Immagine fotorealistica di un team interdisciplinare (medico, infermiere, psicologo) in una riunione informale in un'unità di cure palliative, discutono appunti attorno a un tavolo. Luce morbida da una finestra laterale, obiettivo 50mm, profondità di campo media, atmosfera di collaborazione e cura.

Accanto fino all’ultimo respiro: Come le cure palliative aiutano i familiari

Ciao a tutti. Oggi voglio parlarvi di un argomento delicato, intenso, ma incredibilmente importante: come noi, team interdisciplinari nelle unità di cure palliative, possiamo stare accanto ai familiari dei pazienti che stanno affrontando la fase agonica, l’ultimo tratto del viaggio della vita. Sapete, dal 2015 in Francia, e direi per sensibilità diffusa un po’ ovunque, il supporto ai parenti, a quelli che spesso chiamiamo “caregiver”, è diventato un punto centrale nei piani di sviluppo delle cure palliative. E c’è un motivo profondo.

Perché è così importante?

Accompagnare una persona cara negli ultimi momenti è un’esperienza che scava dentro. Ha conseguenze psicologiche, sociali, emotive fortissime. I familiari si trovano a destreggiarsi tra il loro ruolo sociale, familiare e quello di “curante”, un equilibrio precario, specialmente nella fase terminale. C’è sofferenza, a volte una grande solitudine, il peso delle decisioni, e spesso la difficoltà ad ammettere di aver bisogno, anche loro, di cure e supporto.

Il problema è che, senza linee guida chiare, le pratiche sul campo sono molto diverse tra loro. Nessuno studio, finora, le aveva mappate in modo oggettivo. La fase agonica, quel momento in cui compaiono i primi segni neurologici importanti e le funzioni vitali iniziano ad alterarsi irreversibilmente fino alla morte, è un passaggio che evoca ansia, sofferenza. Sia noi professionisti che i familiari lo viviamo come un momento critico, intenso, estenuante e, potenzialmente, traumatico.

I parenti, già provati dal percorso della malattia, si confrontano con cambiamenti radicali nella comunicazione, nell’aspetto fisico del loro caro, con sintomi nuovi e meccanismi a volte difficili da comprendere. E poi arriva il momento della morte. L’impatto di quest’esperienza sull’esistenza dei familiari è enorme, soprattutto il ricordo degli ultimi istanti. Nelle unità di cure palliative, spesso descrivono questo periodo come una “bolla”, una sospensione dalla vita quotidiana.

Supportare i familiari *prima* della morte del paziente è quindi una sfida costante e complessa. È dimostrato che le condizioni di questo accompagnamento e il modo in cui viene vissuto possono influenzare pesantemente il percorso del lutto futuro. Un buon supporto può prevenire complicazioni psichiatriche dopo la perdita, mentre una preparazione insufficiente alla morte imminente è associata a un aumento del rischio di lutto complicato, depressione e ansia. La comunicazione, quella che tiene conto degli aspetti clinici, pratici, psicosociali e spirituali, sembra essere la chiave per preparare i familiari. Esistono strumenti per valutare i bisogni dei caregiver, ma mancano pratiche condivise e specifiche per la fase agonica.

Fotografia realistica di una mano anziana che stringe delicatamente la mano di una persona più giovane in una stanza d'ospedale dai toni caldi e soffusi. L'illuminazione è controllata, focalizzazione precisa sulla stretta di mano. Obiettivo macro 85mm, profondità di campo ridotta per sfocare lo sfondo.

La ricerca PROPAGE 2: Dare voce a chi vive questo momento

Ecco perché è nato lo studio PROPAGE 2. Dopo un primo studio (PROPAGE 1) che aveva identificato ben 214 pratiche diverse usate nei team, l’obiettivo di PROPAGE 2 era trovare un consenso su quali fossero le pratiche di supporto più appropriate ed efficaci, coinvolgendo un’ampia gamma di “esperti”: medici, infermieri, operatori socio-sanitari, psicologi, assistenti sociali, volontari e, importantissimo, i familiari stessi che avevano vissuto questa esperienza. Abbiamo usato il metodo Delphi, una tecnica strutturata che permette di raggiungere un accordo attraverso diversi round di questionari anonimi.

Abbiamo coinvolto 40 unità di cure palliative francesi, selezionate casualmente per garantire una buona rappresentatività geografica e tipologica (pubblico, privato non profit, privato profit). Ogni unità ha proposto 6 esperti professionisti/volontari con almeno due anni di esperienza, di cui uno nell’unità specifica. Inoltre, ogni team ha identificato e contattato familiari di pazienti deceduti da almeno 6 mesi, che fossero stati presenti negli ultimi 3 giorni di vita del loro caro e che non fossero professionisti sanitari, per evitare bias.

Il questionario, basato sulle pratiche emerse da PROPAGE 1, conteneva 55 proposte divise in categorie come: Informare/Comunicare/Spiegare, Interagire, Mobilitare competenze interdisciplinari, Fornire cure e garantire comfort. Gli esperti dovevano valutare ogni pratica su una scala da 1 a 9 (da “per niente appropriata” a “molto appropriata”). Dopo ogni round, i risultati aggregati venivano condivisi, e i partecipanti potevano confermare o modificare il loro giudizio. Dopo tre round, abbiamo considerato stabilizzate le risposte.

Cosa abbiamo scoperto? Le pratiche che funzionano

Alla fine dei tre round, su 55 proposte iniziali, ben 35 pratiche hanno ottenuto un forte consenso tra tutti i partecipanti: professionisti, volontari e familiari. Altre 17 hanno avuto un consenso relativo, magari solo da parte dei professionisti o solo dei familiari.

Vediamo alcuni punti salienti emersi:

  • Comunicazione e Informazione: Qui c’è stato un larghissimo consenso. I familiari danno un valore enorme all’essere informati: vogliono capire cosa vedono nella stanza (P1), riconoscere i segni della fase agonica (P2), ricevere spiegazioni sulla condizione del paziente (P3). Interessante notare che i familiari sono più “richiedenti” di informazioni rispetto ai professionisti, che a volte temono di aumentare l’ansia spiegando troppo. I familiari apprezzano anche il contatto fisico (P4), sia toccare il paziente mentre si parla con lui (P3), sia un gesto di vicinanza da parte nostra (una mano sulla spalla, ad esempio), anche se noi professionisti siamo a volte più restii, interrogandoci sull’opportunità. È emerso anche il desiderio dei familiari di poter parlare d’altro, non solo della malattia (P5). L’anticipazione dei passi da fare dopo la morte (P32) è vista come utile, ma con delicatezza e senza anticipare troppo. La comunicazione della morte (P36) è un punto delicatissimo: molti professionisti preferiscono farlo di persona, ma riconoscono che a volte il telefono è necessario, se il familiare è già preparato e ha deciso di non venire, prestando però massima attenzione al contesto.
  • Comfort e Presenza: Le pratiche più condivise riguardano il comfort del paziente prima che i familiari entrino (P18), permettere momenti di intimità tra paziente e familiari (P19), tenere conto dello stato emotivo dei parenti prima che entrino in stanza (P20) e, se necessario, trovare qualcuno che supervisioni i bambini per permettere ai genitori un momento da soli o una conversazione (P21). È interessante notare che i familiari danno un consenso fortissimo a queste pratiche centrate sul paziente, mentre sono un po’ meno “entusiasti” (pur approvandole) su pratiche focalizzate su di loro (offrire un caffè, chiedere come hanno dormito). Sembra quasi che dicano: “La priorità è lui/lei, a me penserò dopo”. Noi professionisti, invece, insistiamo molto su queste “piccole cose”, perché sappiamo che aiutano i familiari a “ricaricarsi” per stare meglio accanto al loro caro e anche per il dopo. Una pratica che non ha trovato consenso è stata quella di offrire ai familiari la possibilità di partecipare alle cure (P53). Sia noi che i familiari pensiamo che questo possa creare un sovraccarico emotivo; i parenti preferiscono affidarsi alla nostra professionalità e, forse, uscire dal ruolo di “caregiver” che hanno avuto per tanto tempo, per tornare ad essere “solo” un familiare in quel momento. Anche offrire massaggi (P54) o tecniche di rilassamento/ipnosi/EMDR (P55) ai familiari non ha trovato consenso: potrebbero sentirsi in colpa a ricevere benessere in un momento così critico per il loro caro, o sono pratiche viste come più adatte a un percorso successivo.
  • Il Lavoro di Squadra (Interdisciplinarità): C’è un forte accordo sull’importanza del lavoro di squadra, dei momenti di condivisione tra noi professionisti (riunioni, analisi delle pratiche) per poter aggiustare il supporto (P46, P47). I familiari stessi valorizzano molto questo approccio coordinato. Una pratica che è rimasta incerta è stata la progettazione di un supporto specifico per i familiari usando strumenti come il genosociogramma (una sorta di mappa delle relazioni familiari) (P6). Alcuni professionisti non lo conoscono, altri lo ritengono potenzialmente intrusivo, sollevando la questione di “fin dove spingersi” nella cura della famiglia.

Ritratto fotografico realistico di un'infermiera in divisa che parla con empatia a una donna di mezza età seduta su una sedia in un corridoio luminoso di un'unità di cure palliative. Stile documentaristico, obiettivo 35mm, luce naturale dalla finestra, duotono blu e grigio per accentuare l'emozione pacata.

Non ricette magiche, ma spunti preziosi

È fondamentale sottolineare una cosa: questa lista di 35 pratiche consensuali non è un elenco di cose da fare “per forza” e in modo sistematico. Le cure palliative sono l’arte dell’adattamento: ogni situazione è unica. Ogni paziente, ogni familiare, ogni professionista porta con sé un mondo. Queste pratiche sono piuttosto degli orientamenti, delle possibilità da considerare caso per caso, tenendo conto dei desideri, del contesto, delle relazioni, delle competenze.

Questo studio ci offre uno strumento prezioso per riflettere, come team, sulle nostre pratiche quotidiane di fronte alla fase agonica. Può aiutarci a dare maggiore visibilità a ciò che facciamo, a mettere in luce i bisogni specifici dei familiari, a volte anche a scoprire pratiche innovative. Un supporto migliore in questa fase critica può davvero fare la differenza nel prevenire lutti difficili o patologici e, perché no, contribuire a cambiare la percezione, spesso carica di paura, della fase agonica stessa.

Diffondere questa conoscenza può migliorare la qualità del nostro lavoro, aiutare i nuovi colleghi ad inserirsi e magari diventare la base per programmi di formazione specifici. Le prospettive future? Valutare l’impatto di questa “lista” sull’evoluzione delle pratiche nei team, vedere se queste pratiche sono trasferibili in altri contesti (domicilio, case di riposo, reparti ospedalieri) e, magari, arrivare un giorno a delle vere e proprie raccomandazioni condivise.

Insomma, stare accanto fino all’ultimo respiro è un compito complesso, ma grazie a studi come PROPAGE 2, abbiamo qualche strumento in più per farlo nel modo più umano e competente possibile, mettendo al centro non solo il paziente, ma tutto il nucleo di affetti che lo circonda.

Fonte: Springer

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