Prove di Gruppo: La Conoscenza è Davvero la Somma delle Parti?
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi in un viaggio affascinante nel mondo un po’ astruso, ma incredibilmente rilevante, dell’epistemologia sociale. Nello specifico, voglio chiacchierare con voi di un’idea che mi ronza in testa da un po’: come facciamo a dire che un *gruppo* possiede delle prove? Pensateci: giurie, governi, team medici… tutti prendono decisioni basate su prove. Ma cosa significa esattamente che la “prova” appartiene al gruppo e non solo ai singoli individui che lo compongono? È qui che entra in gioco il concetto di summativismo knowledge-first riguardo alle prove di gruppo. Sembra complicato? Tranquilli, cercherò di renderlo il più chiaro e intrigante possibile!
Il Dilemma Fondamentale: Somma o Qualcosa di Più?
Partiamo dalle basi. Quando parliamo di proprietà di un gruppo (come avere delle prove), ci sono due modi principali di vederla:
- Summativismo: L’idea più intuitiva. Le prove del gruppo sono, in qualche modo, una funzione delle prove possedute dai suoi membri. Se i membri sanno qualcosa, allora il gruppo lo sa (o almeno, ha quella prova).
- Non-summativismo: L’idea più radicale. Un gruppo può avere prove (o credenze, o intenzioni) indipendentemente da ciò che i singoli membri sanno o credono. Il gruppo è più della somma delle sue parti.
Il vero spartiacque tra queste due visioni è un principio chiamato Correlativismo: un gruppo ha una proprietà P (come possedere la prova E) *solo se* almeno un membro del gruppo ha quella proprietà P. I summativisti dicono “sì!”, i non-summativisti dicono “non necessariamente!”.
All’interno del summativismo, ci sono varie sfumature. C’è la visione “pooled” (basta che un membro abbia la prova), la visione “common-ground” (tutti devono averla) e la visione “maggioritaria” (la maggioranza dei membri deve averla). Scartando le prime due come poco realistiche (la prima troppo permissiva, la seconda troppo restrittiva), la visione maggioritaria sembra quella più promettente. Ma, come vedremo, anche questa ha i suoi bei grattacapi.
Le Sfide al Summativismo: Quando la Somma Non Torna
Recentemente, la filosofa Jessica Brown ha sollevato delle obiezioni piuttosto pungenti contro il summativismo, mettendo in discussione proprio la visione maggioritaria. Vediamone un paio.
Obiezione 1: Il Dovere di Agire (e la Colpa di Non Farlo)
Immaginate questa situazione (l’esempio è di Brown, leggermente adattato): in un dipartimento universitario impegnato per l’uguaglianza di genere, un membro maschile, X, molesta una collega, Y. Lo fa con cautela, tanto che nessun altro *formalmente* sa nulla. Però, sia X che Y sanno benissimo cosa sta succedendo. Anzi, facciamo che *tutti* nel dipartimento lo sanno, ma per vari motivi (paura, convenienza, omertà) nessuno parla o denuncia.
Secondo la visione summativista maggioritaria, dato che la maggioranza (anzi, tutti!) sa della molestia, la proposizione “c’è una molestia in corso” dovrebbe far parte delle prove del dipartimento. Ma, argomenta Brown, se il dipartimento avesse questa prova, dovremmo biasimarlo per non aver fatto nulla. Eppure, intuitivamente, non ci sembra così colpevole *come gruppo*, proprio perché nessuno ha rotto il silenzio. Quindi, conclude Brown, forse quella prova non appartiene davvero al gruppo.
La mia risposta? Attenzione! Questo argomento si basa sull’idea che avere una prova implichi un dovere di agire (premessa 1) e che il dipartimento non sia biasimevole (premessa 4). Ma possiamo mettere in dubbio entrambe. Soprattutto la premessa 1, se interpretata rigidamente, cozza contro casi evidenti: se vedo un bambino annegare ma sono paralizzato e muto per un ictus improvviso, ho la prova che sta annegando, ma non posso agire e non sono colpevole per non farlo. Possedere una prova non significa automaticamente *poter* agire su di essa. Inoltre, l’argomento di Brown rischia di essere circolare, perché per sostenere che il dipartimento non è colpevole, deve implicitamente assumere una visione *non-summativista* della credenza di gruppo (cioè, il gruppo non “crede” alla molestia finché non c’è un atto collettivo, anche se tutti i membri ci credono individualmente). Ma questo è proprio ciò che il summativista nega!
Obiezione 2: La Prova Fantasma (che Nessuno Ha)
Altro esempio intrigante di Brown: un team di 10 detective indaga su un omicidio. Tutti credono che il colpevole sia Bill. Diverse prove (chiamiamole r, s, t, u, v, w) sono distribuite tra i detective, in modo che l’80% di loro possieda *ciascuna* singola prova. Quindi, secondo la visione maggioritaria, tutte le prove r-w appartengono al gruppo. Il problema? Nessun singolo detective possiede *tutte* le prove r-w. Individualmente, le prove che ciascuno possiede supportano la colpevolezza di Bill (p). Ma – ed ecco il colpo di scena – l’insieme completo delle prove r-w, unito a conoscenze di base comuni (tipo, il treno è il mezzo più veloce tra due città), implica che Bill *non può* aver commesso l’omicidio (non-p)!
Brown ne deduce che la visione maggioritaria porta alla conclusione controintuitiva che le prove del gruppo supportano una proposizione (non-p) che non è supportata dalle prove di nessun singolo membro.
Anche qui, però, c’è un inghippo nel ragionamento. Ciò che implica non-p non sono le singole prove r, s, t, ecc., ma la loro congiunzione (r e s e t e u e v e w). Ma dato che nessun singolo detective possiede questa congiunzione, la visione maggioritaria *non* implica che la congiunzione faccia parte delle prove del gruppo! Quindi, il paradosso svanisce. Le conseguenze logiche delle prove dei membri non entrano automaticamente a far parte delle prove del gruppo, a meno che non siano possedute come tali dalla maggioranza.
La Prova Deve Essere Vera? La Questione della Factivity
Un altro punto caldo: le prove devono essere vere per essere considerate tali? Questa è la tesi della factivity. Perché è importante per i gruppi? Considerate un gruppo di 3 persone con queste prove individuali:
Membro 1: p, ¬q, ¬(p e q)
Membro 2: ¬p, q, ¬(p e q)
Membro 3: p, q, p e q
Individualmente, nessun set di prove è incoerente. Ma se applichiamo la visione maggioritaria, le prove del gruppo diventerebbero: p (da Membro 1 e 3), q (da Membro 2 e 3), e ¬(p e q) (da Membro 1 e 2). Un bel pasticcio incoerente! Se invece sosteniamo che le prove devono essere vere (factivity), almeno una di queste proposizioni non sarebbe una prova, risolvendo l’incoerenza.
Questo obbliga i summativisti ad accettare la factivity? Brown suggerisce di sì. Ma io penso che questa sia una scelta disponibile per *qualsiasi* teoria delle prove, non un problema specifico del summativismo. Dato che la factivity è una posizione rispettabile in epistemologia (sostenuta da pesi massimi come Williamson), possiamo tranquillamente assumerla anche per le prove di gruppo senza creare particolari problemi al summativismo. Quindi, d’ora in poi, assumiamo che le prove (individuali e di gruppo) siano fattive.
Ma Qual è il Legame Giusto? Esplorando le Opzioni Epistemiche
Arriviamo al cuore della questione: che tipo di relazione deve esserci tra un gruppo e una proposizione P affinché P sia una sua prova?
- Visione Fenomenica: Le prove sono stati mentali soggettivi (come le percezioni). Problematica per i gruppi: possono i gruppi avere stati fenomenici? E anche se potessero, come gestire la “trasparenza” (sapere di avere uno stato quando lo si ha) per gruppi poco strutturati o inconsapevoli? Sembra escludere troppi casi intuitivi.
- Visione Basata sulla Giustificazione (JB/JTB): Le prove sono credenze giustificate (JB) o credenze vere giustificate (JTB). Qui Brown usa un caso di Lackey (il caso MUSEUM) per mostrare un problema con il summativismo. Immaginate 100 guardie di museo. Tutte credono giustificatamente che ci sia un piano per un furto interno (g). Ma lo credono per ragioni diverse e incompatibili tra loro (20 pensano sia Albert, 20 Bernard, ecc.). Lackey argomenta che il gruppo *non* crede giustificatamente g, perché le basi sono incoerenti. Ma secondo la visione summativista maggioritaria (combinata con JB/JTB), g dovrebbe essere una prova del gruppo, perché tutti i membri la credono giustificatamente. Tensione!
L’argomento di Brown è forte contro le visioni basate sulla giustificazione, ma non demolisce il summativismo in generale. E se provassimo un’altra strada?
La Svolta Knowledge-First: Mettere la Conoscenza al Primo Posto
E qui entra in gioco l’approccio knowledge-first. L’idea di base, resa popolare da Timothy Williamson, è che la conoscenza non sia analizzabile in termini di credenza, verità e giustificazione, ma sia un concetto primitivo fondamentale. Forse la prova non è credenza giustificata, ma semplicemente conoscenza (E=K) o, come proporrò tra poco, essere in posizione di conoscere (E=PtK).
Vediamo come questo aiuta con il caso MUSEUM. Se la prova è conoscenza (o essere in posizione di conoscere), allora g *non* è una prova del gruppo. Perché? Perché anche se tutti i membri credono giustificatamente g, il gruppo nel suo insieme non sa g (e probabilmente non è nemmeno in posizione di saperlo), proprio a causa delle basi incoerenti. Quindi, combinando una visione knowledge-first con il summativismo maggioritario, evitiamo la tensione evidenziata da Brown.
Questo ci porta a due possibili formulazioni per un summativismo knowledge-first:
- Summativismo Knowledge-First Forte (KFS): p è prova del gruppo G se e solo se la maggioranza dei membri di G sa p.
- Summativismo Knowledge-First Debole (kFS): p è prova del gruppo G se e solo se la maggioranza dei membri di G è in posizione di sapere p.
KFS è più restrittivo. kFS sembra più promettente, perché copre casi in cui la conoscenza è “a portata di mano” ma non ancora attualizzata. Ma prima di scegliere, dobbiamo fare un’ulteriore distinzione cruciale.
Possedere vs. Immagazzinare: Non Tutta l’Evidenza è Uguale
Pensateci: potete *possedere* legalmente dei bitcoin anche se avete perso le chiavi del wallet, ma non li *possedete* nel senso di averne accesso. Lo stesso vale per le prove. Una prova può essere “immagazzinata” nella testa di un membro del gruppo (come un ricordo represso), ma se non è accessibile, non è una prova che il membro (e quindi il gruppo) *possiede*. Le prove possedute sono quelle a cui si ha accesso tramite una relazione epistemica appropriata (come sapere o essere in posizione di sapere).
Nei gruppi, le prove sono immagazzinate nelle menti dei membri. Ma il fatto che una prova sia immagazzinata *nel* gruppo non significa che sia posseduta *dal* gruppo. Immaginate un team scientifico: i tecnici raccolgono dati (prove) che indicano un’anomalia X. Ma sono i ricercatori principali ad analizzare se X, insieme ad altri dati, indica la malattia Y. La prova X diventa prova del *gruppo* solo se è accessibile ai ricercatori principali (quelli la cui opinione conta per la posizione del gruppo su Y). Se i tecnici tengono segreti i dati, o se i canali di comunicazione sono rotti, quella rimane prova individuale immagazzinata nel gruppo, ma non posseduta dal gruppo.
Questo ci porta a riformulare le nostre opzioni:
- KFS*: p è prova del gruppo G se e solo se la maggioranza dei membri di G la cui opinione ha peso sufficiente per determinare la posizione di G su p, sa p.
- kFS*: p è prova del gruppo G se e solo se la maggioranza dei membri di G la cui opinione ha peso sufficiente per determinare la posizione di G su p, è in posizione di sapere p.
La Mia Proposta: kFS* – Essere in Posizione di Sapere è la Chiave
Quale scegliere tra KFS* e kFS*? Torniamo al team medico. Immaginate che i tecnici comunichino la prova p ai ricercatori, ma questi, distratti, non la “registrino” mentalmente. Non arrivano a *sapere* p. Secondo KFS*, p non sarebbe prova del gruppo. Ma intuitivamente, molti direbbero che lo è! La prova era lì, accessibile. È qui che kFS* mostra la sua forza.
Essere “in posizione di sapere” p significa che p è vera e che si potrebbe facilmente arrivare a sapere p senza sforzi investigativi significativi o cambiamenti radicali della propria situazione epistemica. Basta “aprire gli occhi” (metaforicamente). Non richiede di credere già p. Questa nozione cattura perfettamente la situazione dei ricercatori distratti: erano in posizione di sapere p, anche se non l’hanno saputo attivamente.
Quindi, la mia proposta è che kFS* sia la versione più plausibile di summativismo sulle prove di gruppo. Perché?
- È fattiva (essere in posizione di sapere p implica che p sia vera).
- Non richiede che il gruppo (o i membri rilevanti) attualmente creda o sappia p, basta che la conoscenza sia accessibile.
- È neutrale rispetto alla struttura del gruppo: funziona per team super organizzati con divisione del lavoro cognitivo, ma anche per folle o gruppi informali. Ciò che conta è se l’informazione rilevante è accessibile alla maggioranza “che conta”.
- Accomoda diverse fonti di prova (interne, esterne, da membri più o meno influenti).
- Evita le obiezioni di Brown viste prima.
Un Breve Confronto con Approcci Non-Summativisti Knowledge-First
Giusto per completezza, vale la pena notare che esistono anche approcci knowledge-first *non-summativisti* (come quello di Simion e colleghi). Questi vedono il gruppo come un agente epistemico a sé stante, con funzioni proprie per generare conoscenza. Senza entrare nei dettagli, trovo che questi approcci abbiano difficoltà a spiegare come gruppi molto “sciolti” (es. gli investitori di borsa, i possessori di Tesla) possano avere prove, dato che non sembrano avere le “funzioni” richieste. Inoltre, rischiano di attribuire irrazionalità diffusa ai gruppi (ad esempio, nel caso JURY visto prima, concludono che la giuria crede sia p che non-p, mentre una lettura summativista più naturale direbbe che crede p ma accetta non-p per ragioni pratiche, senza incoerenza) e portano a conclusioni strane sul supporto evidenziale (nel caso JURY, sembrerebbe che la prova del gruppo supporti solo non-p, ignorando le prove schiaccianti per p possedute dai membri). Per me, kFS* offre una spiegazione più coerente ed elegante.
Rispondere ad Alcuni Potenziali Controesempi a kFS*
Ovviamente, nessuna teoria è perfetta. Vediamo come kFS* potrebbe gestire alcune obiezioni comuni:
- La Password Distribuita: Immaginate una password segreta divisa tra N dipendenti. Nessuno la sa tutta, ma mettendola insieme sì. Il gruppo “sa” la password? Secondo kFS*, dipende: se mettere insieme i pezzi è facile (basta una riunione), allora la maggioranza è in posizione di saperla, e sì, è prova del gruppo. Se richiede uno sforzo enorme, allora no. L’intuizione che il gruppo “sappia” anche nel secondo caso potrebbe dover essere rivista alla luce delle implicazioni teoriche (conflitto con “conoscenza implica credenza”, problemi con i defeaters psicologici).
- Prova Segreta: Se un membro (o una minoranza) ha una prova p ma la tiene segreta o i canali di comunicazione falliscono, kFS* dice correttamente che p non è prova del gruppo. È solo prova immagazzinata nel gruppo.
- Informazione su Dispositivi: Se le prove sono su un laptop a cui la maggioranza rilevante non ha accesso facile, kFS* dice che non è prova del gruppo (a meno che non si accetti la teoria della mente estesa *e* l’accesso sia facile). Un database non accessibile non è diverso da una biblioteca: immagazzina informazioni, non le “possiede” come prove per il gruppo.
- Aggregazione di Sconfitte (Defeaters): Se l’80% sa p, ma ognuno ha piccoli dubbi (defeaters) che individualmente non bastano a far perdere la conoscenza, ma aggregati sì? kFS* dice: p è prova del gruppo *a meno che* la congiunzione di questi dubbi non sia facilmente accessibile alla maggioranza rilevante. Se i dubbi restano privati o difficili da condividere, il gruppo è ancora in posizione di sapere p.
Tirando le Somme (è Proprio il Caso di Dirlo!)
Eccoci alla fine del nostro viaggio. Spero di avervi convinto che, se vogliamo dare un senso all’idea che i gruppi posseggano prove in modo *summativista* (cioè, basato sui membri), l’approccio più promettente è quello knowledge-first, e in particolare la mia versione preferita, kFS*. Questa visione, basata sull’essere “in posizione di sapere” da parte della maggioranza rilevante, sembra navigare le acque turbolente delle obiezioni, delle distinzioni sottili (possedere vs. immagazzinare) e dei vari tipi di gruppi in modo più efficace rispetto ad altre alternative summative.
Non sto dicendo che il non-summativismo sia morto, anzi! Ma credo che kFS* offra una difesa robusta e intuitiva dell’idea che, almeno per quanto riguarda le prove, un gruppo sia, in un senso molto specifico ma fondamentale, davvero “la somma (qualificata) delle sue parti”.
Fonte: Springer