offrendo assistenza per la pianificazione familiare a Ceylon (l’attuale Sri Lanka). Fu uno dei primissimi paesi a farlo, un passo audace in un contesto internazionale molto cauto. Eppure, nonostante le resistenze iniziali, verso la fine degli anni ’60, la necessità di un centro di ricerca sulla riproduzione era ormai sentita da molti. E qui entra in gioco la nostra Svezia.
Perché Proprio la Svezia? Un Mix Unico di Fattori
Vi chiederete: perché la Svezia? Non avevano problemi di sovrappopolazione interna. Eppure, c’era un forte interesse a contribuire a risolvere questo problema globale. Un funzionario di una potente fondazione americana, nel 1968, scrisse che in Svezia la ricerca clinica poteva procedere “molto più rapidamente” che negli USA, grazie a regolamenti medici meno conservatori rispetto a quelli della FDA americana. La velocità era essenziale in quel momento.
Ma non era solo la “velocità” normativa. La Svezia aveva una storia particolare. Già dagli anni ’30, il paese aveva iniziato a confrontarsi apertamente con le questioni legate alla sessualità e alla riproduzione. Pensate alla RFSU (Associazione Svedese per l’Educazione Sessuale), fondata nel 1933, che apriva cliniche e promuoveva l’educazione sessuale. O alla Commissione sulla Popolazione (attiva tra il 1935 e il 1938) che raccomandava l’educazione sessuale nelle scuole e l’abolizione del divieto di informazione sui contraccettivi. Nello stesso periodo, però, veniva introdotta anche una legge sulla sterilizzazione (spesso non consensuale) per ragioni eugenetiche o sociali, mostrando la complessità dell’approccio svedese alla gestione della riproduzione.
Importante fu anche la Legge sull’Aborto del 1938, che legalizzava l’interruzione di gravidanza per motivi medici, eugenetici o umanitari (come stupro o incesto). Sebbene restrittiva per gli standard odierni, questa legge creò un contesto in cui la ricerca legata all’aborto era possibile, a differenza di molti altri paesi. Questo mix di liberalizzazione (seppur parziale), istituzioni dedicate (come la RFSU), un certo pragmatismo statale e una cultura di ricerca medica avanzata rese la Svezia un terreno fertile.
Terreno di Prova: Gli IUD e l’Equilibrio Legale
Parliamo di tecnologie specifiche. Prendiamo gli IUD (Dispositivi Intrauterini), le famose “spirali”. In Svezia, un regio proclama del 1938 ne aveva vietato l’uso, classificandoli come abortivi. Ma alla fine degli anni ’50, nuove ricerche internazionali sugli IUD sembravano promettenti. Medici svedesi, spesso legati alla RFSU o all’Ufficio di Igiene Mentale (MHB) di Stoccolma, chiesero al Consiglio Nazionale della Medicina (l’autorità sanitaria governativa) il permesso di testare nuovi modelli di IUD, come la spirale di Margulies e il loop di Lippes, fatti di plastica flessibile e più facili da inserire.
C’era una certa tensione: la Svezia forniva già IUD nei suoi programmi di aiuto all’estero (Ceylon, Pakistan), ma erano vietati alle donne svedesi! Per ottenere il permesso per i trial clinici, i ricercatori dovettero assicurare che gli IUD sarebbero stati inseriti solo durante il ciclo mestruale, per evitare qualsiasi effetto abortivo e aggirare le complessità della legge sull’aborto del 1938. I test iniziarono nel 1964, coinvolgendo circa 250 donne, e i risultati furono incoraggianti. Questo lavoro svedese fu persino incluso in un grande studio internazionale coordinato dal Population Council americano (il Cooperative Statistical Program – CSP), che mirava a riabilitare l’immagine degli IUD.
I ricercatori non si limitarono a testare: spinsero per cambiare la legge. Nell’aprile 1965, scrissero al Dipartimento di Giustizia, sostenendo che gli studi non mostravano prove di effetto abortivo e che gli IUD erano un’opzione contraccettiva valida. Dopo consultazioni e pareri medici, nel febbraio 1966 la legge fu cambiata: gli IUD non erano più considerati abortivi (anche se solo quelli approvati dal Consiglio Nazionale della Medicina potevano essere usati). Da strumento proibito a opzione contraccettiva: un bel cambiamento, guidato dalla ricerca e dalle pressioni internazionali.
La Saga della Pillola Abortiva: Spingere i Confini della Legge
Mentre si testavano gli IUD, un altro ricercatore, Lars Engström, anch’egli collegato a RFSU e MHB, chiese il permesso di testare una pillola abortiva sperimentale, la F6103, nel novembre 1965. Qui la faccenda era diversa: si trattava esplicitamente di un abortivo. I primi test seguirono la legge del 1938, selezionando donne che avevano già ottenuto il permesso legale per un aborto, un processo lungo che ritardava l’inizio del trattamento.
Engström, però, voleva testare la pillola nelle primissime fasi della gravidanza. Nell’aprile 1966, propose un nuovo protocollo: somministrare la F6103 a donne che avevano saltato il ciclo dopo rapporti non protetti. Ma era legale? Il Consiglio Nazionale della Medicina incaricò un avvocato, Hans Thornstedt, di studiare la questione. Il nodo era: quando inizia la vita? Quando un ovulo fecondato diventa un “feto” protetto dal codice penale? Thornstedt concluse che, secondo l’interpretazione legale prevalente, un feto esisteva già dall’ovulo fecondato. Quindi, anche somministrare la pillola prestissimo sarebbe stato tecnicamente illegale.
La soluzione proposta da Thornstedt? Un emendamento legale per permettere la sperimentazione clinica su donne incinte. Il governo fu d’accordo e presentò una proposta al parlamento nel 1967. Sapete cosa rese questa proposta più digeribile? L’argomento della sovrappopolazione globale. Il Comitato sull’Aborto del 1965, nel suo parere favorevole, scrisse che un farmaco del genere sarebbe stato un grande progresso, soprattutto per aiutare i paesi in via di sviluppo a gestire il problema della sovrappopolazione. Anche se non rilevante per la Svezia, era così importante a livello internazionale che la Svezia *doveva* contribuire.
I media svedesi parlavano di sovrappopolazione e fame nel mondo. Ricercatori come Engström partecipavano al dibattito pubblico. Articoli di giornale del 1966 titolavano su come la Svezia potesse salvare milioni di persone dalla fame tramite aiuti per la pianificazione familiare e ricerca contraccettiva. Insomma, l’idea che la Svezia avesse un ruolo morale da giocare era diffusa.
Il dibattito parlamentare sulla proposta di legge non fu privo di tensioni. C’era confusione su cosa fosse un feto, su come funzionasse esattamente la pillola F6103. Alcuni erano preoccupati per la “vita indifesa”, altri per le condizioni dei trial. Emerse anche la questione degli IUD: il Comitato sulla Costituzione criticò il governo per aver cambiato lo status legale degli IUD senza coinvolgere il parlamento, dato che potevano entrare in conflitto con il codice penale sull’aborto. Un articolo sul giornale *Expressen* ipotizzò persino che il Ministro degli Esteri avesse spinto per legalizzare gli IUD per non apparire ipocrita, dato che li fornivano già al Pakistan. “Non volete rischiare che in Pakistan dicano: In Svezia non approvate gli IUD, ma volete inserirli nelle donne pakistane. Non vi vergognate?” scriveva il giornalista. Vedete come questioni locali, legali e internazionali si intrecciavano?
Nonostante le polemiche, la legge passò nella primavera del 1967 (Legge sui trial clinici di certi mezzi di controllo delle nascite). Le piccole sperimentazioni cliniche locali avevano avuto conseguenze legali enormi, aprendo la strada a future ricerche e rafforzando l’immagine internazionale della Svezia.
Costruire Ponti: La Ricerca Incontra l’Aiuto Internazionale
La rete di ricercatori svedesi sulla riproduzione negli anni ’60 era piuttosto ristretta e interconnessa. Molti lavoravano con RFSU e MHB, e spesso gli stessi esperti che consigliavano il governo sulla regolamentazione conducevano ricerche proprie. Ma c’era un altro campo strettamente collegato: la pianificazione familiare e gli aiuti internazionali. Molti medici e ricercatori erano coinvolti anche in questo settore, in particolare attraverso la SIDA (Agenzia Svedese per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo), nata nel 1965.
Verso la fine degli anni ’60, l’idea di creare un grande centro di ricerca sulla riproduzione prese forma. Attori chiave? La Fondazione Ford americana (che finanziava ricerca e pianificazione familiare da anni), l’Istituto Karolinska di Stoccolma (con una lunga storia di ricerca su ormoni e riproduzione) e la SIDA. L’obiettivo era ambizioso: una sorta di “Progetto Manhattan” per la scienza della riproduzione, per trovare metodi contraccettivi migliori e più rapidi.
Perché Stoccolma? Il Karolinska aveva un prestigio scientifico “senza pari”, secondo Harkavy della Fondazione Ford. Ma c’era di più. Harkavy seppe, in confidenza da un ricercatore svedese, che la proposta arrivava al “momento psicologico giusto”. La SIDA aveva molti fondi (forse troppi!) per i programmi d’azione all’estero e cercava modi per investire nella scienza della riproduzione, vista come più strategica a lungo termine. Già nel 1966, un gruppo di lavoro SIDA aveva raccomandato di finanziare la ricerca svedese su IUD e contraccettivi orali, sottolineando come questa ricerca, apprezzata a livello internazionale, dipendesse quasi esclusivamente da fondi americani. Era ora di un maggiore supporto interno.
Inoltre, la Svezia era vista come terreno “neutrale” in un mondo diviso dalla Guerra Fredda, ideale per una collaborazione internazionale. E, cosa cruciale, le leggi svedesi sull’aborto e sulla sperimentazione clinica (modificate proprio grazie ai trial su IUD e pillola abortiva!) erano considerate particolarmente favorevoli. Nel proporre l’espansione del centro di ricerca (che poi divenne il Centro di Ricerca e Formazione dell’OMS sulla Riproduzione Umana nel 1970, diretto dal famoso Egon Diczfalusy al Karolinska), i responsabili svedesi sottolinearono proprio questo: “L’atmosfera per tale ricerca è particolarmente favorevole in Svezia a causa della legge sull’interruzione di gravidanza e della legge che regola la valutazione clinica di nuovi agenti per il controllo della fertilità, inclusi gli abortivi”. Bingo! Le lotte locali per testare IUD e pillole avevano creato le condizioni perfette per attrarre un centro di ricerca globale.
Creare il “Modello Svedese”: Co-produrre un’Immagine
Qui entra in gioco un concetto interessante dagli studi su scienza e tecnologia: la co-produzione. Significa che l’ordine sociale (come vediamo la Svezia, le sue leggi, il suo ruolo) e l’ordine naturale/scientifico (le tecnologie contraccettive, la ricerca) si costruiscono a vicenda, in un processo disordinato e collaborativo che coinvolge tanti attori.
Vedete, mentre la Svezia rispondeva alle pressioni internazionali sulla sovrappopolazione modificando le sue leggi, diversi attori (ricercatori, politici, funzionari SIDA, media, fondazioni internazionali) contribuivano a creare e diffondere un’immagine specifica della Svezia: un paese neutrale, razionale, scientifico, progressista, legalmente avanzato e moralmente impegnato sui problemi globali.
Prendete l’esempio della testimonianza dei rappresentanti SIDA al Senato USA nel 1966. Andarono lì come esperti, presentando la Svezia come un paese pioniere nella pianificazione familiare, dove i medici non avevano inibizioni etiche o religiose, dove si faceva ricerca clinica all’avanguardia perché “ogni bambino dovrebbe essere desiderato”. Un senatore americano esclamò che gli scandinavi erano “persone molto illuminate”. Questa immagine, accurata o meno, era potente e veniva attivamente promossa.
Certo, la Svezia non era isolata. Era parte di reti internazionali, influenzata da discorsi globali (come quello sulla pianificazione familiare promosso dall’ONU negli anni ’60) e finanziata da enti stranieri. L’interesse per gli IUD, ad esempio, fu stimolato da sviluppi internazionali. L’idea del “modello svedese” o “modello nordico” non nasceva dal nulla, ma da un’interazione continua con il mondo esterno.
Tuttavia, furono proprio le specifiche vicende legate allo sviluppo e ai test dei contraccettivi a fornire prove concrete per questa immagine. Le sperimentazioni locali, la capacità di modificare le leggi per favorire la ricerca, l’intreccio tra scienza e aiuti internazionali: tutto contribuì a fare della Svezia, agli occhi del mondo (e forse anche ai propri), un partner ideale e quasi “naturale” per affrontare la sfida riproduttiva globale.
In Conclusione: Una Storia Complessa
Alla fine degli anni ’60, la Svezia si era ritagliata un ruolo di primo piano sulla scena internazionale della ricerca riproduttiva e degli aiuti per la pianificazione familiare. Ma questa posizione non era un destino scritto o solo il frutto di un’innata “progressività”. Come abbiamo visto, fu il risultato di una complessa co-produzione, un intreccio di fattori:
- Leggi e politiche interne (a volte contraddittorie).
- Una cultura di ricerca specifica e istituzioni dedicate (Karolinska, RFSU).
- Pressioni e opportunità internazionali (la paura della sovrappopolazione, i finanziamenti esteri).
- Lo sviluppo e la sperimentazione di tecnologie specifiche (IUD, pillola abortiva) che forzarono cambiamenti legali e rafforzarono l’expertise svedese.
- Un’attiva costruzione dell’immagine della Svezia come partner scientifico, razionale e affidabile.
Le piccole sperimentazioni cliniche locali ebbero un impatto enorme, non solo cambiando le leggi svedesi ma anche contribuendo a creare infrastrutture di ricerca di livello mondiale e a definire il ruolo internazionale della Svezia nell’ambito degli aiuti allo sviluppo. È una storia che ci ricorda come scienza, tecnologia, politica e immagine nazionale siano profondamente legate, e come anche un paese “piccolo” possa giocare un ruolo da protagonista sulla scena globale, non per isolamento, ma proprio grazie alla sua capacità di interagire e rispondere alle sfide del suo tempo.
Fonte: Springer