Immagine concettuale che mostra una silhouette di testa umana con onde cerebrali stilizzate e molecole (come suPAR e CGRP) che interagiscono fluttuando intorno ad essa, rappresentando la complessa ricerca sui biomarcatori per l'emicrania e la risposta ai trattamenti, prime lens 50mm, profondità di campo ridotta per sfocare lo sfondo, tonalità blu e grigie duotone per un look scientifico e moderno.

Emicrania e suPAR: Il Biomarcatore Mancato per la Risposta all’Erenumab?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che sta molto a cuore a chi, come me, si occupa di ricerca sull’emicrania: la caccia ai biomarcatori. Immaginate di poter fare un semplice esame del sangue e sapere in anticipo se una terapia specifica per l’emicrania funzionerà per voi. Sarebbe fantastico, vero? Purtroppo, siamo ancora lontani da questo traguardo, ma la ricerca non si ferma mai.

Recentemente, l’attenzione si è concentrata su una molecola chiamata suPAR (recettore solubile dell’attivatore del plasminogeno di tipo urochinasi). Si tratta di un indicatore di infiammazione sistemica nel corpo, e alcuni studi precedenti avevano suggerito che i suoi livelli potessero essere più alti nelle persone che soffrono di emicrania con aura. Dato che l’infiammazione e il famoso CGRP (peptide correlato al gene della calcitonina) – il bersaglio di molti nuovi farmaci per l’emicrania – sembrano essere collegati, è nata una domanda spontanea: i livelli di suPAR nel sangue potrebbero predire come risponderemo a una terapia anti-CGRP come l’erenumab?

Lo Studio REFORM: Alla Ricerca di Risposte

Per rispondere a questa domanda, è stato condotto uno studio prospettico chiamato REFORM. Abbiamo coinvolto un bel numero di persone: 623 partecipanti con emicrania (la stragrande maggioranza donne, come spesso accade in questa patologia) e 154 controlli sani. L’obiettivo era semplice ma ambizioso: vedere se i livelli di suPAR misurati all’inizio dello studio (baseline) fossero associati alla risposta al trattamento con erenumab (140 mg ogni 4 settimane per 24 settimane).

Come abbiamo definito la “risposta”? Abbiamo considerato “responder” chi otteneva una riduzione di almeno il 50% dei giorni di emicrania al mese dopo 13-24 settimane di trattamento. Abbiamo prelevato campioni di sangue all’inizio, alla fine del trattamento (settimana 24) e anche 24 settimane dopo la sospensione del farmaco (settimana 48), per vedere se i livelli di suPAR cambiassero nel tempo e se fossero diversi tra chi rispondeva bene alla terapia (responder) e chi no (non-responder).

Abbiamo analizzato i dati sia considerando tutti i partecipanti con emicrania, sia focalizzandoci sul sottogruppo con emicrania con aura, dato che proprio in questo gruppo erano stati precedentemente osservati livelli di suPAR più alti.

Il Verdetto: suPAR Non È la Sfera di Cristallo che Speravamo

Ebbene, i risultati sono stati piuttosto chiari, anche se forse non quelli che speravamo. Analizzando l’intera popolazione con emicrania, non abbiamo trovato alcuna associazione significativa tra i livelli di suPAR al basale e la probabilità di essere un responder all’erenumab. In parole povere, avere livelli di suPAR più alti o più bassi all’inizio non sembrava influenzare l’efficacia del farmaco. Questo valeva sia considerando la riduzione del 50% dei giorni di emicrania, sia guardando la riduzione assoluta dei giorni di emicrania.

Anche analizzando specificamente il gruppo con emicrania con aura, il risultato non è cambiato: nessuna correlazione tra suPAR basale e risposta alla terapia.

Primo piano di una provetta di sangue K2EDTA tenuta da una mano guantata in un laboratorio di ricerca medica, macro lens 100mm, illuminazione controllata da laboratorio, alta definizione, focus preciso sul plasma separato nella parte superiore dopo centrifugazione.

Cosa Succede ai Livelli di suPAR nel Tempo?

Un altro aspetto interessante era capire se il trattamento con erenumab modificasse i livelli di suPAR o se questi cambiassero in modo diverso tra responder e non-responder. Anche qui, le sorprese sono state poche. I livelli di suPAR sono rimasti sostanzialmente stabili durante le 24 settimane di trattamento, sia nei responder che nei non-responder. Non abbiamo osservato cambiamenti significativi nel tempo.

C’è stato però un dato curioso emerso alla settimana 48, cioè ben 24 settimane dopo la fine del trattamento: i non-responder mostravano livelli di suPAR significativamente più alti rispetto ai responder. Cosa significa? È difficile dirlo con certezza. Potrebbe essere un caso, oppure potrebbe suggerire che nei non-responder persiste un livello di infiammazione sistemica leggermente più elevato, ma dato che questa differenza non era presente durante il trattamento e nemmeno all’inizio, la sua rilevanza clinica è dubbia.

Il Caso dell’Emicrania con Aura: Un Leggero Segnale?

Concentrandoci sul sottogruppo con aura, abbiamo confermato quanto già sospettato da studi precedenti: i partecipanti con aura tendevano ad avere livelli di suPAR leggermente più alti rispetto ai controlli sani, e questo si è visto in tutti i momenti dello studio (baseline, settimana 24, settimana 48).

Scavando ancora più a fondo, abbiamo notato che i non-responder con aura avevano livelli di suPAR significativamente più alti rispetto ai controlli sani in tutti e tre i timepoint. Tuttavia, è fondamentale sottolineare che i loro livelli non erano significativamente diversi da quelli dei responder con aura. Quindi, anche se c’è questo segnale di infiammazione leggermente più marcata nei non-responder con aura rispetto ai sani, non è abbastanza forte da distinguerli da chi invece risponde bene al farmaco.

Illustrazione medica stilizzata che mostra una sezione trasversale del cervello umano con aree evidenziate in rosso/arancione per rappresentare l'infiammazione neurogenica e l'attivazione del sistema trigemino-vascolare durante un attacco di emicrania con aura, prime lens 35mm, profondità di campo accentuata.

Perché suPAR Non Predice la Risposta?

Ci sono diverse possibili spiegazioni. Forse il suPAR riflette un’infiammazione sistemica generale che non è direttamente legata ai meccanismi specifici guidati dal CGRP nell’emicrania. L’efficacia dell’erenumab potrebbe dipendere da interazioni più complesse tra CGRP e altre molecole infiammatorie che il suPAR, da solo, non riesce a catturare.

Inoltre, anche se l’emicrania con aura sembra associata a livelli di suPAR leggermente più alti, questo potrebbe essere legato ai processi neurobiologici alla base dell’aura stessa (come la famosa “depressione corticale diffusa” o CSD, che può innescare processi infiammatori locali) piuttosto che alla frequenza degli attacchi o alla risposta ai farmaci anti-CGRP. Potrebbe indicare una sorta di “suscettibilità” infiammatoria o vascolare in queste persone, ma non un fattore determinante per l’efficacia della terapia.

Cosa Portiamo a Casa?

Lo studio REFORM, pur essendo ampio e ben condotto (anche se con alcune limitazioni, come il disegno a singolo braccio senza placebo e il focus su una popolazione specifica), ci dice che, al momento, misurare i livelli di suPAR nel sangue non aiuta a prevedere chi beneficerà del trattamento con erenumab.

Questo non significa che la ricerca di biomarcatori sia inutile, anzi! Significa che dobbiamo continuare a cercare, magari esplorando combinazioni di diversi marcatori infiammatori o altri tipi di indicatori biologici. La strada verso una medicina davvero personalizzata per l’emicrania è ancora lunga, ma ogni studio, anche quando dà risultati “negativi” come questo, aggiunge un tassello importante alla nostra conoscenza.

Quindi, niente sfera di cristallo basata sul suPAR per ora, ma la ricerca va avanti!

Fonte: Springer

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